Il Collegio Nazareno verso la chiusura

La scuola pubblica ‘popolare’ più antica d’Europa, fondata da San Giuseppe Calasanzio nel 1630 potrebbe essere trasformata in un albergo extra-lusso

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Da quattro secoli è una delle memorie parlanti dell’incantevole centro storico romano, proprio nella culla della Cristianità. In quel largo situato tra via del Tritone e piazza di Spagna, che prende il nome proprio dall’antica scuola omonima, a stretto contatto con la celebre Chiesa di Sant’Andrea delle Fratte (in cui la Vergine Maria apparve all’ebreo Alphonse Maria Ratisbonne convertendolo a Cristo), il Collegio Nazareno è dal 1630 il simbolo vivente, oltre che il precursore cronologico, di tutte le scuole popolari d’ispirazione cristiana.

Scuola ‘popolare’ originariamente gratuita, e quindi pubblica, proprio perché pro populo, pensata cioè appositamente per i più poveri e sfortunati (che allora pure erano tanti) della Città Eterna. Così l’aveva ideata e voluta uno dei più grandi Santi fondatori della storia della Chiesa: lo spagnolo Giuseppe Calasanzio (1557-1648), istitutore dell’ordine degli scolopi, come abitualmente vengono chiamati i religiosi appartenenti ai Chierici regolari poveri della Madre di Dio delle scuole pie, per l’appunto le prime scuole d’ispirazione cristiana rivolte esplicitamente ai poveri, nell’anima e nel corpo. Scuole di formazione umana, oltre che d’istruzione materiale, ad ampio respiro, rivolte a tutti, e al contempo con un’offerta didattica ricca e ‘di alta qualità’, come la definiremmo oggi. 

Il Collegio Nazareno fu la prima scuola del suo genere e il Santo stesso ne fu il primo rettore. Tante altre poi ne seguirono. Senza quell’intuizione, che poi è alla base della pedagogia moderna e del senso stesso dell’autentica istruzione pubblica (che precede e fonda lo Stato in quanto tale), probabilmente l’intera storia dell’educazione nel nostro Paese sarebbe molto diversa.

Basti dire che il Calasanzio attinse direttamente all’esperienza del quasi contemporaneo San Filippo Neri (1515-1595) e farà da modello per l’elaborazione del celebre ‘metodo preventivo’ di San Giovanni Bosco (1815-1888) che visiterà personalmente la rinomata scuola romana tra il 1865 e il 1866.

Pio IX seguirà una manciata di anni dopo, per dare un’idea del livello dell’opera e dell’istituzione. Un’esperienza talmente inaudita da entrare persino nell’immortale, e tuttora ineguagliata, Storia dei Papi di Ludwig von Pastor (1854-1928).

Superando le persecuzioni di tutte le epoche (dalle requisizioni napoleoniche a quelle dello Stato unitario all’indomani della presa manu militari di Roma), la scuola ha accolto nei secoli scrittori e studiosi, artisti e intellettuali, ospitando al suo interno anche un prezioso museo mineralogico e una biblioteca con un patrimonio storico di tutto rispetto.

Ora tutto questo potrebbe finire per sempre perché il cinquecentesco Palazzo Tonti (con le sue gallerie pregiate e i suoi soffitti affrescati), sommerso dai debiti e da discutibili operazioni finanziarie della Fondazione omonima che amministra i locali della scuola, potrebbe essere trasformato in un albergo di extra-lusso, l’ennesimo nel centro storico della capitale, o in una struttura di ospitalità per stranieri a pagamento, cambiando, in ogni caso, proprietà, destinazione d’uso e terminando così dopo quasi quattro secoli la sua storica ed esemplare missione.

Già adesso la splendida terrazza con veduta panoramica sull’urbe è in gestione a un grande partito politico ma i progetti ventilati dagli imprenditori che sono all’orizzonte, costruttori e compratori senza scrupoli di interi immobili nell’area nevralgica della Capitale, fanno temere per il peggio. Il tutto accade, e si trascina stancamente da mesi, nell’indifferenza e nel disinteresse più completo tanto degli osservatori diretti e dei grandi mezzi di comunicazione, quanto delle parti in causa.

Una vicenda triste e obiettivamente clamorosa nella sua portata che, se – come al momento purtroppo pare – dovesse finire davvero in questo modo, distruggerebbe non solo ciò che rimane della memoria di un Santo che ha fatto tanto per Roma, ma anche un’istituzione educativa tra le più antiche d’Europa, oltre che pionieristica nel suo genere in Italia.

Dovrebbero essere quindi anzitutto i romani, la società civile e la comunità cristiana capitolina e quanti hanno a cuore la custodia, oltre che la memoria, delle proprie radici culturali e spirituali ad alzare la voce verso questo epilogo inglorioso e repentino perché non si tratta, evidentemente, di una mera questione di natura amministrativa interna alle scelte dirigenziali di un semplice ordine religioso fra i tanti ma di un patrimonio pubblico plurisecolare, artistico e spirituale, che dovrebbe interessare ed essere condiviso da tutti e per cui non ci sono – o, in linea teorica, almeno non ci dovrebbero essere – giustificazioni di tipo economico o commerciale.

Da ultimo, se lo storico portone del Nazareno chiuderà davvero per sempre, vorrà dire che saremo di fronte a una sconfitta enorme anche per la tenuta della libertà di educazione in questo Paese, proprio nel momento in cui l’emergenza della questione educativa appare invece in tutte le sue conseguenze più drammatiche a livello sociale e politico.

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Omar Ebrahime

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