Proponiamo il testo dell’omelia pronunciata dal patriarca di Venezia, monsignor Francesco Moraglia, nella Messa del giorno di Natale 2013 nella Basilica San Marco.
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Carissimi,
il bambino di Betlemme unisce, in maniera nuova, Dio e l’uomo, l’Eterno e il tempo, il Creatore e la creatura; questo è il Natale! In quel Bambino l’essere di Dio - da cui tutto proviene - e la storia dell’uomo sono implicati come mai prima.
Papa Francesco nell’enciclica Lumen fidei si serve di un’espressione che bene ci introduce nel mistero del Natale: “Tutte le linee dell’Antico Testamento si raccolgono in Cristo, Egli diventa il "sì" definitivo a tutte le promesse, fondamento del nostro “Amen” finale a Dio (cfr 2 Cor 1,20)… la vita di Gesù appare come il luogo dell’intervento definitivo di Dio, la suprema manifestazione del suo amore per noi. Quella che Dio ci rivolge in Gesù non è una parola in più tra tante altre, ma la sua Parola eterna (cfr Eb 1,1-2)…” (Papa Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, n. 15).
Il Natale è la vera novità di fronte alla quale ogni altra risulta soltanto una piccola variante di cose già viste. Sono proprio alcuni testi della liturgia del Natale che ci aiutano a intendere.
Nella messa della notte abbiamo ascoltato: “È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). E in quella dell’aurora: “…quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati…” (Tt 3,4-5).
Nella messa del giorno, infine: “In principio era il Verbo…. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui… E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi…” (Gv 1, 1.3.14).
La liturgia non è una folcloristica esibizione di paramenti; la liturgia chiede di vivere ciò che celebra. E sant’Agostino parla del Verbo che si è fatto carne e ha dimorato fra di noi. Così la Sua umanità si unisce alla nostra: è il Christus totus (cfr. Agostino, Sulla lettera di Giovanni 1,2).
Cristo e la Chiesa formano, in tal modo, il “Cristo totale”; non che Cristo senza di noi sia incompleto, ma è Lui che non vuol essere completo senza di noi e la sua Chiesa (cfr Agostino, Sermoni 341.1.1 e 9.1).
Il Natale domanda uno stile congruo; se lo si celebrasse e poi si vivesse come se nulla fosse accaduto, sarebbe allora un modo irresponsabile di celebrare.
In quel bambino, come dice la lettera ai Colossesi, “abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui…” (Col 2,9-10). È la cristologia di 2000 anni fa, la fede della Chiesa già presente.
Poco prima Paolo aveva sottolineato che il cristiano - pur vivendo nel mondo - appartiene a Dio e, quindi, partecipa di una logica differente che gli chiede di “stare” nella storia in modo diverso; lo sguardo di fede, infatti, vive una “pienezza” che apre a una novità di vita.
Riprendiamo le parole dell’apostolo Paolo ai Colossesi: “Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col 2,6-8).
Si è nel mondo ma non si è del mondo e si dispiega una fede amica dell’uomo che sa guardare le differenti situazioni dando luce e concretezza a scelte che siano realmente a servizio dell’uomo. Si tratta di far nostro il Natale assumendone lo stile, ovvero il nascondimento, le piccole cose, il lievito celato nella pasta che, dall’interno, tutta l’assume e la fermenta.
Papa Francesco ci ricorda di abitare nelle “periferie” dello spirito, dell’anima e del corpo escludendo nessuno, di assumere lo sguardo che tutto considera a partire dalla paternità di Dio e che, quindi, è capace di riscoprire una vera, reale e concreta fraternità.
La modernità si è illusa di essere in grado di costruire legami fraterni, a misura d’uomo, partendo da un astratto concetto d’uguaglianza; ciò ha coinciso con un sonoro fallimento.
Negli ultimi cento anni si è, infatti, sparso più sangue che in tutti gli altri secoli; solo riscoprendo il Padre comune si ritrova la vera fraternità. Unicamente il Padre, fonte di amore sorgivo e generante, può suscitare la vera fraternità, la sola in grado di generare relazioni fraterne.
Ascoltiamo, in proposito, le parole di papa Francesco: “«Se guardiamo la terra dall’alto del cielo, che differenza offrirebbero le nostre attività e quelle delle formiche e delle api?». Al centro della fede biblica, c’è l’amore di Dio, la sua cura concreta per ogni persona, il suo disegno di salvezza che abbraccia tutta l’umanità e l’intera creazione e che raggiunge il vertice nell’Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Quando questa realtà viene oscurata - continua il Papa -, viene a mancare il criterio per distinguere ciò che rende preziosa e unica la vita dell’uomo. Egli perde il suo posto nell’universo, si smarrisce nella natura, rinunciando alla propria responsabilità morale, oppure pretende di essere arbitro assoluto, attribuendosi un potere di manipolazione senza limiti” (Papa Francesco, Lettera enciclica Lumen fidei, n. 54).
Portiamo allora in noi - e non solo il giorno di Natale - queste parole di papa Francesco.
Il Natale cristianamente riuscito è quello in cui tutto si accende di una nuova luce verso Dio, gli uomini e se stessi.
Lo sguardo natalizio ci permette di considerare l’uomo come riferimento di ogni relazione personale, familiare e sociale. Anche noi compiamo la scelta concreta del Natale, quella di Dio che entra nel mondo.
Quando Dio decide di manifestarsi al mondo si serve di un linguaggio inconfondibile, parole e gesti che guardano l’uomo non a partire da criteri umani o dal buon senso comune ma secondo la logica e la verità di Dio. Ma cosa vuol dire avere uno “sguardo natalizio” su noi stessi, sulla società e sulla cultura che la determina?
La notte di Betlemme, il silenzio e il bambino bisognoso di tutto - vegliato da Maria e Giuseppe - indicano eloquentemente lo stile di Dio. Natale, quindi, è elogio dell’essenziale, anzi, della povertà. E i pastori - che occupano l’ultimo posto della scala sociale - diventano la categoria privilegiata, sono i veri prescelti, vengono prima degli altri, partecipano alla gioia di questa nascita e ne diventano i primi annunciatori.
Il Natale ci chiede di fare nostro lo stile di Dio. Siamo così chiamati ad inserire la logica di Dio nel nostro tempo che vive una grave crisi valoriale; prima che una crisi di fede, è una crisi di ragione e di cultura. È logica semplice, quella di Dio, capace di riportare l’umanità all’essenziale. L’augurio è che tutti collaborino a fare in modo che la logica del Natale susciti nuove relazioni personali e sociali.
Il Natale esprime, così, in modo vivo e concreto il perdono di Dio; quel bambino è, infatti, la mano tesa di Dio che non si accontenta di guardare dall’alto e da lontano ma vuole entrare nella storia facendosi carico di chi, da solo, non avrebbe avuto la forza di muovere a salvezza.
Il Natale è, in questo senso, un insegnamento “in azione”, ossia, un vero dramma; a Natale, attraverso quel bambino, tutto si fa possibile e accogliente perché, in Lui, s’inaugura la nuova umanità. E’ essenziale che il Natale e la sua logica appartengano di più al nostro modo di pensare, di parlare e di agire riconciliandoci, innanzitutto, con noi stessi e, poi, con gli altri senza esclusioni.
Anche quest’anno nella notte di Natale è risuonato un richiamo: “Un bambino è nato per noi, un figlio ci è stato donato” (Isaia 9,5).
Questo Natale 2013 ci raggiunge mentre siamo alle prese con una crisi perdurante che solo la politica delle facili promesse e delle brutte figure ritiene e, di fatto, giudica quasi superata. È una crisi che, in realtà, continua a procurare alle persone, alle famiglie, alle imprese e, in genere, al mondo del lavoro gravi difficoltà. In queste settimane, poi, il clima sociale appare segnato da spinte che non si sa, fino in fondo, a che cosa mirino.
Senza perdere la speranza, le prospettive che ci stanno dinanzi sono, per alcuni versi, tutte da decifrare; eppure si insiste in promesse pensando, forse, che per decreto si raggiunga la “ripresa”. In realtà, la crisi continua a mordere e a produrre effetti che intaccano il tessuto sociale.
L’augurio per il Santo Natale è, prima di tutto (e non potrebbe essere altrimenti), quello di incontrare nel Bambino di Betlemme il Dio che ci salva. Ma non dispiacerebbe trovare, sotto l’albero di Natale, anche il regalo di una politica - poco importa se fatta da quarantenni o sessantenni - che, rilasciando meno proclami, sia più attenta alla gente e al fare.
Il segno di una politica nuova è che, senza facili annunci, guardi alle frange più deboli, non discriminando neppure le altre classi sociali. Certo, diverrebbe una politica meno loquace, ma più capace di essere eloquente e di dire ai cittadini - con scelte concrete e coraggiose - quale è l’arte del buon governo.
A tutti l’augurio di incontrare nel Bambino le risposte alla vostra vita.