La forza della verità

Il discorso del Papa al Corpo diplomatico.

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di Omar Ebrahime

ROMA, giovedì, 2 febbraio 2012 (ZENIT.org).- E’ sempre difficile sintetizzare per schemi un Pontificato, tanto più in corso di svolgimento, ma delle linee distintive si possono comunque cogliere: per Benedetto XVI queste sembrano concentrarsi, fra gli altri, in due momenti particolari dell’anno. Relativamente all’analisi della Chiesa al suo interno, nel Discorso alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi, per la ‘politica estera’, invece, nel tradizionale saluto al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede all’inizio dell’anno. E’ qui che sono emerse le linee-guida principali del suo ministero petrino: dalla corretta ricezione del Concilio Ecumenico Vaticano II alla denuncia della dittatura del relativismo etico fino al rilancio della nuova evangelizzazione nei Paesi di antica tradizione cristiana. Anche quest’anno non sembra fare eccezione. Nel discorso ai membri del Corpo Diplomatico tenuto presso la Sala Regia del Palazzo Apostolico lo scorso 10 gennaio, Benedetto XVI ha concentrato la sua analisi della situazione internazionale, in un momento di difficile crisi economica e finanziaria, su alcuni punti ben precisi che tengono insieme il tutto. Il Papa è partito infatti dal primato di Dio sul mondo affermando che “davvero il mondo è buio, laddove non è rischiarato dalla luce divina! Davvero il mondo è oscuro, laddove l’uomo non riconosce più il proprio legame con il Creatore e, così, mette a rischio anche i suoi rapporti con le altre creature e con lo stesso creato. Il momento attuale è segnato purtroppo da un profondo malessere e le diverse crisi: economiche, politiche e sociali, ne sono una drammatica espressione”. Se l’umanità sta male (e nel ‘prospero’ mondo occidentale gli indicatori lo confermano abbondantemente con riferimento ai disagi ‘tipici’ della postmodernità quali, tra gli altri, le nuove forme di solitudine diffusa, gli stati d’ansia depressivi, il boom di psico-farmaci, l’aumento esponenziale del consumo di alcool e droga fra i giovani e persino giovanissimi) per Benedetto XVI il motivo non va cercato nell’emergenza occupazionale o nello spettro della recessione – pure importanti – ma in qualcosa che le precede perché le scelte economiche della società non sono mai neutre, ma frutto di una determinata visione del mondo. Insomma, “la crisi può e deve essere uno sprone a riflettere sull’esistenza umana e sull’importanza della sua dimensione etica, prima ancora che sui meccanismi che governano la vita economica: non soltanto per cercare di arginare le perdite individuali o delle economie nazionali, ma per darci nuove regole che assicurino a tutti la possibilità di vivere dignitosamente e di sviluppare le proprie capacità a beneficio dell’intera comunità”.

Osservando poi la situazione attuale nelle varie parti del mondo di cui sono espressione i diplomatici accreditati presso la Santa Sede, il Pontefice si è soffermato sul teatro nordafricano dove la cd. ‘primavera araba’, iniziata l’anno scorso con molte attese, ha portato in realtà nuove difficoltà e continui ostacoli a un processo democratico dato forse con troppa ingenuità per scontato. Qui Benedetto XVI ha richiamato il criterio di riferimento per ogni buon progresso: ovvero la dignità inalienabile della persona umana, che deve essere sempre il centro e il fine dell’azione della società e delle sue istituzioni nel suo insieme, mai il mezzo, e nemmeno il pretesto strumentale alla conservazione del potere in quanto tale. In Nordafrica e, più in generale, in vaste aree del Continente, desta poi preoccupazione la situazione delle minoranze religiose spesso vittime di “ingiuste discriminazioni”. Qui il pensiero va a Paesi che attraversano fasi di preoccupante instabilità come l’Egitto, il Libano e la Siria ma anche, spostandosi, più a Sud, la Nigeria o il Sudan. A un primo sguardo, tra queste situazioni, talora anche estreme, e i Paesi dell’Occidente e dell’Europa, non sembrerebbe esserci niente in comune ma qualcosa – secondo il Pontefice – invece c’è. Ed è il “tema cruciale” dell’educazione, quello da cui “dipende tanto il sano sviluppo di ogni persona, quanto il futuro di tutta la società”. Se in Africa la sfida educativa è resa urgente dalla recrudescenza di antiche ostilità e incomprensioni, etniche e razziali, in Europa e in America l’emergenza educativa è determinata dall’agenda politica e culturale che abbatte in modo ‘morbido’ quei valori perenni che altrove vengono distrutti con le armi da fuoco. Ma la sostanza non cambia: in entrambi i casi a essere indebolita è l’istituzione di diritto naturale (“non una semplice convenzione sociale” specifica Benedetto XVI) della famiglia fondata sul matrimonio e aperta alla generazione dei figli. Se è vero, perché sperimentalmente osservabile da ognuno che “è nella famiglia che ci si apre al mondo e alla vita”, per converso è altrettanto vero che le “politiche lesive della famiglia minacciano la dignità umana e il futuro stesso dell’umanità”. Su queste parole alcuni mass-media hanno già sollevato qualche polemica dimostrando, ancora una volta, come spesso l’obiettivo ultimo miri più a vendere, rincorrendo (o anche creando) lo scandalo, che a informare. Le politiche lesive a cui qui ci si riferisce sono ovviamente tutte quelle che, negando in nuce o radicalmente, oltre alla lettera delle Carte costituzionali, perfino il patrimonio di sapienza etica e giuridica accumulato nei secoli dall’Occidente, re-inventano a tavolino, trasformandola spesso arbitrariamente dall’interno con operazioni di ingegneria culturale, una società diversa da quella che la civiltà ha conosciuto in questi 2000 anni. Per andare avanti e guardare con speranza al futuro il Papa dice semplicemente che bisogna avere un’idea chiara di quel che si è e di dove si vuole arrivare, tenendo presente anche delle gerarchie naturali, ove ci siano: una questione di buon senso, prima ancora che di fede.

E, in un momento in cui tutti parlano di libertà (una delle parole oggi più equivocate ed abusate, al pari della parola ‘amore,’ come il Pontefice rilevava già nell’enciclica Spe Salvi) non va dimenticato che le prime libertà assolutamente necessarie per una retta formazione della coscienza personale sono quelle di poter professare (e annunciare) liberamente la propria fede (“il primo dei diritti umani”) e di scegliere il progetto educativo più consono per i propri figli. Non che altre non siano importanti, ma è preliminarmente a partire da queste che si dà modo alla persona in quanto tale di svilupparsi, in tutte le sue dimensioni. Davanti al Corpo diplomatico, poi, non si può non ricordare il sacrificio di un uomo come Shahbaz Bhatti (1968-2011), il ministro pachistano per le minoranze religiose, cristiano, ucciso in odium fidei da un commando terrorista a Islamabad nel marzo scorso. La sua personale tragedia, nello stesso Paese in cui Asia Bibi lotta disperatamente – ancora in queste ore – tra la vita e la morte, ha ricordato infatti a tutti nel modo più drammatico che il martirio cristiano, in tante parti del globo, non è storia passata ma una realtà concreta dei nostri tempi: “Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. In non pochi Paesi i cristiani sono privati dei diritti fondamentali e messi ai margini della vita pubblica; in altri subiscono attacchi violenti contro le loro chiese e le loro abitazioni. [Ancora] in altre parti del mondo, si riscontrano politiche volte ad emarginare il ruolo della religione nella vita sociale, come se essa fosse causa di intolleranza, piuttosto che contributo apprezzabile nell’educazione al rispetto della dignità umana, alla giustizia e alla pace. Il terrorismo motivato religiosamente ha mietuto anche l’anno scorso numerose vittime, soprattutto in Asia e in Africa”. All’interno di questo drammatico contesto, il Pontefice ha ricordato che l’Europa, terra da sempre dei diritti e delle libertà, può certamente fare m
olto diplomaticamente ma anche politicamente e culturalmente, a partire dalla ripresa – e dall’approfondimento convinto – delle antiche radici cristiane che ne hanno fatto, realmente e non metaforicamente, quel Continente faro della civiltà che è oggi. Così, persino una pronuncia inattesa, apparentemente marginale, come quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in favore della presenza del Crocifisso (“un esempio” a cui guardare “con interesse”) nelle aule scolastiche italiane può rappresentare, se compresa in ogni sua effettiva implicazione, in realtà un segnale di speranza, a suo modo incoraggiante, per i tanti Shahbaz Bhatti che, in altrettante – spesso lontane e dimenticate – parti del mondo, testimoniano silenziosamente con il dono totale della loro vita, la forza liberante che, oggi come ieri, promana da quel Crocifisso di amore e di pace.

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Per ogni approfondimento: Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuan sulla Dottrina Sociale della chiesa http://www.vanthuanobservatory.org/

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ZENIT Staff

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