Monsignor Francesco Follo, osservatore permanente della Santa Sede presso l'UNESCO a Parigi, offre oggi la seguente riflessione sulle letture liturgiche per la Domenica di Pentecoste – Anno A – 8 giugno 2014.
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LECTIO DIVINA
Vieni, Santo Spirito, vieni per Maria, e consolaci
Pentecoste – Anno A - 8 giugno 2014
Rito Romano
At 2,1-11; 1Cor 12,3-7.12-13; Gv 20,19-23
Rito Ambrosiano
At 2,1-11; Sal 103; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
1) La festa della Chiesa.
La Pentecoste è mistero di amore donato e di comunione vissuta, di consolazione duratura e di gioia condivisa.
E’ gioia per la Presenza costante di Cristo tra noi.
E’ gioia per la certezza che il Maestro, il Signore è vivo, è con i Suoi, di ieri e di oggi, di sempre, e dona loro (a noi) il suo Spirito, Guida nella conoscenza della Verità[1], che rende liberi davvero e fa vivere nella pace.
Condividiamo questa gioia e celebriamo oggi la grande festa della Pentecoste, in cui la liturgia ci fa rivivere la nascita della Chiesa. “Possiamo dire che la Chiesa ebbe il suo solenne inizio con la discesa dello Spirito Santo” (Benedetto XVI). Oggi è la festa della Chiesa; è la nostra festa; è la festa dello Spirito Santo; la festa di Dio-Amore. “InvochiamoLo. BenediciamoLo. ViviamoLo. EffondiamoLo” (Paolo VI).
Prima di salire al Cielo, Gesù aveva ordinato ai discepoli innanzitutto di non fare nulla ognuno per proprio conto, ma di restare insieme, in comunità, e di aspettare il dono dello Spirito Santo. E così si riunì la Chiesa nascente, il piccolo gruppo di credenti insieme con Maria e con gli Apostoli che nel frattempo, con la scelta di Mattia, erano tornati ad essere dodici. E così cinquanta giorni dopo la Pasqua, lo Spirito Santo scese sulla comunità dei discepoli – “assidui e concordi nella preghiera” - radunati “con Maria, la madre di Gesù” e con i dodici Apostoli (cfr At 1,14; 2,1).
La concordia è condizione del dono dello Spirito Santo e la preghiera è condizione della concordia. Ma c’è anche un’altra condizione, perché questo dono possa essere da noi ricevuto, è quella di essere vigili in attesa del Signore.
Spesso diamo la priorità all’attività, ad una operosità che ci coinvolge fino al limite delle nostre forze e, spesso, anche oltre. Però saremmo più liberi, lieti e fecondi, se dessimo più tempo alla Parola di Dio, in cui il nostro volere e il nostro agire si distendono.
Certo, il Signore ha bisogno della nostra opera e della nostra dedizione, ma noi abbiamo bisogno della sua presenza. Dobbiamo imparare il coraggio dell’“inazione” e l'umiltà dell’attesa della Parola e delle Sue parole. Ascoltare in silenzio e nella comunione la parola di Dio fa meglio di tante parole umane; e i tempi di preghiera saranno più fruttuosi di molte azioni.
2) Il dono dello Spirito e la certezza del cuore.
Durante la passione di Cristo, gli Apostoli scapparono. Alle prime notizie della Risurrezione i discepoli non vollero credere e ci sono voluti quaranta giorni, perché Gesù risorto potesse ripotarli alla superficie della vita, infondendo nel loro spirito fiducia e certezza. La Pentecoste ha segnato la loro rinascita: le lingue di fuoco li scossero e in quel mattino di Paradiso tutto divenne loro chiaro. Veramente tutto: la natura e la missione di Cristo, le persecuzioni e il martirio, che li attendevano nel compiere la loro missione per la fondazione della Chiesa. Il loro cuore si incendiò di una certezza, di una dolcezza e di una gioia irrefrenabile. Lo Spirito opera sempre così anche nei nostri cuori, con dolce forza e con forte dolcezza. Lui è innanzitutto Spirito di Verità e verità è il vedere chiaro nelle cose e in noi stessi, avere la certezza che Dio ci ama, che noi possiamo amarLo e rifugiarci in Lui.
Lo Spirito Santo, che in un istante ha trasformato gli Apostoli, continua nella Chiesa a trasformare noi, duri di testa e ottusi di cuore: basta che Gli apriamo la porta del cuore. Allora Lui entra con il Figlio e con il Padre e fa di noi la dimora di Dio, il Quale è dimora dell’uomo, di tutta l’umanità.
Lontana da Dio l’umanità cerca solamente se stessa, cerca di ottenere la sua salvezza nella soddisfazione dell'insorgente egoismo di ognuno, cade in una radicale contrapposizione, dove nessuno più capisce il vicino. E, con la fine della comprensione, rimane insoddisfatto anche l'egoismo.
Lo “Spirito Santo” crea comprensione, perché è l’amore che proviene dalla croce, dal dono totale di Gesù Cristo. Non è necessario tentare qui parlare dettagliatamente degli insegnamenti dottrinali e pratici della Pentecoste. Penso che possa essere sufficiente ricordare l’espressione con cui Agostino provò a riassumere il nucleo del racconto di Pentecoste: La storia del mondo – afferma Sant’Agostino - è una lotta tra due diversi amori: l’amore di sé fino all'odio di Dio e l’amore di Dio fino all'abbandono dell’io. Ma questo amore di Dio è la redenzione del mondo e dell’io.
Nel primo chiarore del giorno di Risurrezione, Gesù diede un nome a questo io: “Maria”. E la salvezza dell’“uomo”: ogni essere umano è chiamato per nome da Dio. Da tutta l’eternità Dio ci conosce. Non siamo figli del caso e del caos, siamo figli dell’Amore. E’ nello Spirito Santo che Dio ci ama ed è nello Spirito che noi lo amiamo. Perciò la nostra vita è questo rapporto di amore, nel quale siamo chiamati e rispondiamo, nel quale chiamiamo e Lui risponde a ciascuno di noi, e diventiamo nella Chiesa e con la Chiesa luogo di incontro col Verbo e tempio dello Spirito.
3) Testimonianza di unità e di perdono.
Nella prima lettura della Messa di oggi San Luca descrive la venuta dello Spirito (At 2,1-11), utilizzando i simboli classici che accompagnano l'azione di Dio: il vento, il terremoto e il fuoco. Ma nel suo racconto c'è un simbolo in più: le lingue si dividono e si posano su ciascuno dei presenti, cosicché “incominciarono a parlare in altre lingue”. Con questo diventa chiaro il compito di unità e di universalità a cui lo Spirito chiama la sua Chiesa. L’autore sacro si dilunga anche nel dire che la folla accorsa era composta di uomini di varie nazionalità (2,19-11). E aggiunge: “Ciascuno li sentiva parlare nella sua propria lingua” (2,8). È come dire che lo Spirito non ha una sua lingua, né si lega a una lingua o a una cultura particolare, ma si esprime attraverso tutte. Con la venuta dello Spirito a Pentecoste e la nascita della comunità cristiana inizia in seno all'umanità una storia nuova, rovesciata rispetto alla storia di Babele. Nel racconto del Genesi (11,1-9) si legge che gli uomini hanno voluto raggiungere Dio, come conquista propria e non come dono. È l’eterna tentazione dell'uomo di voler costruire una città senza Dio e cercare salvezza in se stessi. Ma al di fuori di Dio l'uomo non trova che confusione e dispersione. A Babele uomini della stessa lingua non si intendono più. A Pentecoste invece uomini di lingue diverse si incontrano e si intendono. Il compito che lo Spirito affida alla sua Chiesa è di imprimere alla storia umana un movimento di riunificazione nello Spirito, nella libertà e attorno a Dio.
Lo Spirito trasforma un gruppo di persone racchiuse rifugio del Cenacolo in testimoni consapevoli e coraggiosi. Apre i discepoli sul mondo e dà loro il coraggio di proporsi in pubblico, raccontando davanti a tutti “le grandi opere di Dio”. Non va però dimenticato che Gesù risorto non soltanto dona lo Spirito in vista della missione, ma anche in vista del perdono dei peccati. In effetti l’evangelista Giovanni pone una stretta relazione fra lo Spirito, la comunità dei discepoli e il perdono.
Nella Chiesa, luogo della festa e del perdono (Jean Vanier), hanno un posto particolare le Vergini consacrate che, pur vivendo nel mondo, vivono di preghiera per lodare Dio e intercedere il suo perdono sul mondo. Esse testimoniano che la donazione completa a Dio non è un affidarsi a qualcosa, ma a Qualcuno, e che nella fede che trasforma il cuore è possibile accogliere quotidianamente Dio stesso presente in loro (e in noi) con il suo Spirito: “L’amore di Dio è diffuso nel nostro cuore per mezzo dello Spirito che Dio ci ha dato” (Rm 5,5). La loro esistenza vissuta in modo sponsale con Cristo testimoni tenerezza, fedeltà e misericordia. La loro vita e la loro missione è di accogliere Dio per donarlo al mondo.
La qualità di sposa di Cristo dà alla personalità della donna un notevole sviluppo affettivo. Ella mostra l’aspetto positivo della verginità, perché vi è una rinuncia solamente in vista di una pienezza d’ordine superiore. D’altra parte, l’impegno verginale è destinato, secondo il disegno divino, a suscitare una fecondità spirituale. La chiamata è un dono di Dio alla persona: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,1) che diviene un dono della persona umana mediante la consacrazione nella verginità. “Il dono della Verginità profetica ed escatologica, acquista il valore di un ministero al servizio del popolo di Dio e inserisce le persone consacrate nel cuore della Chiesa e del mondo” (Premesse al Rito della Consacrazione delle Vergini, n. 2).
Nelle vergini, che seguono la via aperta dalla Madonna, l’amore verginale consacrato a Cristo è fonte di maternità spirituale. E’ sorprendente constatare che per esprimere la sua paternità spirituale, San Paolo si sia servito di un’immagine propriamente femminile: quella del parto doloroso “Figlioli –lui scrive ai Galati (4,19)- che io di nuovo partorisco nel dolore”[2].
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NOTE
[1] Il senso della parola “verità” in Giovanni significa sia la realtà divina che la conoscenza della realtà divina. L'interpretazione tradizionale, specialmente quella cattolica, ha inteso la “verità” soprattutto nel secondo senso, nel senso dogmatico. Lo Spirito guida la chiesa attraverso i Concili, il Magistero, la Tradizione. Questo è un aspetto importante dell'azione dello Spirito di Verità - il più importante se vogliamo - ma non l'unico. C’è un aspetto più personale che dobbiamo tenere presente: lo Spirito Santo ci introduce alla vera vita di Cristo. Sant’Ireneo definisce lo Spirito Santo la nostra “comunione con Dio”, e San Basilio dice che “grazie allo Spirito diventiamo amici intimi di Dio”.
[2] Si può ricordare che mostrare la fecondità della sofferenza, Gesù stesso ha usato il paragone della donna che partorisce: con ciò faceva comprendere ai suoi discepoli i frutti che la loro partecipazione alla sua passione può produrre (cfr Gv 16, 21). Questo significa che la fecondità d’ordine spirituale si esprime più adeguatamente in termini femminili, anche se è comune agli uomini e alle donne.