La notte europea: correlazione tra declino demografico ed economico

Meno natalità, meno crescita, meno lavoratori, più pensionati e una crisi fiscale per il welfare europeo

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Tra le varie cause della “notte europea”, ovvero la crisi che il nostro continente sta attraversando, c’è anche il declino demografico. In Europa, dall’Italia, alla Germania, alla Spagna, numerosi studi evidenziano la profondità dell'”inverno demografico”. Tanto che il presidente della Conferenza Episcopale italiana, il cardinale Angelo Bagnasco è arrivato ad affermare: “L’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico”.

La causa delle “notte europea” è dovuta alla crisi antropologica e di senso di matrice nichilista, secondo la definizione del postmodernismo di Jean Baudrillard ed altri. Essa ha gemmato sia
la crisi finanziaria-economica, sia la corruzione diffusa, ma anche il crollo demografico che ha colpito i Paesi avanzati dagli anni ’70 del secolo scorso. In tal senso, un interessante studio in Italia viene presentato nel saggio dell’ex governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, intitolato “Sviluppo e declino demografico in Europa e nel mondo” (Edizioni Marietti Roma, 2012).

Per Fazio il tema non è nuovo, visto che la sua tesi di laurea in Economia e Commercio riguardava proprio il rapporto tra struttura della popolazione e sviluppo economico in Italia. Nel libro, l’ex governatore della Banca d’Italia analizza, dunque, l’interazione tra la crescita demografia e sviluppo economico con un corredo di dati scientificamente solidi. In particolare, evidenzia come la crescita geometrica della popolazione mondiale degli ultimi due secoli coincida con la più grande crescita economica della storia e sulla potenziale decrescita futura. Allo stesso tempo propone riflessioni antitetiche rispetto a quelle di norma allarmistiche, connesse al fenomeno della crescita demografica.

L’autore utilizza i dati delle nuove proiezioni sulla popolazione mondiale fino all’anno 2100, elaborati dalla Divisione per la Popolazione delle Nazioni Unite e pubblicati nel 2011, che stimano che la popolazione del pianeta – che nel 2012 ha superato i 7 miliardi di unità – raggiunga i 9,3 miliardi nel 2050 per superare i 10 miliardi nel 2100.

E’ indubbio che la crescita della popolazione e dell’economia comporti problemi sociali, economici e ambientali, ma le letture catastrofiche dei malthusiani vecchi e nuovi sono del tutto infondate e fondale sull’utilitarismo egolatrico. Fazio dimostra l’ascientificità dell’ideologia nichilista, partendo proprio dalle previsioni apocalittiche del teologo economista Thomas Robert Malthus (cfr. Saggio sul principio di popolazione) realizzate all’inizio del XIX secolo.
Lo studioso affermava che l’economia cresce con una progressione matematica, mentre la popolazione cresce in maniera geometrica, e che questo gap sarebbe insostenibile generando fame e povertà diffusa.

Dopo due secoli, gli inglesi hanno una qualità e una quantità di vita nettamente migliori rispetto a quella dei loro conterranei dell’800. Altro punto: Fazio dimostra come sia una costante storica la correlazione tra sviluppo demografico ed economico, per cui alla crescita della popolazione corrisponde un aumento delle capacità produttive e quindi della ricchezza del Paese. Purtroppo nonostante questa letteratura scientifica la cultura nichilista della natalità imperversa a livello globale.

Entrando nella dinamica dei numeri scopriamo che  la popolazione italiana – al pari di quella giapponese – è la più anziana del mondo. Scrive Fazio: “Se non ci saranno aumenti nei prossimi decenni per l’indice di fertilità, nel corso di due generazioni il numero delle donne italiane e quindi degli italiani sarà dimezzato”. In generale per l’Europa, sostiene l’economista. le “popolazioni con tendenze in atto come quelle rilevate e sommariamente descritte nei paesi europei sembrano condannare queste popolazioni nel giro di qualche generazione a una sorta di eutanasia sociale”. Lo studio di Fazio è confermato dall’Economist: “Su 15 paesi europei, in 11 si verifica un verticale declino del tasso di fertilità”.

E’ il caso della Germania: un altro studio pubblicato dall’Istituto federale per la ricerca sulla popolazione conferma: “In Germania si è fatto strada l’ideale di una rinuncia volontaria ai figli”. Il trend tedesco è persino peggiore di quello della Spagna, tanto che il settimanale tedesco Spiegel ha titolato un lungo servizio “Una terra senza figli”. Per l’Instituto Nacional de Estadística, rispetto al 2011 c’è stato un calo demografico del ben 3,5% in meno di figli in Spagna.  La fertilità è scesa al tasso irrisorio di 1,35 figli per donna, 1,31 per le donne spagnole native. Questo significa che degli attuali 47 milioni di abitanti, la Spagna è destinata a passare a 35 milioni in trent’anni.

L’Instituto Nacional de Estadística commenta così questi dati: “La Spagna sta attraversando una grave crisi economica, ma alla fine molto più pericolosa, anche se vi si presta poca attenzione, è la crisi demografica”. Anche le recenti statistiche dell’Onu, confermano questo trend nichilista che evidenziano sia la causa del declino economico sia la crisi antropologica e culturale per l’Europa: Grecia (con un tasso di fertilità pari a 1,46), Portogallo (1,36), Italia (1,38) e Germania (1,36) sono le più deprimenti.

Le eccezioni di Francia (1,97), Inghilterra (1,83) e Svezia (1,9) sono dovute alla maggiore natalità delle popolazioni di immigrati. Se facciamo una lettura sinottica con le cifre degli stessi paesi negli anni ’60 possiamo notare come la descrescita sia realmente drammatica: Grecia (2,27), Spagna (2,7), Portogallo (3,29), Italia (2,29), Germania (2,3), Francia (2,7), Inghilterra (2,49) e Svezia (2,23). Purtroppo questa ideologia nichilista della denatalità governa anche le politiche mondiali dell’Onu.

Tale “inverno demografico” comporta una riduzione del capitale umano accompagnata da una forte riduzione di produttività (dovuta all’invecchiamento della popolazione), con una conseguente pressione sul “sistema pensionistico e di previdenza sociale” e da una minore capacità di assistere la sempre più numerosa popolazione anziana. Dunque meno natalità, meno crescita, meno lavoratori, più pensionati e una crisi fiscale per il welfare europeo. Una popolazione più anziana possiede minori capacità innovative e imprenditoriali, ed è quindi meno in grado di stimolare adeguatamente lo sviluppo dell’economia nazionale. Se a questo aggiungiamo le politiche di austerity dell’Europa, che costringono i giovani a pagare tasse più alte per mantenere anche la popolazione anziana, tutto questo non fa altro che rendere più difficile per le nuove generazioni la creazione di una famiglia. 

La nostra società non è la prima a vivere l'”inverno demografico”. Intorno al 150 a.C. lo storico Polibio scriveva: “Nella nostra epoca tutta la Grecia è stata caratterizzata da una riduzione nel tasso di natalità e da una generale diminuzione della popolazione, a causa della quale le città sono diventate deserte e le campagne hanno smesso di dare raccolti”. In questo clima di abisso demografico che imperversa sui paesi a sviluppo avanzato, l’Italia, come illustra bene Antonio Fazio nel suo libro, si caratterizza per essere da tempo ai vertici nel panorama mondiale della bassa fecondità e di crescita economica.

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Carmine Tabarro

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