di padre John Flynn, LC
ROMA, lunedì, 6 febbraio 2012 (ZENIT.org) – Lo sviluppo sostenibile è la parola d’ordine del XXI secolo e non può essere raggiunto senza migliorare la salute riproduttiva. Lo ha detto, durante una recente riunione del comitato esecutivo dell’UNFPA, il suo direttore, Babatunde Osotimehin, secondo un comunicato stampa del 1° febbraio.
UNFPA è l’agenzia delle Nazioni Unite incaricata di promuovere la pianificazione familiare, compresi i contraccettivi e l’accesso all’aborto. Ridurre la fertilità è, secondo il direttore esecutivo, la chiave per il successo economico.
Eppure si tratta di un’affermazione contraddetta sempre di più dai fatti. Il Giappone è uno degli esempi più netti. Gli ultimi dati ufficiali prevedono un calo del 30% della popolazione nipponica, che si stima scenderà sotto i 90 milioni, entro il 2060.
Secondo l’agenzia Reuters del 30 gennaio, entro questa data il numero di persone che hanno 14 anni o meno sarà inferiore a 8 milioni nel Paese del Sol Levante, rispetto ai 35 milioni di cittadini di 65 anni o oltre.
Secondo le previsioni, il tasso di fertilità, ossia il numero previsto di figli nati per coppia, scenderà nel 2060 a 1,35 rispetto a 1,39 nel 2010, ben al di sotto dei 2,08 necessari per evitare un calo della popolazione.
Le proiezioni si basano sul censimento del 2010 e ci sono tre stime – una moderata, una ottimista ed una pessimista – tutte realizzate dal National Institute of Population and Social Security Research, come ha riferito il Daily Yomiuri Online (31 gennaio).
Il pronostico che è stato diffuso corrisponde alla stima moderata e prevede che il 39,9% della popolazione avrà 65 anni o più entro il 2060.
Ancor prima della pubblicazione degli ultimi dati, c’era preoccupazione per le conseguenze economiche della bassa natalità nel Giappone. Inoltre, quello che sta succedendo in questo paese, è un assaggio di ciò che accadrà in altre economie mature.
Una notizia della Reuters, del 12 gennaio, ha citato un esperto della Deutsche Bank a Hong Kong, Ajay Kapur, il quale ha detto che i mercati azionari sono preoccupati per le tendenze demografiche in quasi tutte le economie sviluppate.
Il Giappone non è un caso unico
Secondo Ajay Kapur, sarebbe un errore fondamentale pensare che la stagnazione economica del Giappone negli ultimi due decenni sia un caso unico.
“Nei prossimi cinque anni, tutti i 18 Paesi sviluppati di cui la Deutsche Bank dispone dei dati del mercato immobiliare risalenti a oltre mezzo secolo, vedranno un calo nei loro rapporti di popolazione in età lavorativa”, così ha indicato l’articolo di Reuters.
La combinazione di un minor numero di persone nella forza lavoro ed alti livelli di indebitamento conduce a condizioni economiche molto sfavorevoli, così ha avvertito Kapur.
L’invecchiamento della popolazione significa che una seria riforma della sicurezza sociale e del sistema fiscale sarà necessaria in Giappone, ha detto il segretario generale del governo, Osamu Fujimura, durante una conferenza stampa svoltasi lunedì scorso, secondo quanto riferito dal Daily Yomiuri Online (1 febbraio).
Nel 1960 un pensionato era sostenuto da 11,2 lavoratori. Nel 2010 invece, a sostenere ogni pensionato erano soli 2,8 lavoratori. Entro il 2060 si prevede che ci saranno solo 1,3 lavoratori per ogni pensionato.
Molti altri paesi stanno cercando di far fronte alle conseguenze di un tasso di fertilità sceso al di sotto del livello di sostituzione.
Come riportato dal Guardian (23 gennaio), il presidente di Taiwan, Ma Ying-jeou, ha avvertito che la mancanza di bambini nel Paese è “una grave minaccia alla sicurezza nazionale”.
Nel 1951, ogni donna sull’isola aveva sette figli. Nel 2010, il tasso di fertilità era sceso invece allo 0,89. Mentre attualmente circa il 14% della popolazione ha più di 65 anni, questo numero potrebbe raddoppiare nel giro di appena un paio di decenni.
Secondo il Guardian, attualmente sette persone che lavorano sostengono un pensionato, ma entro il 2045 questa proporzione crollerà ad appena 1,45.
“Un rapido invecchiamento significa un input di lavoro in declino e, a lungo termine, suggerisce un calo della popolazione, la quale rallenterà l’economia”, ha detto Ma Tieying, economista presso la DBS Bank a Singapore.
Il suo allarme è contenuto in un rapporto sulle pressanti conseguenze economiche della bassa fertilità a Taiwan, pubblicato il 25 gennaio scorso da Bloomberg Businessweek.
Una generazione
Un altro esperto che di recente si è espresso sul tema è Sarah Harper, direttrice dell’Oxford Institute of Population Ageing, dell’Università di Oxford. Secondo la Harper, entro la metà del secolo l’Unione europea registrerà un aumento medio del 23% del costo delle pensioni, ha rivelato il quotidiano The Independent (31 gennaio).
La massima pressione, tuttavia, non sarà in Europa, ma sui Paesi dell’Asia e dell’America latina, che a loro volta stanno sperimentando un rapido declino della fertilità. L’Europa – ha ribadito la Harper – ha avuto più di un secolo per adattarsi a questi cambiamenti, ma la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo avrà una sola generazione.
Il rapido declino nell’America Latina, dovuto in parte ai programmi promossi dalle Nazioni Unite, è evidente in due esempi recenti.
Un rapporto pubblicato il 25 gennaio da Prensa Latina afferma che, probabilmente, la popolazione calerà entro il 2025. Secondo il direttore del Population and Development Research Center, Juan Carlos Alfonso, in quel momento il 26% della popolazione avrà raggiunto i sessant’anni.
Nel frattempo, una notizia della US National Public Radio, del 15 gennaio, ha rivelato che da una media di sei figli per donna 50 anni fa il Brasile ora ha un tasso di fertilità inferiore a quello degli Stati Uniti, cioè 1,9 figli per donna.
Declini talmente rapidi e drammatici comporteranno inevitabilmente gravi problemi economici e di bilancio, cioè ben lontani dal presunto “sviluppo sostenibile”.
[Traduzione dall’inglese a cura di Paul De Maeyer]