L’archistar Calatrava mette piede per la prima volta in Vaticano ed è subito magia. La magia di modelli architettonici al limite tra il surreale e l’onirico, di sculture in bronzo, legno, marmo, alabastro che si muovono come elementi della natura, di disegni che restituiscono la tradizione rinascimentale in forma postmoderna. Sono 140 le opere in totale che compongono la mostra “Santiago Calatrava. Le metamorfosi dello spazio”, allestita nel monumentale corridoio beniniano detto ‘Braccio di Carlo Magno’, e che sintetizzano l’eclettica produzione del sessantenne architetto e ingegnere valenciano.
Inaugurata ieri, mercoledì 4 dicembre, la mostra rimarrà aperta fino al 20 febbraio 2014 ed è promossa dai Musei Vaticani e dal Pontificio Consiglio della Cultura, del cui consiglio direttivo fa parte lo stesso Calatrava. Soprattutto, l’esposizione si avvale della intelligente curatela di Micol Forti, curatrice della Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, che – “accolta e aiutata” dallo studio Calatrava di Zurigo e assistita dall’architetto in persona – ha voluto abbinare ai plastici di alcune famose opere architettoniche del maestro, il loro corrispettivo pittorico e scultoreo.
Punto focale dell’esposizione è infatti la convergenza fra i diversi linguaggi artistici utilizzati da Calatrava, che il vasto pubblico probabilmente non conosce identificando il suo nome con i lavori architettonici. Tra questi, solo per citarne alcuni: il quarto ponte sul Canal Grande, a Venezia, la Città dello Sport di Tor Vergata, a Roma. O ancora il complesso olimpico di Atene, e la Chiesa greco-ortodossa di St. Nicholas a New York, progettata per Ground Zero (il cui modello è esposto nella mostra).
“È molto interessante – ha osservato la Forti nella preview per la stampa – questa frequentazione dell’artista con altri linguaggi, come quello della scultura e della pittura in primis, che lui conosce dall’interno del rigore di ogni disciplina e riesce a declinare in forme sia vicine, aderenti e coerenti con le ricerche spaziali, sia totalmente indipendenti da esse”.
Snodandosi tra plastici, sculture, dipinti, la mostra non segue quindi un andamento cronologico né tematico, ma rende visibile la vocazione all’interdisciplinarietà che da sempre caratterizza l’opera di Calatrava. “Il percorso – afferma la curatrice – è quello delle contaminazioni, le opere sono messe insieme perché si parlano. Si possono parlare in termini tecnici, cioè disegni preparatori con il plastico da cui quel disegno è scaturito, ma si possono parlare perché ragionano su tematiche simili”. L’idea, dice Forti, “è proprio quella della compresenza di questi elementi senza una linearità storica, che in genere è quella cronologica”.
In particolare, nel percorso espositivo si distinguono la miniatura della Chiesa di St. Nicholas e il magnificente plastico del progetto per la Cattedrale di St. John the Divine, entrambe a New York. Un progetto audace, quest’ultimo, non ancora realizzato (come d’altronde molti dei “pezzi” esposti), che, conciliando spazio sacro e natura, prevede una serra sul tetto dell’edificio. Lo stesso binomio – leit motive dell’arte dell’arquitecto – è presente nel modello della Los Angeles Chapel, dedicata al francescano Padre Junipero, missionario nel 1767 nella “Baja California”.
La chiesa, nel progetto di Calatrava, si presenta come una capanna del tutto simile a quella degli indiani che da sempre affascinano l’architetto. Il modello è dunque una cappella immersa nello spazio, le cui “pareti”, come un volatile che dispiega le ali o le fronde di un albero mosse dal vento, si aprono alzandosi verso l’esterno, lasciando così entrare aria e luce, e annullando ogni confine fisico tra spazio sacro e collettivo. Il modellino, azionato da un pulsante dalla Forti, ha riscosso infatti parecchi applausi da parte dei giornalisti.
Un impatto maggiore lo avrebbe avuto forse la suggestiva The wave (2005), la gigantesca onda in ottone, ampia 5 per 2,6 metri, che, secondo il progetto, doveva sussultare come una risacca marina, creando anche un suono similare. Purtroppo però, spiega la curatrice, “i tecnici dell’artista non sono riusciti ad attivarla, quindi neanche noi l’abbiamo mai vista in azione. Sappiamo che è dotata di un meccanismo che ne avrebbe dovuto garantire il movimento, ma l’abbiamo ricevuta dalla Spagna già in queste condizioni”.
Tuttavia, la vera “chicca” della mostra vaticana rimangono i disegni di Santiago Calatrava. Probabilmente perché la radice e l’anima della sua architettura sta proprio nell’arte. “Nella sua idea di disegno – osserva Micol Forti con ‘occhio’ da storica d’arte – credo che ci sia la tradizione rinascimentale, come la volevano Leon Battista Alberti, Leonardo, Michelangelo”. Il disegno, soggiunge, “è soprattutto un’attività intellettuale, prima che manuale. Calatrava lo usa esattamente in questa direzione. Quindi la distinzione tra il disegno progettuale e l’opera d’arte autonoma è molto sottile perché entrambi nascono da una stessa esigenza. E il modello architettonico accompagnato dai disegni architettonici cambia completamente faccia”.