«Il Natale non è solo una ricorrenza temporale oppure il ricordo di una cosa bella: è un incontro. E camminiamo per incontrarlo: col cuore, con la vita; incontrarlo vivente, come Lui è; incontrarlo con fede. E non è facile vivere con la fede».
Quanta verità c’è nelle parole pronunciate da papa Francesco durante l’omelia della prima domenica d’Avvento. Lo testimoniano gli interrogativi che ormai da qualche tempo aleggiano sul Natale e sul modo di celebrarlo. Da un lato si è accentuata la dimensione commerciale delle festività di fine anno, sempre più slegate, anche nella terminologia, dall’evento della nascita del Messia. Dall’altro, aumenta la frequenza delle polemiche, a volte aspre, sull’opportunità di celebrare in spazi laici e pubblici – in primis nelle scuole – cerimonie natalizie, per un malinteso senso di rispetto delle altre tradizioni religiose oppure per riaffermare la propria contro l’altrui identità.
Un quadro all’apparenza, e forse anche nella sostanza, desolante. Eppure, raccogliendo il monito del Papa, viene da chiedersi se le contraddizioni non possano essere intese come opportunità per una purificazione della propria fede e del suo modo di esprimersi in una società ormai multiculturale perché multietnica. Il Natale può essere un prezioso ausilio: è il segno di un approdo, è l’indicatore di un traguardo non ancora raggiunto ma certo: il Dio cristiano, che rimane Dio, Verbo eterno e infinito, acquisisce un volto col quale dialogare, nel quale fissare lo sguardo, dal quale attendere un sorriso o una parola. È il viso di Gesù che conserva intatto lo splendore del mistero, ma che ha anche tutto il calore delle familiari fattezze umane.
È il segreto ultimo del Natale, ma è anche il senso profondo della Passione, allorché quel profilo si lacera, sanguina, spasima e urla. È l’immagine degliultimi della terra, della cui carne si fa sembianza il Cristo che viene, forza di un cristianesimo che, per dirla con Francois Mauriac, «non è una filosofia, non è un sistema, non è altro che una storia».
In questo atteggiamento di grande abbandono, di distacco da ogni morboso attaccamento alla terra ed alle sue lusinghe, e in quello sguardo che sa cogliere l’infinito nel finito, il grande nel piccolo, il ricco nel povero, il vero cristiano trova la sua più sublime capacità di conquistare il mondo, di viverlo senza esserne schiavo.
Il Natale è per sempre, non soltanto per un giorno: l’amare, il condividere, il dare, non sono da mettere da parte come la stella come le luci, i fili d’argento e le palline di vetro che poi vanno a finire in qualche scatola o sopra uno scaffale.
Che Natale sia, allora, ma un Natale autentico. E che a tutti ed a ciascuno dia la forza e la gioia di donare, come scriveva Oren Arnold, regali nuovi ed originali quanto semplici e ricchi: «Perdòno per un tuo nemico, tolleranza per un tuo avversario, il tuo cuore per un tuo amico, un buon servizio per un tuo cliente. Carità per tutti e buon esempio per i bambini. Rispetto per te stesso».
Cristianamente, di cuore, buon Natale.
+ Vincenzo Bertolone