La difficile scelta di servire Dio a Karachi

La testimonianza di un giovane sacerdote pakistano, raccolta da Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS)

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ROMA, lunedì, 6 febbraio 2012 (ZENIT.org).- «In Pakistan scegliere di dedicare la propria vita a Dio non è facile». Don Ryan Joseph ha 27 anni ed è nato a Karachi. In tutto il Paese le violenze anticristiane sono estremamente diffuse, ma in questa città del Pakistan meridionale – che conta 18 milioni di abitanti – la situazione è ancor più pericolosa, specialmente per un sacerdote. Indossare l’abito talare significa correre gravi rischi e la possibilità di essere accusati ingiustamente di blasfemia è «per noi una minaccia costante».

Eppure don Ryan l’ha desiderato sin da bambino. Sin da quando il venerdì mattina si alzava presto per assistere alla Messa ed osservare con ammirazione il suo parroco. «E’ sempre stato il mio sogno – scrive in una lettera inviata nei giorni scorsi ad Aiuto alla Chiesa che Soffree se dovesse succedermi qualcosa, sono sicuro che Dio mi darà la forza di affrontarla».

Il giovane prete è ben cosciente che la sua scelta potrà costargli molto, perfino la vita, eppure è sereno. Ed era sereno anche a novembre, quando ha incontrato alcuni membri della Fondazione pontificia in visita nella sua diocesi, appena qualche settimana prima che l’arcivescovo emerito di Karachi, monsignor Evarist Pinto, lo ordinasse sacerdote il 3 dicembre. In quell’occasione il diacono aveva dichiarato di trarre forza e ispirazione dai Padri della Chiesa. «Per molti la persecuzione e il martirio di cui parlano le Sacre Scritture appartengono ad un passato molto remoto – aveva spiegato – ma per noi preti pachistani sono parte della vita di ogni giorno».

Nella lettera indirizzata ad ACS, don Ryan afferma l’importanza del sostegno dei fedeli – «molti dei quali sono disposti a offrire la propria vita per noi» – e l’imprescindibilità della solidarietà tra confratelli. «Un sacerdote da solo non può nulla di fronte alla violenza – scrive – Ma insieme possiamo superare ogni difficoltà».

Contrariamente alla maggior parte dei cristiani pachistani, don Joseph appartiene ad una famiglia di ceto medio e i suoi genitori desideravano per lui una carriera da ingegnere. Una strada che ha sperimentato per un anno e mezzo, abbandonando il seminario per testare la propria fede. «Ho guadagnato molto in quel periodo – racconta ad ACS – ma mi sentivo inutile e per nulla soddisfatto». Oggi è impaziente di dedicarsi al prossimo, anche se ancora non conosce quale sarà la sua missione. «In seminario siamo stati adeguatamente preparati riguardo agli aspetti spirituali della vocazione – continua il sacerdote – ma la vera formazione avviene fuori, accanto a chi ha bisogno». La sua maggiore preoccupazione è quella di proteggere le giovani cristiane costrette a legarsi a uomini musulmani: «troppe volte ho visto queste povere ragazze usate e poi abbandonate».

Aiuto alla Chiesa che Soffre sostiene regolarmente la formazione dei sacerdoti nel Seminario di Cristo Re a Karachi, dove studiano 46 giovani provenienti da diverse diocesi del Pakistan.

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Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), Fondazione di diritto pontificio fondata nel 1947 da padre Werenfried van Straaten, si contraddistingue come l’unica organizzazione che realizza progetti per sostenere la pastorale della Chiesa laddove essa è perseguitata o priva di mezzi per adempiere la sua missione. Nel 2010 ha raccolto oltre 65 milioni di dollari nei 17 Paesi dove è presente con Sedi Nazionali e ha realizzato oltre 5.500 progetti in 153 nazioni.

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ZENIT Staff

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