di Pietro Barbini
ROMA, lunedì, 6 febbraio 2012 (ZENIT.org) – Nato a Kyoto nel 1556 da una famiglia benestante, il cui padre era un nobile samurai convertito al cristianesimo, Paolo Miki all’età di 22 anni entra come novizio in un collegio della Compagnia di Gesù, divenendo non solo il primo Gesuita del Giappone, ma il primo giapponese ad essere accolto in un ordine cattolico.
Esperto in cultura e religiosità orientale, date le sue origini, il suo ministero fu improntato alla predicazione e al dialogo, in particolare con i colti monaci buddhisti e shintoisti, ottenendo numerose conversioni tra i suoi connazionali. La sua maggior dote era data dal suo carattere docile e disponibile, una persona estremamente umile e per questo molto amato e rispettato da tutti. Riusciva a dialogare con chiunque e la sua predicazione non fu mai vana, ma portò sempre molti frutti.
Nel 1596 Paolo Miki viene arrestato ad Osaka, a causa delle persecuzioni verso i cristiani dell’impero giapponese, accusati di minare all’unità nazionale e, nel 1597, fu crocifisso su di un un’altura presso Nagasaki assieme ad altri 25 “compagni” (2 gesuiti, 6 francescani e 17 connazionali terziari dell’ordine francescano).
Nemmeno in questa occasione San Paolo Miki smetterà di predicare e di invitare tutti alla conversione, compresi i suoi carnefici e chi si trovava ad assistere alla crocifissione. Fu sostegno e punto di riferimento per i suoi compagni di cella che incoraggerà ad affrontare il martirio predicando la misericordia divina e annunciando la vita eterna, proclamando la fortuna d’essere cristiani e di morire per Cristo, con Cristo e in Cristo.
Picchiati, mutilati ed umiliati pubblicamente durante il viaggio verso Nagasaki, nessuno rinnegò la propria fede in Cristo e quel 5 febbraio 1597, pieni di entusiasmo, Paolo Miki e gli altri 25 religiosi affrontarono il supplizio con una serenità ed una compostezza tale da sbalordire i loro persecutori. Chi benediva e lodava iddio con il canto dei salmi, chi recitava il pater noster ad alta voce, chi pregava in silenzio e chi esortava i presenti ad una vita cristiana. Ma non solo. Dalla croce tutti e 26 martiri, con gli occhi fissi al cielo, continuavano a perdonare i loro carnefici.
Un testimone oculare narrerà dettagliatamente il supplizio dei santi martiri (un passo è riportato anche nella Liturgia delle ore) e dice: “Il nostro fratello Paolo Miki, vedendosi innalzato sul pulpito più onorifico che mai avesse avuto, per prima cosa dichiarò ai presenti di essere giapponese e di appartenere alla Compagnia di Gesù, di morire per aver annunziato il Vangelo e di ringraziare Dio per un beneficio così prezioso”, e dichiarò: “Giunto a questo istante, penso che nessuno tra voi creda che voglia tacere la verità. Dichiaro pertanto a voi che non c’è altra via di salvezza, se non quella seguita dai cristiani. Poiché questa mi insegna a perdonare ai nemici e a tutti quelli che mi hanno offeso, io volentieri perdono all’imperatore e a tutti i responsabili della mia morte, e li prego di volersi istruire intorno al battesimo cristiano».
Questi furono i primi martiri cristiani in Giappone, dopo loro molti altri furono perseguitati ed uccisi. Nel 1862 furono canonizzati da papa Pio IX. Questi santi martiri ci esortano oggi a ricordare nelle nostre preghiere tutti quei missionari che continuano a perdere la vita a causa del Vangelo e per tutti quei cristiani nel mondo che ancora oggi vengono umiliati, perseguitati e trucidati a causa di Cristo, come attualmente sta succedendo in Nigeria, in Cina, in Turchia e molte altre nazioni, comprese quelle che oggi vengono dette “civilizzate”, ricordandoci altresì la nostra missione all’evangelizzazione in quanto cristiani.