ROMA, sabato, 11 febbraio 2012 (ZENIT.org).- In Occasione della XX Giornata mondiale del Malato, il Centro dei Volontari della Sofferenza ha pubblicato un saggio al titolo “Curare tutto l’uomo – tutta la persona soffre, tutta la persona offre” (edizioni CVS)
Nel capitolo conclusivo gli autori Maurizio Chiodi, Angela Petitti, Luciano Ruga, Mara Strazzacappa, e Angel Torres hanno scritto:
“Non è difficile trovare articoli, libri, riflessioni che parlano di una specifica opera di carità: visitare gli ammalati. D’altra parte si tratta di una attenzione che si tramanda dalle origini della Chiesa, poiché è il Signore stesso che si identifica nelle persone che sono ammalate, assetate, affamate, carcerate, ecc. secondo la parabola evangelica (Mt 25, 31-46) che descrive la venuta definitiva del
Regno di Dio.
Nell’odierno contesto culturale si è anche sviluppata sull’argomento una attenzione di tipo psicologico-empatico, per comprendere il modo più idoneo e rispettoso di accostare una persona malata per portare consolazione.
CHI VISITA CHI?
Visitare gli ammalati è uno dei punti forti della pastorale della salute, caratterizzante quell’accostamento personale-esperienziale che niente può sostituire, ben espresso nello slogan “l’ammalato per mezzo dell’ammalato”. Ed è proprio qua che si situa la novità carismatica del Venerabile Mons.Novarese: visitare gli ammalati non è tanto un’attenzione e un impegno di una persona sana verso il malato ma anche, e soprattutto di una persona malata nei confronti di un’altra persona malata, oppure nei confronti di una persona che non è malata fisicamente ma ha smarrito il senso della sua vita. La testimonianza esperienziale ha di sicuro un valore diverso da chi parla “tanto per parlare”. Non c’è niente di passivo in queste azione e l’ammalato non sta in casa ad aspettare la visita di qualcuno. Lui stesso si fa visitatore di altri ammalati, non oggetto di visita ma protagonista di una missione.
VISITARE DOVE?
Cosa si intende per visitare gli ammalati? Dove bisogna andare? Potremmo dire in tutti i luoghi in cui la persona fa esperienza del dolore: in ospedale, a casa, nelle case di cura, nelle residenze per anziani… tuttavia, non è soltanto una questione geografica. Nel pensiero del Venerabile Mons. Novarese, visitare gli ammalati significava sforzarsi di raggiungere ogni persona lontana da Dio, per ricondurla a lui. Dunque non si tratta solo di sofferenza fisica, né solo di ammalati allettati,ma di provare ad accostare ogni uomo derelitto: c’è la fame di valori e di giustizia, oltre alla fame di pane; c’è la nudità spirituale emorale, oltre che a quella materiale; c’è la sete diDio e dell’infinito, oltre alla sete di acqua; c’è la malattia spirituale, oltre alla malattia fisica. Tutti questi sono campi di azione apostolica.
CHE COSA DIRE?
Questo è davvero un problema per tanti, poiché si sa bene che non è facile accostarsi,magari per la prima volta, ad una persona che non conosciamo. Tutto quello che potremmo dire potrebbe essere inopportuno, fuori luogo, fastidioso, imbarazzante. Il desiderio è di portare conforto e speranza, la presenza di Dio che veglia su ognuno con amore. Purtroppo però, capita che invece di consolare gli afflitti, affliggiamo i consolati! Guai, poi, a parlare con la gente come se stessimo facendo una lezione di catechismo, o una predica, oppure una dotta esposizione sul perché della sofferenza.Allora che cosa bisogna dire? Lo stile che ci raccomanda Mons. Novarese è quello del farsi compagno di viaggio: ci si accosta, si ascolta, si cerca di non giudicare, si combatte la tentazione di dare facili e inutili soluzioni… poi, con il tempo, e secondo la grazia di Dio, si evangelizza, cioè si porta la Parola del Vangelo nella situazione delle persone.
VISITARE È EVANGELIZZARE
Non c’è dubbio che per il Venerabile Mons. Novarese, visitare l’ammalato, di qualsiasi tipo e in qualunque luogo, significasse portare nella sua vita il vangelo della morte e resurrezione di Cristo, mistero/annuncio che rivela l’amore senza limiti di Dio per l’uomo, la sua volontà di salvezza che vorrebbe riversata e accolta da tutti gli uomini. Visitare l’ammalato, per lasciarlo come prima, infatti, non avrebbe senso. Il Signore Gesù, visitando la nostra umanità e prendendola su di sé, non ci ha lasciati nella nostra incompiutezza e desolazionema ci ha trasformati in uomini e donne per il Regno diDio, portatori della sua salvezza gli uni verso gli altri”.
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