L’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede è stata al centro dell’attenzione dei media negli ultimi giorni. Poco dopo che l’ambasciatore Ken Hackett, quarant’anni al servizio del Catholic Relief Service (CRS), ha presentato le proprie credenziali alla Santa Sede, alcuni organi di stampa hanno riferito che l’ambasciata si era trasferita dalla sua sede originaria a una nuova, non lontano dall’ambasciata USA in Italia. Il Dipartimento di Stato ha quindi convocato una conferenza stampa per dissipare le “leggende” riguardo quello che taluni hanno ritenuto un atteggiamento sprezzante nei confronti della Santa Sede.
Nella prima parte dell’intervista che ha concesso a ZENIT, l’ambasciatore Hackett ha parlato della sua speranza di instaurare delle relazioni positive con la Santa Sede, ha condiviso le sue riflessioni sulle recenti visite del presidente russo Vladimir Putin e del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, e ha accennato alla possibilità di una visita del presidente Obama a papa Francesco.
Ambasciatore Hackett, può raccontarci qualcosa di se stesso?
Ambasciatore Hackett: Sono originario di Boston e ho frequentato il Boston College. Ho poi conosciuto e sposato mia moglie, che è anche lei della zona di Boston, anche se in realtà non abbiamo mai vissuto lì. Dopo che ci siamo sposati, ci siamo trasferiti nelle Filippine, dove è nato il nostro primo figlio. Cinque anni dopo sono stato trasferito in Kenya, dove è nato il nostro secondo figlio. Sono poi tornato negli Stati Uniti in qualità di direttore esecutivo del Catholic Relief Service. Sono andato in pensione nel febbraio 2012, mi sono trasferito in Florida ed ero felice. Andavo in spiaggia, giocavo a tennis e a golf. Poi abbiamo ricevuto la chiamata della Casa Bianca, che ci chiedeva se volevamo assumere questa nuova posizione, della quale eravamo onorati e lusingati. Ed eccoci qua!
Con il Catholic Relief Service, vivevamo nelle Filippine. Per 12 anni sono stato direttore regionale in Africa, quindi ho trascorso molto del mio tempo, viaggiando per l’Africa sub sahariana. In seguito ho ottenuto una carica nel CRS, per la quale ho avuto contatti con tutte le diocesi americane e ho fatto fund raising.
Lei ha presentato le sue credenziali al Santo Padre: c’è stato qualcosa in particolare che l’ha colpita del vostro incontro o della vostra conversazione?
Ambasciatore Hackett: Ho presentato le mie credenziali lo scorso 21 ottobre, memoria della santa americana Kateri Tekakwitha. Mia moglie ha ordinato una moneta di Kateri Tekakwitha, ma non abbiamo fatto in tempo a portarla. Abbiamo parlato della situazione mondiale, in particolare della terribile situazione in Siria, della sofferenza, della speranza per la pace, della speranza per una collaborazione tra gli Stati Uniti e la Santa Sede su temi come il traffico di persone, fino ai temi della pace. Non siamo entrati nel merito specifico dei problemi, abbiamo avuto una discussione generica.
Ciò che ho percepito è stato, innanzitutto, il suo stile molto pastorale. È una persona che trasmette vibrazioni positive, che te lo fanno sentire vicino, che ti mette a tuo agio e che è davvero attento a te. E ti parla come persona. Il Papa ha parlato in spagnolo, io in inglese e abbiamo avuto un interprete. Capisce l’inglese molto più di quanto io non capisca lo spagnolo. Ha parlato molto lentamente e ha provato a comunicare in spagnolo, sebbene io non comprendessi. Ed è stata quella cordiale, calda vicinanza che lui trasmette virtualmente a tutti. È un’aura speciale che deriva dalla sua profonda fede.
Papa Francesco ha posto molta enfasi su temi come la povertà, l’immigrazione e la risoluzione pacifica dei conflitti nel mondo, temi rilevanti per gli Stati Uniti. Come ambasciatore USA, qual è il suo pensiero sulle iniziative del Santo Padre in questi ambiti? In quali contesti ritiene che la Santa Sede e gli Stati Uniti possano lavorare insieme?
Ambasciatore Hackett: Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati per le condizioni dei migranti. Non solo per le persone provenienti dal Nord Africa o da luoghi come l’Eritrea o la Siria e diretti in Europa, ma all’intera questione dell’immigrazione. Gli USA, per molti anni, hanno attivamente sostenuto gli sforzi a favore dei rifugiati, degli sfollati e intendiamo continuare a farlo.
Il Santo Padre, come è evidente, mostra una particolare preoccupazione per l’intero tema dei traffici illeciti. Parliamo di traffico di persone, traffico di forza lavoro e, venendo alla parte più terribile, traffico di organi e traffico sessuale. Ha quindi incoraggiato chi di dovere in Vaticano a trovare una maniera per contrastare il fenomeno. Noi, come governo degli Stati Uniti, vogliamo impegnarci altrettanto e siamo pronti a sostenere questa causa. Ad esempio, c’è una suora filippina qui in città che si è presa l’ingrato compito di aiutare altre religiose a comprendere l’intero fenomeno del traffico, di quanto orribile esso sia e cosa possono fare per fermarlo. Le abbiamo supportate finanziariamente e speriamo di continuare a farlo. Quest’ultima è una vicenda di piccole dimensioni.
Ci sarà un servizio stampa per la fame nel mondo la prossima settimana. Si terrà a Trastevere e ne farà parte l’intera rete della Caritas, che include la mia vecchia agenzia Catholic Relief Services; anch’io vi sarò presente. Sono piccole azioni che compiamo qui ma il governo USA fa molto di più in tutto il mondo. Nell’assistenza ai rifugiati siriani, gran parte del contributo dal lato umanitario è americano. Vogliamo continuare alcune di queste iniziative e intraprendere le iniziative più sostanziali dove vi siano opportunità di lavorare insieme per la pace tra Stati Uniti e Santa Sede.
In considerazione della situazione in Siria, è sembrato che la Russia e la Santa Sede fossero sulla stessa lunghezza d’onda, in contrapposizione agli Stati Uniti. Cosa ne pensa della visita di Vladimir Putin al Santo Padre?
Ambasciatore Hackett: Non la vedo esattamente così. Credo ci sia stato un pizzico di opportunismo da parte di Putin. Penso che la Santa Sede stesse premendo per una soluzione pacifica. Anche il presidente Obama voleva una soluzione pacifica. Ma al momento persistono gli orrori perpetrati contro la popolazione della Siria e non abbiamo ancora trovato questa soluzione diplomatica. Quindi, sembra che portare persone al tavolo delle trattative sia possibile ma bisogna fare pressioni. E questo è parte della diplomazia: a volte, bisogna fare una discreta pressione per portare la gente a vedere un cammino che prosegue.
Credo che la Santa Sede sia impegnata attivamente nel sostegno a risoluzioni pacifiche della situazione in Siria. E in questo possiamo trovare certamente una causa comune. Ogni giorno, però, ci giunge notizia di nuovi orrori: delle dodici suore rapite non sappiamo cosa sia loro successo. Comunque non metterei la posizione di papa Francesco e di Putin su un piano, contrapposta con la posizione di Obama e di Hollande. Secondo me è una forzatura.
Cosa ne pensa, invece, della visita del premier israeliano Netanyahu al Santo Padre?
Ambasciatore Hackett: Da quanto abbiamo appreso, è stata positiva. Netanyahu vuole certamente una visita di papa Francesco nel suo paese. Secondo alcune persone con cui ho parlato, non c’è una data stabilita, se ne sta ancora discutendo. Ci sono contatti con gli israeliani, con il Patriarca Bartolomeo, con i palestinesi, con i giordani. E sembra che possa esserci una visita a maggio.
Dall’altro lato c’è l’intera negoziazione sulle relazioni tra Santa Sede e Stato di Israele sulla proprietà, sulla scuola, sulle tasse, ecc. Non credo che il Santo Padre entrerà in ognuno di questi dettagli ma penso che lo farà monsignor Parolin.
C’è poi la più grande, sostanziosa e fondamentale istanza di pace tra Israele e Palestina. Sono sicuro che il Santo Padre
incoraggerà un movimento in questa direzione. Capisco che il Netanyahu si sia soffermato sulla lunga storia delle relazioni israelo-palestinesi. Credo ci possa essere stata qualche menzione riguardo alla situazione iraniana nell’incontro tra il premier israeliano e il Papa. So che c’è stata una discussione su questo durante l’incontro con il Segretario di Stato.
Queste opportunità per il dialogo sono buone. Ed è mia speranza che il presidente Obama e il Segretario di Stato americano Kerry possano andare anche loro dal Papa.
A proposito di una possibile visita di Obama e Kerry, ci sono progetti precisi?
Ambasciatore Hackett: Non ci sono date stabilite. Quando ci siamo incontrati a Washington, il Segretario di Stato Kerry mi ha detto di volerci andare sul serio. So che il presidente Obama vorrebbe andarci nel momento giusto e nell’occasione giusta. So che non è ancora in calendario ma non ne rimarrà fuori.
[La seconda parte sarà pubblicata domani, sabato 7 dicembre]