di H. Sergio Mora

ROMA, lunedì, 13 febbraio 2012 (ZENIT.org) - Le migrazioni in Italia, tra passato e futuro: è questo il titolo del dossier presentato giovedì 9 febbraio, alla sala Marconi della Radio Vaticana. Il documento raccoglie, attraverso il tempo, i flussi migratori italiani all’estero e, l’immigrazione straniera degli ultimi anni.

La gestione dell’immigrazione in modo emergenziale, il superamento di quest’ultima concezione, la difficoltà di capire che dietro i numeri ci sono i volti, l’immigrazione intesa in un’ottica di scambio, sono stati alcuni degli spunti venuti a galla nelle relazioni dei presenti.

Tra i relatori, il direttore generale del ministero del Lavoro, Natale Forlani; il responsabile del Dossier Caritas, Franco Pittau; l’ambasciatore del Marocco, Hassan Abouyoub; lo spagnolo Jose Oropeza, direttore del coordinamento dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni per il Mediterraneo; il giornalista pachistano Ejaz Ahmad; il direttore del Centro Studi Migrazioni, lo scalabriniano René Maneti.

Presente anche il presidente delle ACLI (Associazione cattolica lavoratori italiani) Andrea Olivero che, in un’intervista a Zenit, ha spiegato le difficoltà nella comprensione e nella gestione del fenomeno dell’immigrazione.


Quale è oggi uno dei problemi nella gestione dell’immigrazione?

Olivero: L’immigrazione non può essere gestita con criteri emergenziali e, soprattutto se non viene vista in un ottica di scambio tra gli stati, come detto dall’ambasciatore del Marocco, rischiamo di affrontarla in maniera “spuntata”, senza la possibilità di incidere. Inoltre si è rammentato che la tematica ormai è globale e, come tale, deve essere affrontata nella prospettiva dello scambio e non soltanto del mero aiuto. L’Italia ha bisogno di immigranti, così come i paesi da dove provengono hanno bisogno delle rimesse.

Quindi far capire che esiste una convergenza di interessi?

Olivero: Costruire un sistema per il quale non paghino un prezzo eccessivo gli immigranti che assumono quella fatica che non si può togliere, quando ci si sposta per cercare una vita buona. Però se gli interessi dei paesi di partenza e quelli di arrivo si incontrano, bisogna trovare delle  soluzioni eque e sagge. Per far questo bisogna distruggere una diffusa mentalità che ancora colloca l’immigrazione come un fattore di paura. Malgrado le statistiche, si pensa ancora che gli immigrati, prima o poi, tornano al loro paese. Olivero: Invece i loro sono progetti di vita. Pensare al migrante solamente come a un lavoratore, senza valutare la sua famiglia o le sue aspirazioni, è una sciocchezza: dietro ai dati, ci sono volti e ci sono progetti. Questi progetti, tra l’altro, sono interessanti per noi perché aprono una prospettiva di nuova cittadinanza, di una cittadinanza rinnovata nella quale i migranti partecipano con un entusiasmo degli autoctoni ad un progetto di futuro.

Anche perché fanno lavori che, contrariamente, nessuno farebbe…

Olivero: Noi ce ne siamo accorti con questa crisi: c’è disoccupazione anche tra gli immigrati, rimane alta la richiesta di lavoro tra loro, quindi non si può pensare di andare a liquidare questa forza lavoro in un Paese come l’Italia che comunque vive un gelo demografico imponente.
Al contempo bisogna ricordare che utilizzare immigranti laureati per fare le badanti o gli operai è una sciocchezza. Nei loro paesi di origine e le loro famiglie hanno fatto forti investimenti per studiare e noi li buttiamo via così… Anche questo è un segno di impreparazione da parte del nostro Paese.

Quindi la meritocrazia soffre molto.

Olivero: Sia per i cittadini italiani che per quelli stranieri. Se guardiamo ad altri Paesi come negli Stati Uniti, vediamo che una selezione intelligente dell’immigrazione ha portato ad un arricchimento gigantesco. Noi facciamo l’esatto contrario. Così facendo ci priviamo di risorse strategiche.

Nelle Acli, che ogni giorno sono vicine ai lavoratori stranieri, cosa pesa di più?

Olivero: La maggior difficoltà è il forte legame tra la permanenza in Italia e il posto lavoro, in particolare in un momento di crisi. Notiamo che c’è ansia tra coloro che perdono il posto di lavoro e anche tra quelli che rischiano, non solo per loro stessi ma anche per i loro familiari. Accadono spesso cose assurde come quella di portare via ragazzi nati in Italia che non sono più appartenenti alla cittadinanza originaria ma a quella italiana. Bisognerebbe dare più rassicurazioni a chi è da più tempo in Italia e dovrebbe avere una tutela maggiore.