Un'assemblea con il Papa

Bergoglio parla, con grande franchezza, agli studenti di Roma

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La sera precedente l’inizio dell’Avvento, la basilica di San Pietro si è riempita di docenti e studenti della Sapienza e delle altre Università dell’Urbe, accorsi per celebrare con il Papa l’inizio del nuovo anno accademico.

Le Università dell’Urbe stanno purtroppo diventando uno dei più grandi parcheggi di futuri disoccupati, sottoccupati e precari esistenti al mondo, degno di competere con gli Atenei dei Paesi detti “in sviluppo”: gli studiosi di economia, di sociologia e di scienze politiche si domandano da tempo quanto tarderà ancora un simile deposito di frustrazione prima di esplodere.

Papa Francesco è entrato subito “in medias res”, esortando tutti ad accettare le sfide dell’attuale momento storico, e ad impegnarsi per ogni buona causa, a partire dalla giustizia sociale.

Non ha detto, naturalmente, che bisogna fare la rivoluzione, ma è poco probabile che il sorgere di una nuova generazione di giovani impegnati trovi interlocutori abbastanza sensibili e prestigiosi nell’attuale mediocre ceto politico.

Il Papa si propone dunque, non certo per ambizione, ma sicuramente per la lucidità delle sue analisi, come il soggetto capace di dare una espressione costruttiva e credibile a tanta disperazione sociale.

Bergoglio parte dalla constatazione di due grandi fallimenti storici, che egli ha vissuto non solo quale testimone cosciente, ma anche come partecipe: quello dei totalitarismi del secolo scorso, che miravano ad uniformare ideologicamente il mondo, e poi quello dei particolarismi etnici, regionali, religiosi, che hanno già prodotto e minacciano di causare produrre nuove stragi.

Eppure, l’ingiustizia che stiamo vivendo e la disperazione in cui siamo caduti impongono come imperativo etico e civile di ricominciare ad impegnarsi.

Su quali basi, però, e per quali obiettivi?

Il Papa prende le mosse da una affermazione in apparenza sorprendente, quando dice che la globalizzazione di per sé non è negativa.

Ed ha pienamente ragione, se si considera che per la prima volta ci troviamo tutti nella medesima condizione, afflitti dallo stesso problema, senza più la speranza ragionevole di essere collocati in una condizione privilegiata, in un’isola felice tale da metterci al riparo dal disastro comune.

Quale mondo diverso dall’attuale è possibile?

Il Pontefice ricorre ad una comparazione tra due figure geometriche, entrambe però connesse con l’immagine del globo: la prima è la sfera, che presenta però una superficie omogenea, ove non possono risaltare le differenze, le individualità, le identità diverse.

Ed è appunto a questo livellamento, a questa cancellazione delle nostre particolarità spirituali che la globalizzazione può condurci.

Vi è però un’altra figura, riconducibile al globo, che il Papa propone, ed è quella del poliedro.

Il poliedro ha l’unità della sfera, ma presenta molte sfaccettature, ciascuna delle quali è l’espressione di una identità diversa.

La globalizzazione è dunque negativa se ci conduce alla sfera, ma è positiva se ci porta ed essere un poliedro.

In questa figura si conciliano, sia la necessità di essere uniti nello sforzo per ristabilire la giustizia, sia l’aspirazione a preservare la specificità di ciascuno.

Ecco dunque come tanto il desiderio di una palingenesi universale, che costituiva l’aspetto positivo delle utopie ideologiche del Novecento, quanto l’affermazione ed il riscatto delle identità oppresse trovano una conciliazione nella visione del Papa.

Non deve più esservi spazio, naturalmente, per la discriminazione di chi pensa in modo diverso, ma nemmeno per quella di chi semplicemente è diverso: tutte le energie che un tempo venivano spese – con l’uno o l’altro pretesto – per combattersi a vicenda, ora devono essere dirette ad un fine comune.

Speriamo che, uscendo da San Pietro, tanti giovani abbiano capito che Francesco ha consegnato a tutti loro una nuova bandiera.

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Alfonso Maria Bruno

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