All’uscita i volti sono soddisfatti. Concordano padre Lombardi e il Sostituto Segretario di Stato, arcivescovo Angelo Becciu, nel ritenere quanto accaduto a fine pomeriggio nei Giardini Vaticani un evento nuovo e dal forte sapore simbolico, tale da potenzialmente aprire una strada nuova per la pace in Medio Oriente. Contenta anche Margaret Karam – invitata dal Papa – nata ad Haifa, in Galilea, che ha letto in arabo la preghiera di san Francesco per la pace.
Tuttavia la consacrata focolarina – impegnata nel dialogo israelo-palestinese – si rammarica che da parte musulmana qualche lettore abbia voluto aggiungere a braccio al testo scritto frasi assai dure e poco consone al clima dell’incontro.
Notano la stessa forzatura anche alcuni membri italiani della delegazione di Israele, raggiunti poi da un rabbino molto noto: “Si è avuta la sensazione che una parte dei presenti ha pregato veramente per la pace, un’altra forse più per la vittoria”. Dal gruppo ebraico si conferma la visita a breve del Papa in Sinagoga a Roma: “Preparatevi che arrivo presto”, ha ribadito ieri Francesco.
Che cosa resta dell’ Invocazione per la pace vissuta domenica in un tardo pomeriggio già estivo, con un sole che ha dardeggiato per la prima mezz’ora (ma solo sulla nostra postazione), in un luogo già di per sé eccezionale: una lingua di prato a forma triangolare dentro il Vaticano, delimitata da due alte siepi ed ‘aperta’ sul lato corto verso il Cupolone? Il fatto prima di tutto che si sia tenuta.
E si sia tenuta dentro il Vaticano, la ‘casa del Papa’. Con tali partecipanti. Con le conseguenze connesse, speriamo positive, sul piano dei rapporti internazionali e interreligiosi. Non è chi non veda poi l’unicità dell’incontro (che non ha in sé dei precedenti veri, dato che durante il Giubileo del 2000 – giornata del dialogo interreligioso -ognuno aveva pregato in un luogo separato fuori del Vaticano e poi si erano tutti ritrovati in Aula Nervi).
Da evidenziare anche il clima molto spirituale dell’incontro, caratterizzato dalla meditazione suscitata e favorita sia dagli intermezzi musicali che dalle preghiere (lode a Dio per il dono della creazione, richiesta di perdono, invocazione per la pace in Terrasanta – è in quest’ultima parte che forse c’è stata qualche sbavatura musulmana sull’argomento ‘Gerusalemme’).
Molto coinvolgente il discorso del Papa, di cui ricordiamo due passi tra i più significativi: “Per fare la pace ci vuole coraggio, molto più che per fare la guerra” e “La storia ci insegna che le nostre sole forze non bastano. (…) Non rinunciamo alle nostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di suprema responsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostri popoli”.
Toccante l’intervento del presidente israeliano, con un Shimon Peres molto emozionato, sia poco dopo l’inizio nella citazione del Libro dei Salmi (“Chiedete pace per Gerusalemme/Vivano sicuri quelli che ti amano/Sia pace nelle tue mura/Sicurezza nei tuoi palazzi”…) che verso la fine, nella citazione di Isaia: “Essi trasformeranno le loro spade in aratri e le loro lance in falci. Un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo e non si eserciteranno più nell’arte della guerra”. Di Shimon Peres un altro passo sicuramente molto sofferto e meditato: “La pace non viene facilmente. Noi dobbiamo adoperarci con tutte le nostre forze per raggiungerla. Per raggiungerla presto. Anche se ciò richiede sacrifici o compromessi”.
Anche Abu Mazen, di cui va in ogni caso evidenziato il coraggio di partecipare da protagonista a un incontro inaudito per una parte del mondo musulmano, ha detto parole importanti: “Perciò noi Ti chiediamo, Signore, la pace nella Terra Santa, Palestina e Gerusalemme insieme con il suo popolo. Noi ti chiediamo di rendere la Palestina e Gerusalemme in particolare una terra sicura per tutti i credenti, e un luogo di preghiera e di culto per i seguaci delle tre religioni monoteistiche – Ebraismo, Cristianesimo, Islam – e per tutti coloro che desiderano visitarla come è stabilito nel sacro Corano”.
E il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo? Seduto in un posto d’onore distinto dai tre altri protagonisti, ha letto un brano famoso di Isaia, come primo momento della parte di preghiera cristiana: “Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra (…) Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, ma il serpente mangerà la polvere”. Il Patriarca ortodosso ha poi piantato, insieme con il Papa, il presidente di Israele e il presidente dello Stato di Palestina un ulivo, vicino a dove tutti erano seduti. Un’immagine ‘forte’ che suscita tenerezza esperanza quella di quattro uomini anziani, gravati di pesanti responsabilità verso i loro popoli e il mondo intero, ognuno con una pala in mano attorno all’ulivo della pace.
Di quello che i quattro protagonisti si sono detti dopo, nella Casina di San Pio V, non sappiamo. Erano da soli. E’ stato un incontro tra istituzioni e tra popoli – e dunque ha avuto indubbiamente un lato politico – ma soprattutto un incontro di preghiera. Nel tentativo di aprire strade nuove anche laddove la politica fin qui – come ha riconosciuto esplicitamente nel suo discorso papa Francesco – ha fallito.
Illusione? Peres lascerà presto la scena istituzionale israeliana? In Israele il pragmatico Netanyahu è il più forte? Israele vuole incrementare la costruzione di insediamenti in Cisgiordania? Mahmud Abbas cammina sempre sul filo del rasoio? Tutto vero.
Intanto, un primo passo in una direzione inconsueta è stato fatto. Forse qualcosa incomincerà a muoversi nella giusta direzione, magari grazie al soffio dello Spirito, che si posa dove vuole. Ieri era Pentecoste: Spirito del Dio vivente/accresci in noi l’amore/ Pace, gioia , forza/ nella tua dolce presenza/Fonte d’acqua viva/purifica i cuori/ Sole della vita/Accendi la tua fiamma… Non è il caso di porre limiti all’azione dello Spirito Santo.
(Fonte: Rossoporpora)