Il 9 dicembre 2013 Papa Francesco ha firmato il Decreto che approva il martirio dei servi di Dio Mario Vergara, sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere, e Isidoro Ngei Ko Lat, laico e catechista, uccisi in odio alla fede a Shadaw in Birmania (oggi Myanmar) il 24 maggio 1950. Il Processo diocesano per la Causa di Beatificazione era stato iniziato nel 2003 da mons. Sotero Phamo, vescovo di Loikaw e figlio di un catechista di padre Vergara. La Chiesa birmana festeggia così il suo primo beato e il Pime il suo quinto missionario elevato alla gloria degli altari.
Padre Mario Vergara nasce a Frattamaggiore (diocesi di Aversa) il 16 novembre 1910. Nel 1929, dopo gli studi presso il seminario minore dei gesuiti a Posillipo, viene ammesso al seminario di Monza del Pime. Il 26 agosto 1934 è ordinato sacerdote dal cardinal Ildefonso Schuster e a fine settembre parte per la Birmania, allora colonia inglese. Al suo arrivo, p. Vergara viene accolto dal vescovo Sagrada, vicario apostolico di Toungoo, che nel 1936 gli affida del distretto di Citaciò, una vasta regione di montagna e foreste abitata dai cariani Sokù, una delle più popolazioni povere e primitive della Birmania. Padre Mario è uno dei primi missionari che annunziano Cristo a questa etnia. Visita i villaggi, fonda scuole elementari, costruisce cappelle e porta in missione i bambini orfani, ammalati, denutriti. Aiutato dalle Suore della Riparazione, allo scoppio della seconda guerra mondiale, aveva 82 piccoli nel suo orfanotrofio, accanto al quale un ospedaletto e un sanatorio, per i malati di tubercolosi, malattia allora comunissima.
La missione di Citaciò fiorisce anche attraverso l’opera dei catechisti, ma nel 1941 padre Vergara viene internato nel campo di prigionia inglese di Dehra Dum in India insieme ad altri missionari italiani, considerati “nemici” dagli inglesi. Dopo 4 anni segnati da gravi problemi di salute, nel corso dei quali subisce persino l’asportazione di un rene, viene rilasciato e parte in treno per Hyderabad in India, dove c’erano i confratelli del Pime. Nell’autunno del 1946 riesce a tornare in Birmania e viene inviato dal vescovo Lanfranconi a Pretholé sui monti dei cariani a 2000 metri di altezza, dove oggi c’è la diocesi di Loikaw (una delle sei fondate dal Pime in Birmania), per far rinascere la missione abbandonata durante la guerra mondiale.
Il 1° gennaio 1948, la Birmania diventa indipendente dall’Inghilterra e pochi mesi dopo scoppia la “guerra dei cariani” (1948-1953), la tribù maggioritaria, che chiedevano l’indipendenza dalla Birmania, dominata dai birmani, loro nemici storici prima della colonizzazione inglese. Il distretto di Pretholé è però lontano dalla guerra e Vergara continua nella sua missione, aiutato, dal settembre 1948, dal giovane missionario padre Pietro Galastri di Arezzo (1918-1950). In una delle sue prime lettere da Pretholé (1947) Vergara scriveva: “Abito in una capanna di bambù, posta su un cocuzzolo di monte. Vento e sole entrano liberamente, se piove ho il bagno a domicilio, proprio come i grandi signori… eh, quando uno nasce fortunato! Per mobilio due sedie e un tavolino che ho fatto col coltellaccio del mio catechista; per cibo un po’ di riso con erbe di bosco. A sinistra catene di monti digradanti fino alla pianura di Loikaw e popolatissimi: sono duecento i villaggi di cariani rossi e alcuni di shan. I protestanti vi giunsero vent’anni fa, capite?”.
Padre Mario, oltre a una grande fede, bel carattere e capacità di realizzare iniziative a favore dei cariani (in campo educativo e sanitario), godeva della fama di guaritore. Un bambino moribondo guarisce bevendo un sorso di vino da Messa, uno storpio che si trascina penosamente guarisce dopo alcuni massaggi del missionario alla gamba ammalata. Il martirio del padre Vergara e del catechista birmano Isidoro va inquadrato storicamente nel tempo della guerra dei cariani contro i birmani, disastrosa per i cariani e la Birmania, ma da essa inizia la conversione a Cristo di questa grande e forte tribù dei monti. I battisti erano fra i cariani da vent’anni prima dei missionari cattolici, cioè d’inizio del 1900 e avevano già compiuto un’ opera di pre-evangelizzazione, con scuole e primo annunzio di Cristo e un certo numero di fedeli, soprattutto avevano formato la élite cristiana della tribù.
Oggi, con l’ecumenismo vissuto in tutte le missioni, questo sarebbe impossibile, ma i primi missionari cattolici tra i cariani erano letteralmente perseguitati. Facile immaginare la reazione dei battisti verso i due preti cattolici di Pretholé “concorrenti” che attiravano molta gente. Padre Mario racconta: “Mentre sono in cerca di maestri, i protestanti si portano sul luogo a sparlare della nostra religione. La gente, disgustata, non prende più né me né loro. Soffro indicibilmente, solo la preghiera di chi mi vuol bene mi può sostenere”. I battisti spargevano calunnie infamanti e proibizione ai locali di prestare ai preti cattolici qualsiasi servizio, nemmeno di vendere terre o cibo.
La missione cattolica comunque si afferma, per la testimonianza di sacrificio e di paziente sopportazione di missionari e suore e si distingue perché aiuta, cura e accoglie tutti i cariani anche quelli non cattolici; inoltre i due missionari difendono i loro fedeli dalla persecuzione autentica che alcune forze ribelli, di religione battista esercitano contro i loro fedeli. Quando scoppia la guerra dei cariani, gli stessi cristiani si dividono: i battisti proclamano e dirigono la “guerra d’indipendenza” del popolo cariano, i cattolici rifiutano la resistenza violenta al governo della Birmania riconosciuto dall’Onu, anche per un motivo molto pratico: impossibile uno stato separato dalla Birmania, quando i birmani sono il 59-60% degli abitanti e i cariani solo il 9-10%, sia pur concentrati in una regione abbastanza ristretta. Nel 1949 la guerra arriva anche nella regione di Pretholé. Ben presto la situazione precipita: il 24 maggio 1950 padre Mario Vergara viene arrestato insieme al maestro catechista Isidoro Ngei Ko Lat. I due vengono trucidati dai ribelli il giorno seguente e i loro corpi, chiusi in un sacco, vengono abbandonati alla corrente del fiume Salween. Anche p. Galastri, arrestato mentre è in preghiera, viene ucciso poco tempo dopo.
In quale situazione avviene il martirio di padre Vergara e di Isidoro? Nel dicembre 1949 il capo missione padre Vergara è invitato a partecipare a un convegno dei guerriglieri con i capi-villaggio della regione. Va con alcuni suoi catechisti e, richiesto del suo parere, anzitutto protesta perché i guerriglieri hanno ucciso alcuni cristiani e un suo catechista e poi si mostra del tutto contrario all’arruolamento di altre reclute cariane anche perché la sconfitta era quasi certa: l’esercito nazionale era molto ben equipaggiato e la gente cariana avrebbe ancor più sofferto la fame e le prevedibili ritorsioni. Questo suo atteggiameno gli attira l’odio del capo politico dei ribelli, un certo Tiré, battista fanatico, già maldisposto verso il missionario per le conquiste che faceva alla religione cattolica.
Nel gennaio 1950 la cittadina di Loikaw cade in mano alle truppe governative e divide in due la missione di Vergara e Galastri. I missionari sono costretti ad attraversare le linee per andare a Loikaw, unico luogo di rifornimento; incominciano a circolare voci che i padri sono spie del governo. Tale accusa prende consistenza quando l’11 maggio 1950 i guerriglieri cariani tentano di riprendere la cittadina di Loikaw, ma sono sconfitti e si ritirano lasciando sul terreno molti morti. La sera del 24 maggio padre Vergara è invitato ad andare dal capo Tiré. Ci va col suo catechista Isidoro e incontra Richmond, capo dei ribelli a tutti noto per le sue violenze e crudeltà. Richmond accusa il missionario di essere una spia e di altri crimini mai commessi. Discutono in inglese, i presenti non capiscono cosa dicono, ma vedono padre Vergara e il suo catechista uscire dalla casa ammanettati e avv
iarsi verso la foresta vicina, dove, a 24 chilometri, scorre il fiume Salween.
Poi i ribelli vanno alla missione dove trovano il giovane padre Galastri in preghiera e gli ordinano di seguirli. I due missionari e il catechista Isidoro sono fucilati sulla riva del Salween e gettati nel fiume chiusi in sacchi. Padre Galastri è ucciso il giorno dopo, quando al mattino del 26 maggio dal vicino villaggio la gente sente gli spari della fucilazione. Nel commentare la morte violenta dei due missionari e del catechista, padre Pasquale Ziello scriveva che erano stati vittime di una persecuzione ispirata dall’odio verso la Chiesa e la loro carità e auspicava che la Chiesa potesse un giorno sanzionare la sua convinzione dichiarandoli “martiri della fede e dell’amore. E il beato padre Paolo Manna ha dichiarava: “Si deve ritenere che padre Vergara e p. Galastri siano stati uccisi e fatti scomparire proprio in odium fidei”.
La prossima beatificazione rappresenta una fonte di grande gioia anche per la Chiesa birmana, che in Isidoro Ngei vede il suo primo beato, dopo il beato padre Clemente Vismara (1897-1988), con 65 anni di vita in Birmania, beatificato nel 2011. Nel maggio del 2008, la Conferenza episcopale scrive una lettera a Benedetto XVI per “chiedere umilmente al Papa di autorizzare lo studio della causa”. La beatificazione di p. Vergara e del suo catechista, scrivevano i vescovi, “sarebbe un grande incoraggiamento per l’intera comunità cattolica del Myanmar a vivere una fede più in conformità con il Vangelo e a testimoniare in maniera coraggiosa ed eroica la propria fede, incoraggiati dall’esempio del catechista Isidoro che non ha esitato ad offrire la sua stessa vita per il Vangelo insieme a p. Vergara”.