Ricordando Thomas Merton, mistico e trappista statunitense (Prima parte)

45 anni fa, il 10 dicembre 1968, moriva a Bangkok il famoso frate, estimatore della spiritualità orientale, profondo conoscitore della teologia cristiana e profeta dell’inquietudine del nostro tempo

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Il 10 dicembre 1968, a Bangkok non c’era ancora l’aria condizionata. Al Centro della Croce Rossa, nella stanza di un frate americano, venuto per un convegno sul misticismo, c’era un ventilatore. Era l’ora del riposo pomeridiano, ma, finita la siesta, il frate non compariva. Lo trovarono per terra col ventilatore addosso, fulminato dalla corrente elettrica.

Il frate era il trappista Thomas Merton, profeta del ‘68, l’anno i cui protagonisti si chiamano ancora “sessantottini”, l’anno della messa in discussione dei valori del Mondo Occidentale, una discussione che continua tuttora. Al suo attivo c’erano 70 libri, fra cui il più famoso: ”La Montagna dalle Sette Balze”, letto in tutto il mondo e definito “breviario della spiritualità moderna” perché racconta il cammino di Merton alla ricerca di Dio.

Oltre ai libri, aveva scritto centinaia di saggi, articoli, lettere, diari sulla trasformazione della Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, sull’apertura verso le altre religioni, su un nuovo impegno sociale e politico, e soprattutto sul misticismo, quel misticismo che gli costò la vita. E’ un misticismo racchiuso in una parola, “comunità”, un misticismo che non è fuga dal mondo, ma coscienza che il mondo è una comunità in cui noi ci identifichiamo.

“Nessun uomo è un’isola” è l’antica poesia che ispirò un libro a Merton. “Ognuno di noi è parte integrante della comunità umana” proclama il misticismo orientale, e Merton era vicino al misticismo Zen e Buddista, e pensava che tra il monachesimo occidentale e quello orientale non ci fossero grandi differenze. Dal punto di vista dottrinale, rimase però sempre saldamente ancorato alla teologia cristiana.

La simpatia per la spiritualità orientale è la ragione dei suoi frequenti viaggi in Asia, compreso quello fatale del dicembre 1968. Thomas Merton è morto 45 anni fa, quando aveva appena 53 anni. Merton è il più grade mistico di quegli anni, ma anche un uomo del nostro tempo, il profeta della nostra inquietudine. Come si comporterebbe adesso?  Qual’è la sua rilevanza nel mondo di oggi? Nella Chiesa del Corpus Christi di Manhattan hanno cercato di dare una risposta a tali quesiti.

“Ritiro Annuale su Thomas Merton” diceva il programma del Capitolo di Corpus Christi della “International Thomas Merton Society”. Il giorno era sabato 16 novembre. Perché Corpus Christi e perché il 16 novembre? A spiegarlo è Jonathan Montaldo, scrittore ed editore che scrive su Merton e stampa libri su di lui. Montaldo è stato anche presidente della International Society ed è stato anche l’oratore principale del Ritiro durato tutta la giornata tra Messa, discussioni, pranzo e caffè.

“La Chiesa è il Corpus Christi e il giorno è il 16 novembre, perché è in questa Chiesa che approdò Merton il 16 novembre 1938”. La Chiesa, sulla ventunesima strada ovest, si trova di fronte alla Columbia University, dove il mistico studiava letteratura sul finire degli anni ’30. Il 16 novembre 1938, uscendo dalla università, Merton, allore ventitreenne, attraversò la strada ed entrò nella Chiesa. “Ha raggiunto il porto” afferma Montaldo usando una metafora marinaresca, e “quel porto era il battesimo”. 

Il Ritiro che si tiene ogni anno celebra quindi l’inizio della storia di Merton cattolico. Una storia che, con le sue luci e ombre, chiunque può leggere su Internet. Racconta Montaldo: “Venne dalla Columbia University accompagnato da quattro amici. Uno solo era cattolico. Non c’era nessuna donna. Quindi, per noi che viviamo adesso, nella scena del battesimo c’è uno squilibrio. Ma Merton pensò sempre alla Madonna come la sua madrina. Viaggiò dappertutto. Ai suoi tempi si viaggiava sulle navi, e Merton guardò sempre alla Madonna come alla sua Stella Polare.“

Il 6 dicembre 1941, un’altra tappa: il futuro mistico entra nel Convento dei Frati Trappisti di Nostra Signora di Gethsemani, vicino a Louisville, nel Kentucky. Diventa Frate Louis. Ha 26 anni. Meditazione, silenzio, solitudine sono la Regola dei Trappisti, ed è proprio quello che vuole Merton. “Nel convento non è mai solo perché è nel Corpo di Cristo”, spiega Montaldo. “Per lui, siamo tutti uniti uno con l’altro nel Corpo di Cristo. Siamo tutt’uno con i nostri genitori, i nostri parenti, i nostri antenati, nostri maestri, e con tutti quelli che ci hanno, in qualche modo, toccato. Ma non basta. Siamo tutt’uno anche con quelli che non conosciamo, con tutta l’umanità. Il flusso della storia è la nostra comunità. Siamo un continuum.”

Si può dire allora che Marton sia stato il profeta della globalizzazione? “Oggi Merton avrebbe 98 anni – risponde Montaldo – è molto difficile dire come vedrebbe le cose oggi. Non so se Merton avrebbe approvato la globalizzazione attuale, dato che le nazioni povere continuano ad essere marginalizzate, i loro operai ricevono salari di fame, la giustizia sociale da loro non esiste”.

“Quello che gli sarebbe piaciuto della globalizzazione – ipotizza lo scrittore – è la possibilità per tutti i popoli di avere informazioni l’uno dell’altro, di imparare più cose l’uno dell’altro, di capire le reciproche culture. In particolare, Merton ha avuto sempre un grande interesse per la vita religiosa degli altri popoli, la vita contemplativa e di preghiera, le pratiche di meditazione. Aveva anche un gran senso della famiglia umana, del mondo come comunità. Gli sarebbe piaciuto un ‘corpo’ fatto di popoli che si parlano fra loro”.

Forse Merton non avrebbe apprezzato tanto l’“eccezionalismo” degli Stati Uniti, ovvero l’idea radicata nella cultura statunitense che gli USA siano “unici”, o, come ripeteva Reagan, siano una città splendente sulla collina che illumina il resto del mondo. “Non lo so”, ammette Montaldo, “certo Merton criticava la cultura americana e il governo americano. Specialmente la condotta della guerra, per esempio in Vietnam. Si sarebbe indignato e avrebbe preso posizione contro le guerre di oggi nelle diverse parti del mondo”.

“E’ difficile mettere le parole in bocca a Merton, prosegue, “senz’altro lui era contro azioni malvage compiute da un governo, anche se considerate compiute per ragioni giuste. Non è bene fare ‘d’ogni erba un fascio’, però è la verità che molti governi non ascoltano il popolo”. Merton, afferma Jonathan Montaldo, “avrebbe detto che devono fare la volontà del popolo che, in un modo o nell’altro, non vuole la guerra. La gente vuole la pace. Per quello che ne so io, non esiste un popolo che voglia la guerra”.

(La seconda parte segue domani, mercoledì 4 dicembre)

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Lilia Lodolini

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