"Still Life"

Bellissima parabola esistenziale sulla solitudine, la mortalità e il senso profondo della “pietas”, firmata dal regista e sceneggiatore Uberto Pasolini

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John May è un impiegato comunale di Londra il cui lavoro consiste nel provvedere ai funerali delle persone morte in solitudine e, se possibile, rintracciare parenti e amici dei defunti. John, a sua volta un uomo molto solitario, svolge il suo compito con assoluta dedizione fino al giorno in cui il nuovo responsabile della circoscrizione gli annuncia che la mansione è ormai ritenuta superflua e verrà licenziato. Gli resta, però, un ultimo “caso” da risolvere, un anziano ubriacone che viveva proprio nel palazzo di fronte al suo… L’ultimo incarico di John si trasformerà in un viaggio alla scoperta di se stesso.

Uberto Pasolini, una vita nel cinema dopo un brevissimo passato da banchiere, già produttore del fortunatissimo Full Monty, passato alla regia con Machan (commedia dolceamara su un gruppo di cingalesi che per emigrare clandestinamente in Germania si finge una squadra di pallamano in trasferta), con questo film, evidentemente un progetto del cuore, diventa anche sceneggiatore e ci regala una bellissima parabola esistenziale sulla solitudine, la mortalità e il senso profondo della pietas.

Il protagonista della vicenda, John May, è un uomo solitario e abitudinario, che dedica la sua intera esistenza a un lavoro che il mondo contemporaneo, ossessionato da tempo, efficienza e produttività, non può che considerare una perdita di tempo (e infatti il suo nuovo capo, nell’ottica di tagli ed efficienza, non ci mette molto a licenziarlo).

La ricerca di parenti e amici di persone morte nella solitudine, che possano e vogliano condividerne il commiato dal mondo, porta John alla scoperta di tante esistenze nascoste nella confusione della metropoli, ordinarie e talora squallide, fotografate con esattezza dagli interni di case e appartamenti colte come le “nature morte” di cui il titolo della pellicola potrebbe essere la traduzione.

“Nature morte” appunto, come quelle di tanti quadri barocchi, e proprio come quelli, non oggetti vuoti e privi di significati, ma pieni di indizi di vita vissuta: biancheria appesa, fotografie, piccoli oggetti che raccontano vite interiori forse abbandonate dal mondo ma non per questo meno preziose o uniche.

John è custode di questa unicità, si presta testimone spesso solitario, ma non indifferente alle esequie, non lascia che nessuno si congedi da questo mondo senza un ricordo personale, una musica scelta con cura e un discorso di commiato ad hoc.

“Siamo stati come voi, sarete come noi” si legge talvolta sulle antiche lapidi, un monito che sembra in qualche modo aleggiare nell’attività del solitario John, il cui appartamento non differisce poi molto da quelli che visita per lavoro. Una considerazione che appare quanto mai urgente quando il defunto su cui si trova ad indagare risulta essere un ubriacone residente proprio di fronte a casa sua.

Billy Stokes, questo è il suo nome, si rivela un uomo pieno di sorprese, che è morto solo ma che ha lasciato segni profondi nelle esistenze di tante persone, un uomo pieno di contraddizioni ma tutt’altro che dimenticabile. Questa indagine, che John intraprende con tanta più passione e solerzia proprio perché segna la fine del suo lavoro (ma decide di proseguirla anche oltre, a titolo personale), segna per il protagonista una progressiva apertura al mondo e alla vita, attraverso la scoperta di colori e sapori, fino alla conoscenza con una ragazza (la figlia del defunto), con cui potrebbe nascere un legame speciale…

Non si può rivelare il finale, a suo modo davvero a sorpresa, di una storia che ruota attorno a un concetto oggi probabilmente poco “attuale” come quello di pietas. Per i Romani questo termine indicava il rapporto profondo che legava le esistenze dei vivi e dei morti e che era uno dei fondamenti del senso religioso, un elemento fondante della società che nella “cura dei defunti” vedeva un modo per preservare la tradizione ma anche di aprirsi al futuro attraverso il riconosciuto avvicendarsi di generazioni e memorie.

Ma questa “corrispondenza d’amorosi sensi” (per dirla come Foscolo) diventa in Still Life anche il riconoscimento e il tributo al valore inestimabile d’ogni esistenza, proprio ciò che la società di oggi sta perdendo.

La riflessione del capo di John, secondo cui “i funerali in fondo sono per i vivi, ai morti che importa” (ragion per cui secondo lui alle cerimonie minuziosamente orchestrate da John si può sostituire una sbrigativa eliminazione delle ceneri in un prato) contiene, quindi, insieme una grande verità e una grande menzogna, come dimostrerà il commovente finale della storia: come i gesti di ognuno lasciano tracce nelle vite che lo circondano, così nessun atto di pietas resta senza una consolazione e una ricompensa e alla fin fine, anche ai morti qualcosa importa.

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Titolo Originale: Still Life
Paese: Gran Bretagna
Anno: 2013
Regia: Uberto Pasolini
Sceneggiatura: Uberto Pasolini
Produzione: Redwave/Embargo Films/Cinecittà Studios/ Exponential Media/ Beta Cinema/ Rai Cinema
Durata: 87
Interpreti: Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan

Per ogni approfondimento: http://www.familycinematv.it

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Laura Cotta Ramosino

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