Denunciò il Papa, ora chiede l'archiviazione del caso

Temendo una sentenza avversa, l’avvocato Jeff Anderson ha preferito non presentare le prove

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di H. Sergio Mora

ROMA, martedì, 28 febbraio 2012 (ZENIT.org) – La denuncia dell’avvocato statunitense Jeff Anderson contro Benedetto XVI, che pretendeva perfino che il Papa si recasse negli Stati Uniti come imputato, si è concluso con il ritiro del processo a richiesta del querelante poiché temeva una sentenza giudiziaria negativa.

È il caso “John Doe 16 vs Santa Sede”, presentato nell’aprile 2010, ripreso dai mezzi di comunicazione con grande risalto.

Anderson ha accusato il Papa e il Vaticano di avere coperto il sacerdote del Wisconsin, padre Lawrence Murphy, che aveva abusato di centinaia di minori tra il 1950 e il 1974 in una scuola per sordi nel Milwaukee.

Quando gli avvocati della Santa Sede hanno chiesto la presentazione delle prove, Jeff Anderson ha considerato prudente ritirare l’incriminazione, quindi il 10 febbraio nella Corte distrettuale di Wisconsin ha presentato una richiesta di archiviazione del caso “John Doe 16 v. Holy See”.

“Ciò comporta l’archiviazione immediata del processo senza che sia necessaria una sentenza da parte dei giudici”, ha detto l’avvocato della Santa Sede, Jeffry S. Lena. Vale a dire che le accuse erano inconsistenti.

L’avvocato della Santa Sede ha spiegato che l’accusa esigeva che la Santa Sede e il suo numero uno, il Papa, fossero i responsabili di tutte le azioni dei 400mila sacerdoti sparsi per il mondo.
Inoltre, anche se la responsabilità penale è individuale, questi chierici dipendono prima dai loro vescovi o superiori religiosi e non dal Vaticano.

Gi avvocati querelanti “hanno ritirato il caso perché sapevano che se lo avessero portato avanti lo avrebbero perso. Ed era chiaro che non volevano una sentenza negativa della corte di giustizia”, ha dichiarato Lena all’agenzia stampa ACI.

La stessa agenzia ha rivelato che, per ogni querela, Anderson ha guadagnato tra il 25% e il 40% di quanto concordato.

L’avvocato Anderson, inoltre, non era nuovo a questo tipo di processi, visto che nella sua vita professionale ha presentato più di 1500 querele contro istituzioni ecclesiastiche.

La Radio Vaticana, da parte sua, ha ricordato l’annuncio del avvocato, che dichiarava ai mezzi di comunicazione di avere informazioni che dimostravano l’esistenza di “un’azione congiunta a livello mondiale” da parte della Chiesa, collegata agli abusi sessuali ed organizzata direttamente dal Vaticano.

L’avvocato difensore della Santa Sede ritiene perfino possibile che la teoria della accusa sia stata attentamente messa in piedi per favorire uno scandalo mediatico. “È stata creata per i mezzi di comunicazione, basandosi su una teoria vecchia e confutata, una serie di eventi che hanno trasformato un fatto gravissimo, la violenza sessuale contro un minore, in uno strumento di menzogna sulla presunta responsabilità della Santa Sede”, ha detto Lena.

Il legale della Santa Sede ha inoltre ricordato l’impegno della Chiesa nella lotta contro gli abusi: “È stato per primo il diritto canonico, e non quello civile, ad istituire l’obbligo della denuncia”. E ha affermato che il caso “non è altro che una strumentalizzazione”.

“Non ci dimentichiamo – ha aggiunto l’avvocato difensore – che molti anni fa John Doe, un ragazzo isolato e diversamente abile ha sofferto terribili abusi. E che Benedetto XVI ha ribadito che ogni abuso, sia che venga da una istituzione pubblica o privata, o da qualsiasi persona, di qualsiasi religione o corrente, è un peccato e un crimine”.

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ZENIT Staff

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