Riprendiamo il testo del discorso tenuto oggi da papa Francesco durante l’incontro con i dipendenti della Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano, avvenuto nell’Aula Paolo VI.
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È stato l’orgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli;
è l’umiltà che rende gli uomini uguali agli angeli (Sant’Agostino)
Carissimi collaboratori e collaboratrici, buongiorno!
Carissimi dipendenti della Curia – non disobbedienti della Curia, come qualcuno vi ha involontariamente definito commettendo un errore di stampa – !
Poco fa ho incontrato i Capi dei Dicasteri e i Superiori della Curia Romana per i tradizionali auguri natalizi, e ora incontro voi, per esprimere a ciascuno il mio sentito ringraziamento e i miei più sinceri auguri per un vero Natale del Signore.
È un dato di fatto che la stragrande maggioranza di voi è di nazionalità italiana, perciò permettetemi di esprimere anche un particolare, e direi doveroso, ringraziamento agli italiani che lungo la storia della Chiesa e della Curia Romana hanno operato costantemente con animo generoso e fedele, mettendo al servizio della Santa Sede e del Successore di Pietro la propria singolare laboriosità e la loro filiale dedizione, offrendo alla Chiesa grandi Santi, Papi, martiri, missionari, artisti che nessuna ombra passeggera della storia potrà offuscare. Grazie tante!
Ringrazio anche le persone che provengono da altri Paesi e che lavorano generosamente in Curia, lontani dalle loro Patrie e dalle loro famiglie, rappresentando per la Curia il volto della “cattolicità” della Chiesa.
Avendo rivolto un discorso ai Superiori della Curia Romana, paragonandola a un Corpo che cerca sempre di essere più unito e più armonioso per rispecchiare, in un certo senso, il mistico Corpo di Cristo, ossia la Chiesa, vi esorto paternamente a meditare quel testo facendone spunto di riflessione per un fruttuoso esame di coscienza, in preparazione al Santo Natale e all’Anno Nuovo. Vi esorto anche ad accostarvi al Sacramento della Confessione con animo docile, a ricevere la misericordia del Signore che bussa alla porta del nostro cuore, nella gioia della famiglia!
Non ho voluto far passare questo mio secondo Natale a Roma senza incontrare le persone che lavorano nella Curia; senza incontrare le persone che lavorano senza farsi vedere e che si definiscono ironicamente “ gli ignoti, gli invisibili”: i giardinieri, gli operai della pulizia, gli uscieri, i capiufficio, gli ascensoristi, i minutanti… e tanti, tanti altri. Grazie al vostro impegno quotidiano e alla vostra premurosa fatica, la Curia si esprime come un corpo vivo e in cammino: un vero mosaico ricco di frammenti diversi, necessari e complementari.
Dice san Paolo, parlando del Corpo di Cristo, che «non può l’occhio dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi: “Non ho bisogno di voi”. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie – pensiamo agli occhi -; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto … Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre» (1 Cor 12, 21-25).
Carissimi collaboratori e collaboratrici della Curia, pensando alle parole di san Paolo e a voi, cioè alle persone che fanno parte della Curia e che la rendono un Corpo vivo, dinamico e ben curato, ho voluto scegliere la parola “cura” come riferimento di questo nostro incontro.
Curare significa manifestare interessamento solerte e premuroso, che impegna sia il nostro animo sia la nostra attività, verso qualcuno o qualcosa; significa guardare con attenzione a colui che ha bisogno di cura senza pensare ad altro; significa accettare di dare o di ricevere la cura. Mi viene in mente l’immagine della mamma che cura il suo figlio malato, con totale dedizione, considerando come proprio il dolore di suo figlio. Lei non guarda mai l’orologio, non si lamenta mai di non aver dormito tutta la notte, non desidera altro che vederlo guarito, costi quello che costi.
In questo tempo trascorso in mezzo a voi ho potuto notare la cura che riservate al vostro lavoro, e per questo vi ringrazio tanto. Tuttavia, permettetemi di esortarvi a trasformare questo Santo Natale in una vera occasione per “curare” ogni ferita e per “curarsi” da ogni mancanza.
Per questo vi esorto a:
– curare la vostra vita spirituale, il vostro rapporto con Dio, perché questa è la colonna vertebrale di tutto ciò che facciamo e di tutto ciò che siamo. Un cristiano che non si nutre con la preghiera, i Sacramenti e la Parola di Dio, inevitabilmente appassisce e si secca. Curare la vita spirituale;
– curare la vostra vita famigliare, dando ai vostri figli e ai vostri cari non solo denaro, ma soprattutto tempo, attenzione e amore;
– curare i vostri rapporti con gli altri, trasformando la fede in vita e le parole in opere buone, specialmente verso i più bisognosi;
– curare il vostro parlare, purificando la lingua dalle parole offensive, dalle volgarità e dal frasario di decadenza mondana;
– curare le ferite del cuore con l’olio del perdono, perdonando le persone che ci hanno ferito e medicando le ferite che abbiamo procurato agli altri;
– curare il vostro lavoro, compiendolo con entusiasmo, con umiltà, con competenza, con passione, con animo che sa ringraziare il Signore;
– curarsi dall’invidia, dalla concupiscenza, dall’odio e dai sentimenti negativi che divorano la nostra pace interiore e ci trasformano in persone distrutte e distruttive;
– curarsi dal rancore che ci porta alla vendetta, e dalla pigrizia che ci porta all’eutanasia esistenziale, dal puntare il dito che ci porta alla superbia, e dal lamentarsi continuamente che ci porta alla disperazione. Io so che alcune volte, per conservare il lavoro, si sparla di qualcuno, per difendersi. Io capisco queste situazioni, ma la strada non finisce bene. Alla fine saremo tutti distrutti tra noi, e questo no, non serve. Piuttosto, chiedere al Signore la saggezza di saper mordersi la lingua a tempo, per non dire parole ingiuriose, che dopo ti lasciano la bocca amara;
– curare i fratelli deboli: ho visto tanti begli esempi tra di voi, in questo, e vi ringrazio, complimenti! Cioè, curare gli anziani, i malati, gli affamati, i senzatetto e gli stranieri perché su questo saremo giudicati;
– curare che il Santo Natale non sia mai una festa del consumismo commerciale, dell’apparenza o dei regali inutili, oppure degli sprechi superflui, ma che sia la festa della gioia di accogliere il Signore nel presepe e nel cuore.
Curare. Curare tante cose. Ognuno di noi può pensare: “Qual è la cosa che io devo curare di più?”. Pensare questo: “Oggi curo questo”. Ma soprattutto curare la famiglia! La famiglia è un tesoro, i figli sono un tesoro. Una domanda che i genitori giovani possono farsi: “Io ho tempo per giocare con i miei figli, o sono sempre impegnato, impegnata, e non ho tempo per i figli?”. Vi lascio la domanda. Giocare con i figli: è tanto bello. E questo è seminare futuro.
Carissimi collaboratori e collaboratrici,
immaginiamo come cambierebbe il nostro mondo se ognuno di noi iniziasse subito, e qui, a curarsi seriamente e a curare generosamente il proprio rapporto con Dio e con il prossimo; se mettessimo in pratica la regola d’oro del Vangelo, proposta da Gesù nel Discorso della montagna: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti» (Mt 7,12); se guardassimo all’altro, specialmente al più bisognoso, con gli occhi della bontà e della tenerezza, come Dio ci guarda, ci aspetta e ci perdona; se trovassimo nell’umiltà la nostra forza e il nostro tesoro! E tante volte abbiamo paura della tenerezza, abbiamo paura
dell’umiltà!
Questo è il vero Natale: la festa della povertà di Dio che annientò se stesso prendendo la natura di schiavo (cfr Fil 2,6); di Dio che si mette a servire a tavola (cfr Mt 22,27); di Dio che si nasconde agli intelligenti e ai sapienti e che si rivela ai piccoli, ai semplici e ai poveri (cfr Mt 11,25); del «Figlio dell’uomo che non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti» (Mc 10,45).
Ma è soprattutto la festa della Pace portata sulla terra dal bambino Gesù: «Pace fra cielo e terra, pace fra tutti i popoli, pace nei nostri cuori» (Inno liturgico); la pace cantata dagli Angeli: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2,14).
La pace che ha bisogno del nostro entusiasmo, della nostra cura, per riscaldare i cuore gelidi, per incoraggiare le anime sfiduciate e per illuminare gli occhi spenti con la luce del volto di Gesù!
Con questa pace nel cuore vorrei salutare voi e tutti vostri famigliari. Anche a loro desidero dire grazie e dare un abbraccio, soprattutto ai vostri figli e specialmente a quelli più piccoli!
Non voglio finire queste parole di augurio senza chiedervi perdono per le mancanze, mie e dei collaboratori, e anche per alcuni scandali, che fanno tanto male. Perdonatemi.
Buon Natale e, per favore, pregate per me!
Preghiamo la Madonna: Ave o Maria, …
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