Nel 1920, lo psichiatra Alfred Hoche e il giurista Karl Binding pubblicarono un volume intitolato L’autorizzazione all’eliminazione delle vite non più degne d’essere vissute, dove gli stessi autori svilupparono il concetto di “eutanasia sociale” che prevedeva l’eliminazione legale dei cosiddetti malati incurabili, considerati “fattore di danno economico per lo Stato” in quanto detrattori di benefici a scapito delle cosiddette “persone sane”.
Furono questi i presupposti che aprirono le porte al disegno eugenetico nazista che, tra il 1939 e il 1941, portò all’eliminazione di più di 200.000 disabili mentali e fisici, per mano del personale medico ed ospedaliero.
Tutto questo viene raccontato in una mostra, intitolata “Aktion T4 lo sterminio dei disabili”, promossa dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e allestita in tutti i comuni del magentino, nei quali è presente, in occasione del Giorno della Memoria 2013.
Si tratta di un percorso storico-iconografico dove, attraverso l’ausilio di fotografie e documenti vari, viene ricostruito quello che fu il progetto di “eutanasia nazista” e la progressiva crescita dell’eugenetica come arma culturale rivolta contro i disabili per la conservazione della razza ariana, quella che secondo Hitler avrebbe redento il mondo.
Un’iniziativa che getta luce su una pagina di storia rimasta celata per molto tempo e riportata all’attenzione dei cittadini grazie al contributo di numerose istituzioni come, appunto, l’ANPI, che da anni si sta prodigando per diffondere e mantenere viva la memoria storica di quella grande tragedia che è stata la Shoah, ricordando tutte le vittime dell’ideologia nazista e invitando a meditare sugli eventi che, passo dopo passo, portarono allo sterminio di più di sei milioni di ebrei.
Questo processo di “pulizia sociale”, chiamato con il nome di copertura “Aktion T4” e trasformato poi, nel 1942, in “Aktion 14f13”, viene considerato come una sorta di “prova generale” dell’Olocausto che portò alla morte circa 250.000 tedeschi (anche se un nutrito gruppo di studiosi dell’Olocausto parla di 600.000 disabili tra uomini, donne e bambini), il più delle volte tramite asfissia da monossido di carbonio e quasi sempre all’insaputa della famiglia.
Questo “processo” ebbe inizio nel 1933 con la “Legge sulla prevenzione della nascita di elementi ereditariamente malati” che portò più di 400.000 tedeschi alla sterilizzazione forzata (tale legge considerava “tedeschi di serie B” i deboli di mente fino alla nascita, gli schizofrenici, i maniaco-depressivi, i malati di epilessia, gli affetti da corea minor, i ciechi, i sordi ereditari, gli alcolisti e tutti coloro che presentavano malformazioni ritenute ereditabili dai figli).
Nel 1935 venne emanata la seconda legge per la “Salvaguardia della salute ereditaria del popolo tedesco”, con la quale si ampliò la precedente legge autorizzando anche l’aborto nel caso in cui uno dei due genitori fosse soggetto a malattie ereditarie, mentre il primo settembre del 1939, con l’emanazione del decreto legislativo a favore dell’eutanasia, ai danni dei “malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio”, vennero uccisi tutti quei pazienti ricoverati nei reparti psichici, neonati, bambini e ragazzi affetti da sindrome di down, persone con malformazioni, handicappati e anziani che si trovavano negli ospizi e nei reparti di lungodegenza (Jan Kershaw, il biografo di Hitler, parla di almeno 800.000 vittime, contando solamente i bambini afflitti da patologie ereditarie e da handicap).
Qualcuno si porrà la domanda sul perché sia così importante ricordare questi tragici eventi, perché mantenere viva la memoria storica di vicende come quella dell’Olocausto che appartengono ad uno dei momenti più dolorosi e vergognosi della storia dell’umanità; c’è chi, infatti, li vorrebbe dimenticare, ma ricordare il passato, oggi più che mai, è fondamentale per la tutela stessa dell’uomo e la salvaguardia della società; la “storia”, infatti, ci mette continuamente di fronte a quelle che potrebbero essere le conseguenze future del nostro agire presente, aiutandoci a non “cadere” negli stessi errori del “passato” che, spesso e volentieri, si ripresenta a noi sotto diverse spoglie.
Il Giorno della memoria, in questa prospettiva, vuole essere un monito a rigettare quel “semplicismo etico” che sembra caratterizzare la società odierna, sempre più immersa in quella “cultura relativista” dove, nel nome di una fantomatica idea di “progresso”, si stanno promuovendo in tutta Europa, e non solo, leggi come l’aborto, l’infanticidio, la manipolazione genetica e l’eutanasia, ignorando quel principio di sacralità e inviolabilità della vita umana su cui per secoli si è fondata e sviluppata la nostra civiltà.
Il tentativo odierno di voler legiferare in materia di “fine vita”, come se “vita” e “morte” fossero beni cui lo Stato può disporre e mettere a disposizione dei cittadini, introduce velatamente nella società quel concetto secondo cui il valore della vita umana viene fatto dipendere, non da “ciò che si è”, ma da “ciò che si può fare”, valutando gli uomini secondo il criterio di “efficienza” e “salute”.
Ma la qualità della vita di una persona non può essere valutata seguendo il principio di robusta e sana costituzione fisica, o mentale, perché così facendo si rischia una deriva molto pericolosa, ossia, la fredda logica secondo cui se una persona non è utile alla società allora è meglio eliminarla, perché chi crede di poter disporre liberamente della propria vita, arriverà presto a credere di poter disporre della vita degli altri, riducendo l’uomo, come diceva Kant, a mero mezzo. In tal senso il passato insegna.