MILANO, mercoledì, 29 febbraio 2012 (ZENIT.org) – «Su, in marcia! Vittima e carnefici, insieme, verso il Calvario». È cominciata con la citazione di un verso di Paul Claudel, da parte del cardinale Angelo Scola, la via crucis del primo martedì di Quaresima della diocesi di Milano.
Nella monizione iniziale, l’arcivescovo ambrosiano ha ricordato che il rito popolare della via crucis affonda le sue radici nell’epoca di San Francesco, “il santo che lungo tutta la sua esistenza perseguì una profonda immedesimazione con l’esperienza umana del Signore Gesù”.
Nella prima stazione – Gesù è condannato a morte – il cardinale Scola ha ricordato le parole del beato Giovanni Paolo II, che esortava a non “restare in disparte o al margine” di fronte al Cristo aggredito e perseguitato a morte: nei suoi confronti “non ci è lecito lavarci le mani”, sottolineava il pontefice polacco.
Davanti al male e all’“Innocente ingiustamente condannato”, l’uomo deve riconoscere la sua responsabilità: “i nostri atti, i nostri pensieri sentimenti ci seguono, i nostri peccati ci accusano”, ha ammonito l’arcivescovo.
“Perdonami mio Signore di tutto il male mio – ha aggiunto – è il grido della Quaresima”. Il porporato ha quindi rinnovato l’invito ai sacerdoti milanesi a rendersi “disponibili ad ascoltare le confessioni in questo tempo quaresimale”.
La seconda stazione – Gesù è caricato della croce – mostra l’Innocente che “consegna se stesso”. Sebbene sia “certamente caricato della croce – ha spiegato Scola – è Lui a prenderla su di Sé”. Di fronte ai troppi episodi di disprezzo e violenza contro l’innocenza, solo quest’ultima è “fonte di speranza e di edificazione umana e sociale”.
L’uomo, perseguitando l’Innocente, si arroga in qualche modo la pretesa di “sfidare Dio, di chiamarLo in giudizio davanti al tribunale del mondo, di sottrarsi a Dio e ad ogni dipendenza”. Eppure questa ostilità al Padre “è l’altra faccia del bisogno struggente di Lui”, ha osservato Scola.
A sostegno della sua riflessione, l’arcivescovo di Milano ha citato un altro poeta, Mario Luzi, che scriveva: «Sfogare sopra un misero e indifeso corpo umano che hanno nelle loro mani, l’astio d’un antico e inconfessato paragone con la divinità, questo li esalta».
“Come duemila anni fa – ha proseguito Scola – anche questa sera l’Innocente Condannato sta, inerme, davanti a noi uomini sofisticati del Terzo Millennio. Il Suo sguardo implorante ci ripete: «Milano, non perdere di vista Dio». Chi di noi potrà accusarlo di essere nemico dell’uomo?”.
Nei nostri tempi, avvolti nelle spire del “travaglio sociale ed economico”, misericordia e carità finiscono spesso soffocate dalle “strette maglie di una giustizia ‘troppo umana’ in cui la coscienza del male” che rischia di “non lasciare scampo alla redenzione”. L’uomo pertanto deve sfuggire la “tentazione utopica” del “farsi giustizia da sé”.
La grande speranza di Milano, ha poi osservato l’arcivescovo, affonda le radici nella sua “lunga e gloriosa tradizione cristiana” che l’ha resa “città solidale”, quindi “valorizzatrice di ogni libertà rettamente intesa, propria della persona e dei corpi intermedi”.
La “vita buona del Vangelo”, ha aggiunto il cardinale Scola, “è una proposta interessante anche per chi non crede”.
La terza stazione – Gesù cade per la prima volta – mostra, invece, “tutta l’oppressione del male e del peccato”. Ciononostante Cristo, “cadendo sotto il peso dei nostri peccati, ci rialza per la Sua condivisione amorosa”.
L’amore che egli esprime è “testardo” ed è proprio di chi “non solo ha voluto soffrire con noi, ma per noi”. La Sua opzione per la croce, “per divino paradosso”, è volontaria. “Chi, tra noi, ha reso abituale questa volontà di sacrificio?”, ha osservato il cardinale Scola.
Un ultima riflessione l’arcivescovo di Milano l’ha compiuta sul digiuno, una pratica che “aiuta la signoria sul proprio io”. Ed ha ammonito sul rischio dello “smog del cuore”, più dannoso di quello dell’atmosfera “perché pregiudica la nostra salvezza inquinando le menti ed alterando i rapporti primari dell’uomo con se stesso, con gli altri e con Dio”.