"Comunicare la gioia" nello stile Bergoglio

Saggio di Alessandro Gisotti, vice-caporedattore alla Radio Vaticana, sulla “forza della parola” di Papa Francesco, pastore e comunicatore

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Pubblichiamo di seguito il testo integrale del saggio breve di Alessandro Gisotti, vice-caporedattore della Radio Vaticana, per il Centro Studi e Ricerche Tocqueville-Acton.

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“Allegria”. Sono rimasto molto colpito dal fatto che mio figlio di 4 anni abbia salutato con questa esclamazione la prima immagine di Papa Francesco che gli sia passata davanti agli occhi. Parola che ha poi ripetuto altre volte nel guardare una foto o un video del nuovo vescovo di Roma. Certo, la reazione di un bambino non ha la validità né l’accuratezza di un’analisi scientifica. E tuttavia, essendo “senza filtri”, può dirci qualcosa di significativo su quello che una persona trasmette immediatamente con la sua presenza, prima ancora che con le sue parole. Sì, Jorge Mario Bergoglio trasmette allegria o, per dirla in un modo più adeguato, comunica gioia. Un tratto questo che non attiene tanto, o soltanto, al suo carattere quanto, più profondamente, al suo essere cristiano.

A dare sostanza ai suoi sorrisi, alla sua giovialità, accompagnata peraltro da una sobrietà e un rigore verso se stesso che ne fanno quasi una figura ascetica, c’è la gioia di un incontro. Anzi dell’Incontro che cambia la vita, quello con Gesù Cristo. E’ stato lui stesso a precisare i contorni di questa “teologia del sorriso”, che tanto piacerebbe a Madre Teresa, fin dalla sua prima Domenica delle Palme  da Pontefice, celebrazione tradizionalmente dedicata ai giovani. In tale occasione, pochi giorni dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro, Francesco ha invitato i fedeli a non essere mai “uomini e donne tristi”. “Un cristiano – ha avvertito – non può mai esserlo”, giacché “la nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili”. Nel libro intervista El Jesuita, d’altro canto, osservava che “la vita cristiana è dare testimonianza di fede con allegria come faceva Gesù”, rammentando poi con Santa Teresa d’Avila che “un santo triste è un triste santo” . Un richiamo per tutti, questo, e ancor più forte per i pastori di anime. Nell’ultima Messa crismale da arcivescovo di Buenos Aires, il 21 aprile del 2012, il cardinale Bergoglio aveva infatti sottolineato che “quando c’è allegria nel cuore del pastore, questo è segnale che i suoi movimenti provengono dallo Spirito Santo” e “quando c’è allegria nel popolo” è segno “del legame con lo Spirito”. 

Assieme alla gioia, un altro carattere distintivo di Jorge Mario Bergoglio che ha subito conquistato fedeli e non, è la sua spontaneità. O, per dirla in modo più appropriato, la sua libertà nell’agire. Sì, Francesco è un uomo libero e così come per il suo essere comunicatore di gioia, questa sua libertà deriva dall’incontro, dall’amicizia con Gesù Cristo. Cadono, dunque, in partenza le obiezioni di chi riscontrerebbe un cedimento alla spettacolarizzazione nei suoi gesti “fuori programma”. Sono, peraltro, gli stessi rilievi che qualcuno, a suo tempo, aveva mosso a Giovanni Paolo II. E’ evidente che tali obiezioni avrebbero qualche fondamento se Bergoglio o Wojtyla avessero marcato una discontinuità tra l’esperienza alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires e Cracovia e quella successiva come pastore della diocesi di Roma. Il fatto, invece, che sia l’uno che l’altro abbiano “continuato a fare il vescovo” è un segno eloquente di libertà interiore, che accomuna i due Pontefici. Come ha sintetizzato il segretario della Pontificia Commissione per l’America Latina, Guzmán Carriquiry, che conosce Bergoglio da molti anni: Francesco “non compie gesti demagogici per fare bella figura dinanzi al mondo: lui è proprio così come persona e come pastore” . Concetto condiviso anche dal massmediologo Mario Morcellini, secondo il quale “la gente ha proprio la sensazione” che Papa Francesco “non ha studiato da nessuna parte. Lui piace perché non fa così, ma è così” . 

Il cardinale Bergoglio ha sempre celebrato il Giovedì Santo tra i carcerati, ha sempre vissuto in modo austero, quasi spartano, e ha sempre cercato un contatto diretto con i suoi fedeli perché, come ha spiegato con un’immagine efficace, “il pastore deve avere l’odore delle sue pecore” . Ecco allora che il non aver cambiato stile pastorale, per timore di una eventuale sovraesposizione mediatica, rappresenta una grande testimonianza di libertà. Anche perché questa autolimitazione avrebbe danneggiato non lui ma i fedeli, quel popolo che, impegnato a camminare assieme al proprio vescovo, rappresenta, con il pilastro della misericordia, il vero programma del Pontificato di Francesco. 

Gioia e libertà dunque. E coerenza. In un tempo in cui, per dirla con Paolo VI, l’uomo “ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché essi sono dei testimoni”, l’uomo e pastore Bergoglio viene riconosciuto, anche dai non credenti, come un testimone credibile. Credibile perché coerente. Quello della credibilità è un tema che sta particolarmente a cuore al nuovo Papa, in continuità con il suo predecessore Benedetto XVI. Nella sua prima Messa a San Paolo Fuori le Mura, Francesco ha ammonito che “l’incoerenza dei fedeli e dei Pastori tra quello che dicono e quello che fanno, tra la parola e il modo di vivere mina la credibilità della Chiesa”. E riprendendo l’esortazione del Poverello d’Assisi ai suoi confratelli, ha aggiunto: “Predicate il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole. Predicare con la vita: la testimonianza”.

Al riguardo, è impressionante la forza che ha avuto un gesto senza parole come l’abbraccio a un malato sfigurato dalla neurofibromatosi, a margine dell’udienza generale del 6 novembre . Non a caso, come ha rivelato Stefania Falasca, amica di lunga data del Papa, Jorge Mario Bergoglio ama particolarmente la frase “La vita è il paragone delle parole”, tratta dal capitolo dei Promessi Sposi sulla conversione dell’Innominato. “Dal suo modo di parlare – osserva la giornalista ai microfoni di Radio Vaticana – si capisce quanto per lui è vero e vissuto quello che dice”, “non sono parole soltanto predicate, ma veramente vissute”. E’ eloquente quanto l’allora porporato argentino disse di Karol Wojtyla il 4 aprile 2005, a due giorni dalla morte del futuro Beato. Giovanni Paolo II, affermò il cardinale Bergoglio, è stato “un testimone coerente del Signore in comunione con il suo popolo”. Aveva “la coerenza di un uomo di Dio”. La coerenza di chi tutte le mattine “passava molte ore in adorazione” e per questo “si lasciava plasmare dalla forza di Dio”. La coerenza, sottolineava con parole efficaci, “non si compra, la coerenza non si studia; la coerenza va coltivata nel cuore con l’adorazione” . Una coerenza che fa presa soprattutto sui giovani, spesso orfani di punti di riferimento in un tempo segnato dal provvisorio e dal contraddittorio. Di qui anche il successo straordinario della Gmg di Rio de Janeiro.

In questo essere uomo gioioso, libero e credibile (verrebbe da dire, da questo essere autenticamente un discepolo di Cristo) trova forza la straordinaria capacità comunicativa di Papa Francesco. Un modo di comunicare naturale, non studiato a tavolino, che si sostanzia nel parlare da cuore a cuore. Cor ad Cor loquitur, per riprendere il motto del Beato John Henry Newman. Una comunicazione che é multi direzionale, in grado cioè di rivolgersi a persone differenti per età, cultura, nazionalità. E multilivello, ovvero capace di stimolare la riflessione di studiosi e intellettuali e, allo stesso tempo, di venire compresa nella sua essenzialità da tutti, perfino dai più piccoli. Per Francesco, la comunicazione è condivisione, relazione empatica con chi ha davanti. La sua gestualità, i suoi cambi di tono nel parlare come di un buon padre che dà i consigli a un figlio, perfino la sua postu
ra che sembra sempre proiettarsi in avanti, verso chi ascolta, rende il suo approccio comunicativo avvolgente e coinvolgente. Per padre Antonio Spadaro, “Papa Francesco, più che ‘comunicare’ crea ‘eventi comunicativi’ ai quali chi riceve il suo messaggio partecipa attivamente”.

A sostegno della sua tesi, il direttore di Civiltà Cattolica rammenta quanto accaduto la sera del 13 marzo, quando Papa Francesco si è affacciato dalla Loggia Centrale della Basilica Vaticana, poco dopo l’Habemus Papam. Il nuovo vescovo di Roma ha chiesto al suo popolo di pregare per lui, in silenzio: “Un unico evento comunicativo di profonda portata simbolica e spirituale” . E del resto, riferendosi alla sua celebre intervista con Francesco, padre Spadaro ha parlato di “un’esperienza spirituale” più che di un’intervista, tanto è stata intensa la sua conversazione con Papa Bergoglio a Casa Santa Marta.
 
Ritornando ai primi passi del Pontificato, di evento comunicativo si può certamente parlare per l’udienza di Francesco ai rappresentanti dei media, avvenuta a soli tre giorni dall’elezione al Soglio Pontificio. Un incontro in cui Bergoglio, che a Buenos Aires raramente concedeva interviste e ancor più raramente appariva in tv, non solo è sembrato a suo agio in una circostanza del tutto inedita, ma ha messo a proprio agio anche i seimila giornalisti di tutto il mondo che, per la prima volta, hanno potuto vedere e ascoltare in presa diretta il nuovo Pontefice. Una naturalezza che ha colpito tutti, tanto che la rivista Time, commentando l’avvenimento, ha sottolineato che Papa Francesco “non perde mai l’attenzione del suo pubblico” e ha un incedere nel parlare più “da attore che da predicatore” . Come è facile prevedere, quell’udienza passerà alla storia per la spiegazione della scelta del nome “Francesco” e per l’invocazione di una Chiesa povera e per i poveri. E’ significativo che entrambi i passaggi non fossero presenti nel testo preparato per il discorso, ma siano stati aggiunti a braccio da Papa Bergoglio. Anche il linguaggio scritto è costretto a mettersi al passo per “seguire” questa spontaneità e così, nella versione ufficiale pubblicata sul sito web vaticano, il discorso di Francesco ai media presenta ben sette punti esclamativi. D’altro canto, anche un documento magisteriale come l’Esortazione Evangelii Gaudium si distingue per il tono quasi colloquiale.

Spontaneità non vuol dire, tuttavia, mancanza di una cifra comunicativa. Tutt’altro. Il ritmo e le espressioni utilizzate da Papa Francesco rendono, infatti, il suo stile inconfondibile e immediatamente riconoscibile. Una costante nelle omelie e nei discorsi di Bergoglio è l’indicazione iniziale di tre parole, tre punti focali da cui sviluppa poi il suo ragionamento. Lo si è colto fin dalla prima Messa da Papa, quella celebrata in Cappella Sistina il giorno dopo l’elezione, quando ha incentrato l’omelia sul trinomio camminare, edificare, confessare. “Questa dimensione del ritmo del discorso – ha osservato padre Antonio Spadaro – è tipica dell’espressione ignaziana, quindi gesuitica. Da sempre gli Esercizi spirituali sono stati predicati in tre punti. Quindi, quando Papa Francesco parla in tre parole”, “si richiama esattamene a questa capacità di dare ritmo al discorso, individuando i nuclei chiave” . Se dunque nel ritmo è ignaziano, si potrebbe dire che nel linguaggio è francescano. Papa Francesco usa immagini plastiche, metafore forti, parole semplici che richiamano alla vita quotidiana. Né manca di attingere al patrimonio della sua lingua madre che, più che l’argentino, è il porteño parlato a Buenos Aires. Un linguaggio che viene scandagliato in una rubrica sul sito terredamerica.com a cura di Jorge Milia, che di Bergoglio è stato alunno ai tempi del liceo a Santa Fe.

La manifestazione più eclatante dello “stile Bergoglio” nella comunicazione è rappresentata sicuramente dalle omelie, rigorosamente a braccio, nelle Messe mattutine alla Casa Santa Marta. Le formule che il Papa utilizza entrano immediatamente nel discorso collettivo ben al di là dei confini del mondo cattolico: la Chiesa “non è una baby sitter”, il Confessionale “non è una tintoria”, “Gesù è il nostro avvocato”, “no ai cristiani da salotto” o “dalla doppia vita”, la corruzione è una “putredine verniciata”. Formule che tutti possono capire facilmente e che restano fisse nella memoria. Il modo di parlare di Papa Francesco, inclusivo e comprensibile, osserva qualcuno, si ricollega al sermo humilis, di cui fu maestro Sant’Agostino. Questa immediatezza comunicativa, questa semplicità di Papa Bergoglio pone delle nuove sfide agli operatori della comunicazione, in primis ai media vaticani.

Un’esigenza avvertita chiaramente dal presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, mons. Claudio Maria Celli, che parla di una nuova modalità espressiva. “Questo Papa – dichiara all’emittente pontificia – ci sta aiutando a riscoprire che la comunicazione non è solo un problema intellettuale”; lui “tocca il cuore e l’immaginazione, non solo l’aspetto intellettuale. Per questo si può parlare di un nuovo approccio alla comunicazione” . Una comunicazione totale, quella di Papa Francesco, come dimostrano anche le sue sorprendenti telefonate a persone sofferenti o in difficoltà. C’è allora una distanza da colmare. E’ quanto ravvisa con spirito autocritico, sul blog cattolico VinoNuovo, Fabio Colagrande, che evidenzia lo stacco tra lo stile “diretto e appassionato” del Papa e “la prosa aulica e ridondante di certa stampa cattolica”. Del resto c’è chi, negli Stati Uniti, ritiene che Papa Francesco stia addirittura “ricostruendo la Chiesa attraverso la comunicazione”, mettendo così in pratica la previsione di Marshall McLuhan per il quale la burocrazia avrebbe ceduto il passo alla comunicazione .

Certo è che grazie al suo modo di comunicare, e in particolare alla brevità e incisività delle frasi dei suoi discorsi e delle sue omelie, Papa Francesco ha già compiuto un “miracolo” mediatico: il suo successo su Twitter e più generalmente sui Social Network. A differenza di molti cardinali, Jorge Mario Bergoglio non ha mai avuto un suo account, né un profilo Facebook né tanto meno un blog personale. Anzi, con schiettezza, rispondendo ad una domanda dei giornalisti Rubin e Ambrogetti, nel 2009, aveva affermato che avrebbe cominciato ad usare Internet una volta andato in pensione . Così qualcuno aveva precipitosamente immaginato che il nuovo Papa non avrebbe riaperto l’account inaugurato con coraggio e lungimiranza da Benedetto XVI. Previsione smentita rapidamente.

L’account @Pontifex, infatti, non solo non ha chiuso i battenti ma anzi ha triplicato “l’utenza”. Nel giro di poco più di un mese dall’elezione è stato superato il tetto dei 6 milioni di follower e a fine ottobre raggiunge i 10 milioni di “seguaci”. Inoltre, crescono progressivamente i retweet delle affermazioni del Papa, dato particolarmente rilevante nei giorni che precedono la grande Veglia per la pace in Siria. “Nelle catechesi del Pontefice”, ha affermato il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, “ricorrono parole dense e frasi molto efficaci che vengono ripetute più volte per fissarle bene nella memoria dei fedeli. Il suo modo di esprimersi è adatto ad essere ripreso su Twitter, a tradursi in spunti di riflessione, ad essere sintetizzato in motivi di ispirazione” . Il successo di Papa Francesco sui social network è tale che, a metà novembre, la Cnn può affermare che, nel 2013, Bergoglio è l’uomo di cui si è più parlato in Internet  al mondo.

Anche nel continente digitale, dunque, Papa Francesco vuole che la Chiesa esca da se stessa, che raggiunga le periferie esistenziali. E soprattutto che non si ammali di autoreferenzialità. Non manca in lui la consapevolezza che, sulle strade del web come su quelle delle città, si possa incorrere in qualche incidente. E tuttavia, per il
Papa venuto quasi dalla fine del mondo, è un rischio che vale la pena correre per comunicare a tutti la gioia di Cristo Risorto.

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ZENIT Staff

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