"Un solo 'sì' e l'Eterno è entrato nel tempo"

Omelia di mons. Vincenzo Bertolone nella Solennità dell’Immacolata

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Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata da monsignor Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nella Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria, celebrata ieri, domenica 8 dicembre 2013.

*** 

Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. (Ef 1,3)

«Dimmi, o luna: a che vale/al pastor la sua vita/la vostra vita a voi?

dimmi: ove tende/questo mio vagar breve,/il tuo corso immortale?».

Sono versi immortali di Giacomo Leopardi, del famoso “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, nei quali -come già prima e dopo il 1829- il poeta (stavolta pastore errante) esprime l’eterna situazione di dubbio angoscioso dell’uomo e lo stato che ne consegue di pessimismo lacerato da interrogativi senza risposta. Eppure, nel breve volger del tempo (circa sette anni) residuo della troppa breve vita, il poeta stempererà il suo tragico pessimismo e, comunque, tra le domande gelidamente senza risposta, quella sul male contiene in nuce uno spiraglio, si apre ad una se non propria certezza almeno ad una speranza di bene, di riconciliazione tra Creatura e creature, il cui tramite non sarà l’algida luna ma, diciamo noi, una dolce ed affettuosissima creatura terrena: Maria.  È proprio per suo tramite che il Signore ci copre di ogni benedizione, come scrisse san Paolo agli Efesini. Ed allora, come non unire, miei carissimi fratelli e sorelle, la nostra lode a quella dell’apostolo Paolo, spalancando le porte del nostro cuore all’amore che Dio in maniera copiosa vi ha profuso? Come non ringraziare con Paolo Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha ricoperto di ogni benedizione spirituale nei cieli? Come non  attestare, con il nostro “amen”, la maestà dell’opera di Dio che ha in sé un solo ed unico progetto: farci “uno” con lui?

Gli occhi della nostra mente, sia pure impari a causa della loro naturalità, colgono la grandezza  divina, che ancor prima della creazione del mondo, ha voluto che fossimo santi e immacolati alla Sua presenza nella carità e fossimo predestinati, per sovrabbondanza di amore, ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo (cf. Ef 1, 4-6).

Oggi, miei carissimi, lodiamo, ringraziamo ed attestiamo con il cuore la nostra appartenenza alla famiglia “umana”  cristiana e cattolica tanto fortemente desiderata da Dio Padre.

Però, dobbiamo constatare che come figli siamo stati e siamo irriconoscenti nei suoi confronti. Il “no” dei nostri progenitori (cf. Gn 3,9-15.20) ha generato la morte, il peccato, le nostre mancanze, la rinuncia ribelle all’adesione a Dio. La nostra affermazione di autonomia, il nostro credere di poter essere creature indipendenti, il supporre una connaturata e svincolata libertà ha innescato una sequela di “no” ancora in essere, perché nella nostra supponenza crediamo di non aver più bisogno di Dio, certi come siamo di poter camminare da soli. Il “passo” di Dio nel giardino della nostra esistenza non provoca la gioia, bensì il timore di essere scoperti, nudi, ormai privi di lui. La nostra materialità ci impedisce di vedere le orme di Dio accanto alle nostre; la nostra natura umana ci lega ancora così tanto alla terra da non farci spalancare gli occhi all’immensità celestiale in confronto della quale siamo ancor meno di atomi. Per fortuna i nostri “no” non fanno desistere un amore sovrabbondante e smisurato ed infatti Dio Padre è sempre lì, a tenderci la mano salvifica e redentrice dal male: Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe; questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno (Gn 3,15). Ecco, già sin dal principio l’annuncio di una nuova Eva, di una nuova Madre per il genere umano, la madre del Figlio unigenito Gesù Cristo. Con il “si” di Maria all’Onnipotente è cominciata la nostra effettiva lotta al peccato, cancellando l’ambiguità di Eva nell’Eden.

Il mistero dell’Incarnazione, che celebreremo nel Natale ormai vicino, è la piena realizzazione dell’unione tra il cielo e la terra, un indissolubile connubio tra Dio e l’uomo, una indelebile testimonianza di un imperscrutabile disegno che è “da sempre” e che ci dice, nella figura del Cristo, che sarà “per sempre”.

Un solo “si” e l’Eterno è entrato nel tempo. L’aderire in semplicità di una fanciulla di Nazareth ha spalancato le porte del Cielo. Un incondizionato “eccomi” e la terra nel suo grembo ha accolto lo Spirito fecondatore.

Maria, con il suo “eccomi” è testimone, ancora oggi, che dire “si” a Dio è compiere un salto, non nel “vuoto”, ma di “qualità”. Dire “si” a Dio vuol dire accogliere non solo l’irrompere di Dio nella nostra vita, ma il lasciarsi completamente andare tra le sue braccia.

Nella terra di Galilea, un nuovo scenario. La casa di Nazareth: il “nuovo” giardino. Maria, la nuova Eva. Nel suo grembo, il nuovo Adamo. Ce lo racconta il Vangelo di Luca, già preannunciato nel passato dai Profeti: Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele (Is 7,14). I primi due capitoli di questo annuncio di un’evangelizzazione sempre in “cammino” – (il verbo “annunciare” è presente 15 volte nel Vangelo e 10 negli Atti) – raccontano una scena quieta, come può svolgersi in povere pareti domestiche. Ma Luca è soprattutto l’evangelista della sollecitudine di Dio, il quale si serve degli angeli per “gettare un ponte” tra cielo e terra. Saranno gli annunciatori sia della risurrezione di Cristo, sia – per tre volte – della nascita dell’Emmanuele (e, ancor prima del precursore Giovanni):

–         a Zaccaria,  al quale – nel momento più alto e solenne per un sacerdote – sta per entrare nel Santo per fare la sua offerta, mentre uomini e donne sono nei cortili a pregare, ecco apparire un angelo del Signore, ritto alla destra dell’altare dell’incenso (Lc 1,11);

–         a Maria, nella sua casetta: l’angelo Gabriele, entrando, le attribuisce l’apposizione di “piena di grazia”;

–         ai pastori, che facevano la guardia, contro i ladri, al loro gregge: Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce (Lc 2,9).

Nelle tre circostanze la presenza angelica è motivo di sgomento, di turbamento; eppure, a differenza dell’antica esperienza paradisiaca precedente la “cacciata di Adamo ed Eva”, dal naturale spavento grazie anche al rassicurante invito a “non temere”, non si ha un atteggiamento di chiusura, bensì di lode e di canto:

–         di Zaccaria: Benedetto il Signore Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo, e ha suscitato per noi una salvezza potente nella casa di Davide, suo servo (Lc 1,68-69);

–          di Maria: L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva (Lc 1,46b-48°);

–         degli angeli:Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama, che spingono i pastori ad andare fino a Betlemme, [a vedere] questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere (Lc 2,14-15).

Non bisogna spaventarsi, dunque, al manifestarsi del soprannaturale; e neppure restare inattivi, inebetiti, indifferenti al prodigio; non chiudiamo gli occhi alla Luce che squarcia le tenebre per non accoglierla. Evitiamo il rischio, di cui parla l’Arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini (poi Paolo VI) citando sant’Agostino: «Timeo transeuntem Deum, temo Iddio che passa. Dio ha le Sue ore, Dio ha i suoi passaggi, Dio ha i Suoi momenti. Dio passa: chi non sa e non vuole cogliere quel momento, si gioca la propria fortuna, il propr
io destino» (G. B. Montini, Gesù è il Salvatore, Lecco 08.10.1961 (Missione cittadina), in Discorsi, scritti e messaggi, III, 4675 [1872]). Non lasciamo che anche questo momento “favorevole” passi. E’ il momento di operare una trasformazione radicale nella nostra vita: da pastori erranti a uomini sulle orme del Divino Viandante.

Quello della nascita del Salvatore è un annuncio senza precedenti, che avrebbe sconvolto e sconvolgerebbe qualunque creatura.

La conoscenza umana è, per sua natura, limitata e, perciò fa fatica ad accogliere l’illimitato: Come posso conoscere questo?,domanda incredulo Zaccaria; e Maria esclama stupefatta: Come è possibile? Non conosco uomo. Ecco perché è sempre Dio a compiere il primo passo, ad andare incontro alla fragilità umana con alcuni “segni” della sua smisurata grandezza:

–         a Zaccaria, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno (Lc 1,20);

–         a Maria, Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio (Lc 1,36);

–         ai pastori, Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,12).

Sin dalla creazione siamo stati ricolmati della grazia divina, sin dal grembo materno Dio sapeva il nostro nome, su ciascuno di noi ha costruito un suo progetto di amore: Maria è la “piena di Grazia”, è la testimone di quanto sconfinata sia la benevolenza di Dio verso le sue creature.

La Vergine Maria è icona della “profezia” da sempre annunciata e da sempre mantenuta.

Maria è la nuova Gerusalemme. L’annuncio dell’angelo, infatti, evoca le parole che il profeta Sofonia rivolge a Gerusalemme, raffigurata come “figlia di Sion”: Gioisci, figlia di Sion, rallegrati… figlia di Gerusalemme! Re d’Israele è il Signore in mezzo a te. Non temere, Sion, il Signore tuo Dio nel tuo seno è un salvatore potente (Sof 3,14-17).

In Maria si compie quanto Dio aveva promesso al profeta Natan: un trono stabile, una “casa”, un regno senza fine, su cui fondare un rapporto di reciprocità: Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Il trono del tuo regno io renderò stabile per sempre. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre… (2Sam 7,12-14).

Maria è la nuova “arca dell’alleanza”, piena della presenza divina, avvolta dalla nube fecondatrice dello Spirito Santo: la nube coprì della sua ombra la tenda del convegno e la Gloria del Signore riempiva la dimora (Es. 40,34).

Maria è la testimone oculare che nulla è impossibile a Dio (Gn 18,14).

Il suo dichiararsi “serva del Signore” non solo la identifica come Madre del Messia, ma ancor più come Madre dell’obbedienza incondizionatamente fedele e tipica di chi è assolutamente consapevole che ogni cosa, anche quella ritenuta dall’uomo impossibile, è nelle mani di Dio.

O Maria

Virgo fidelis,

profezia mantenuta,

figlia di Sion,

trono stabile,

arca della nuova alleanza,

serva del Signore

madre del Messia,

madre dell’obbedienza,

apri i nostri occhi,

spalanca il nostro cuore,

dischiudi le nostre labbra,

perché come te possiamo

volgere il nostro sguardo al cielo,

accogliere l’eccedente amore di Dio,

e proclamare senza fine:

alcuna cosa è impossibile per Dio.

Amen

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ZENIT Staff

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