Polemo visitò alla fiera il padiglione dell’Arte del Fabbro: un’esposizione ampia e molteplice di cancelli, inferriate, ringhiere, recinzioni, arredo giardino, arredo interno, oggettistica varia. Ne rimase talmente entusiasta da mandare suo figlio Leno a specializzarsi in quest’arte e diventarne maestro.
Dopo studi brillanti, Leno ha conseguito una pagella invidiabile, tanto da essere invitato a corte a prestare questo servizio al re che, oltre ai richiesti collaboratori, offriva ambiente e arredi necessari all’esecuzione di quest’arte.
L’apprezzato e neo maestro arriva a corte…vi trova ambiziosi progetti sognati dal re.
Ma il giorno di inaugurazione, accadde la cosa più strana e più assurda che si potesse immaginare: Leno, tutto aveva imparato alla perfezione…ma – ecco l’assurdo – non sapeva, non aveva appreso il modo di accendere il fuoco.
Lì per lì…si rivolse all’intorno, ai presenti e a tutti i paesani, ma nessuno, proprio nessuno e nemmeno suo padre, sapeva accendere il fuoco; fu il fallimento della sua arte; un’arte stupenda quella del fabbro; ma se il fuoco è spento, l’arte può essere bella, ma senz’anima. Senza l’anima il corpo è morto, senza il fuoco il mondo è spento. Senza il calore non si cuoce il pane, non nasce famiglia, non vive convento.
Grazie alla sconfitta Leno confida d’aver appreso l’arte di tutte le arti: “accendere la mia vita con il fuoco piovuto sulla terra a Pentecoste per far vivere in me l’arte e l’artista”.
Ciao da p. Andrea
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