di Eugenio Fizzotti
ROMA, sabato, 11 febbraio 2012 (ZENIT.org).- Nella Giornata Mondiale del Malato, coincidente con il 154° anniversario delle apparizioni della Vergine Maria alla piccola Bernadette Soubirous, è quanto mai significativo un ricordo riconoscente del Venerabile Giacomino Gaglione che, nato a Marcianise, in provincia di Caserta, il 20 luglio 1896, fin da quando aveva 12 anni cominciò ad avvertire dolori alla caviglia e, nonostante i vari tentativi medici, restò bloccato in forte immobilità su una barella perché la grave forma di poliartrite riportò l’anchilosi di tutte le articolazioni e lo rese un tronco rigido, ad eccezione delle braccia che, muovendosi parzialmente, gli permettevano di scrivere e di dipingere.
Quando, dopo 27 anni di immobilità, nell’agosto del 1929, Giacomino si recò la prima volta a Lourdes, nella luce della Madonna concepì l’idea dell’Apostolato della Sofferenza.
Come scrisse splendidamente D. Adolfo L’Arco nel lontano 1966 nel libro Un esploratore della felicità (Edizioni Apostolato della Sofferenza, Palermo), Giacomino «a Lourdes visse lo strazio di un ammalato che – incredibile – vi si era recato con il peccato mortale nell’anima e smaniava, attendendo la guarigione, per tornare al peccato con più comodo; ne sentì nel cuore i singhiozzi con i quali gli chiedeva aiuto per uscire dalle sue tenebre». E al ritorno «Giacomino sentì pungente nel cuore lo scandalo di quelli che avevano atteso il miracolo ed erano rimasti delusi nel vederlo ricomparire rigido sulla barella».
Lottando sul fronte dell’incomprensione dei sani e dell’ingratitudine degli ammalati egli scelse di diffondere la gioia goduta a Lourdes e la pace amante della sua immobilità e, dopo aver scritto e pubblicato Il pellegrinaggio di un’anima, uno straordinario libro nel quale, come sottolinea l’editore, «si leggono sprazzi di sovrannaturale letizia», ma soprattutto si coglie che «sin da quel primo pellegrinaggio la Madonna fece intendere chiaramente a Giacomino la missione che il Signore voleva affidargli, ed è proprio sotto lo sguardo della Celeste Ispiratrice che nacque in lui la prima idea di quell’Apostolato della Sofferenza al quale egli avrebbe consacrata tutta la vita».
Ed è particolarmente significativo leggere quanto egli scrisse a proposito dell’esperienza di Lourdes: «Andare alla grotta e trovarvi tanta umanità sofferente, girare le vie ed incontrare ad ogni passo una miseria delle più atroci, ritirarsi in casa e sentire in ogni discorso ridire le pene e i dolori strazianti; e riconoscere e sentire che tutto è voce, la voce più dolce e più potente del coro di lodi che l’umanità possa elevare al Signore, e vivere di questa lode non è umano. È effetto della grazia; è il miracolo più grandioso e più sublime! E tanto più, poi, che questo miracolo, se vogliamo, non interessa soltanto l’infermo, anzi in massima parte le persone sane: le rinnova e le fa volare sulla voragine che potrebbe aprire ai loro piedi la natura che vuol troppo ragionare. Infatti, l’infermo può restare nella fede che vive e nella speranza che lo conforta, sia perché ha la luce del suo stato, sia, direi, per affetto di quella medesima ragione umana che, in altri tempi, avrebbe potuto essere antagonista e alla fede e alla speranza. Egli si trova accanto ad altre sofferenze e, se non interviene un fatto straordinario, trova in queste un sollievo alle proprie, quasi una spinta alla più ferma speranza, alla più viva fede».
Come conseguenza del pellegrinaggio a Lourdes, durante il quale visse con forte intensità la fratellanza spirituale, Giacomino fece sbocciare l’Apostolato della Sofferenza con strutture e finalità proprie, compreso un periodico il cui titolo è già un programma: Ostie sul mondo, che ancora oggi continua ad aiutare coloro che vivono situazioni di grave sofferenza a essere incoraggiati nell’assumere un atteggiamento dignitoso nei confronti delle difficoltà, delle avversità e delle diffidenze.
E nella pagina conclusiva del libro Il pellegrinaggio di un’anima Giacomino manifesta, nonostante la grave situazione di immobilità in cui visse fino al momento della morte, il 28 maggio 1962, l’importanza per chi vive in uno stato di malattia grave di essere molto amato. «Tutto lo voglio il vostro amore, anzi ne voglio ancora di più; voglio che io più non sia, ma rimanga in me solo l’amore vostro, e solo così sarò degno di voi e sarò quale desidero essere: E non per me solo chiedo questo. A voi mi offro, o vergine Bella; voi offritemi a Gesù, al suo amore misericordioso: come pegno, come vittima, come trastullo, come a Lui piace».