di Robert Cheaib
ROMA, sabato 25 febbraio 2012 (ZENIT.org). – La lettera ai romani di san Paolo è una delle opere più importanti per il pensiero teologico cristiano. Se considerata dal punto di vista della storia degli effetti (Wirkungsgeschichte), essa rivela una stupefacente influenza su diversi aspetti – spesso scottanti e contrastanti – del Mistero cristiano. Numerose nozioni e dottrine teologiche di insigni maestri e dottori trovano in questa lettera scaturigine, giustificazione e conferma.
Nell’epistola ai romani, ad esempio, sant’Agostino d’Ippona trovò l’ossatura biblica della dottrina del peccato originale (cap. 5). Da essa, Lutero evinse la sua teoria della giustificazione per la sola fide (cap. 3-4). Un’altro riformatore, Giovanni Calvino, vi scorse l’humus per la sua dottrina della doppia predestinazione (cap. 9-11). Non a caso la lettera è stata sempre oggetto di commentari e studi da parte dei più importanti pensatori cristiani cominciando da Origene, passando per Agostino, l’Ambrosiaster, Lutero, Karl Barth… per elencare soltanto alcuni nomi. L’editrice Città Nuova arricchisce il panorama dei commentari sull’epistola ai romani con una traduzione del Commento di Pelagio, il celebre avversario di Agostino. Il recente volume della «Collana di testi patristici» (vol. 221) raggruppa, infatti, due opere importanti del monaco bretone: «Commento all’epistola ai romani» e «Commento alle epistole ai corinzi».
I Commenti di Pelagio rivestono un significato particolare perché ci permettono di considerare alcuni aspetti del pensiero dell’autore prima della polemica con Agostino. Il volume è una preziosa risorsa per chi vuole conoscere la visione di Pelagio attraverso un contatto diretto, e non tramite il filtro delle opere di Agostino e il setaccio non imparziale della polemica.
I due commenti riportati in questa traduzione fanno parte dell’opera più estesa di Pelagio, le «Expositiones XIII epistularum Pauli», composte nel periodo tra il 406 e il 409, e in cui l’autore commenta tutto il corpo paolino, ad esclusione della lettera agli ebrei considerata da lui come autentica di san Paolo.
Il pregio di questi commenti pre-polemici è duplice: essi mostrano un pensiero ancora caratterizzato da grande fluidità, non incastonato nelle rigidi distinzioni e posizioni della polemica. D’altro canto, i commenti ci conducono alle origini stesse del pensiero di Pelagio.
Il testo edito da Città Nuova è corredato da una preziosa introduzione di Sara Matteoli in cui si inquadrano sia la figura di Pelagio sia i commenti alle tre lettere. La Matteoli evidenzia anche i punti salienti dei Commenti di Pelagio sviluppandone in particolare quattro:
1. La distinzione tra lex naturae attraverso la quale l’uomo può conoscere per analogia che esiste Dio e che Dio è giusto, la lex litterae,ovvero la legge divina data a Mosè, e la lex fidei, che sola è capace di salvare l’uomo e di liberarlo dalla morte.
2. Le conseguenze del peccato di Adamo e il problema della grazia divina, dove l’autore sembra rifiutare il «traducianesimo», ovvero la trasmissione della colpa ai discendenti, e assume un’interpretazione solo esemplare della colpa di Adamo, in quanto Adamo si erge come modello negativo ai suoi discendenti. A differenza di Adamo, – per Pelagio – Cristo ha offerto un exemplum oboedientiae che indica agli uomini la via della salvezza.
4. Essendo i commenti rivolti all’aristocrazia romana in cerca di approfondire la scienza e la prassi della fede, i commenti di Pelagio sono ricchi di esortazioni parenetiche. Il testo è attraversato da varie riflessioni sui problemi morali e sulla condotta che i cristiani devono conservare nel mondo.
In conclusione, questi commenti, scritti tra l’altro in un linguaggio accessibile e conciso, sono di doppio interesse: il primo è quello del cultore della letteratura cristiana antica che può confrontare le tematiche pelagiane prima ancora del loro irrigidimento polemico; il secondo è quello di un confronto con un pensatore cristiano zelante intento a mostrare la bellezza dell’essere seguaci e imitatori di Cristo; un uomo attraversato dall’ansia di annunciare Cristo giacché – come scrive il nostro autore – «tu rubi agli uomini Cristo, tenendolo loro nascosto».
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