Per le migliaia di croci di innocenti sotterrati negli abissi del Mediterraneo

La riflessione del cardinale Vegliò durante la veglia di preghiera “Morire di Speranza”, svoltasi domenica a Santa Maria in Trastevere

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“Un simbolo di pace, un luogo di alleanza tra gli uomini contro ogni diffidenza ed estraneità”. È questo il mare nostrum che il cardinale Antonio Maria Vegliò si augura di vedere nel futuro: un luogo dove si possa udire “l’eco di espressioni di saluto, di incontro e di pace come: Shālôm, salâm alaykum, la pace sia su di voi. Pax vobiscum, la pace sia con voi”.

Il porporato è intervenuto durante la veglia di preghiera sul tema “Morire di speranza”, svoltasi domenica 22 giugno, nella basilica di Santa Maria in Trastevere. L’evento, promosso dalla comunità di Sant’Egidio in collaborazione con le Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli), la Caritas italiana, la Fondazione Migrantes e il Jesuit refugee service, ha voluto commemorare i tanti uomini e donne innocenti che trovano la morte nei loro viaggi di speranza verso l’Europa, lasciando la sponda sud del Mediterraneo.

Proprio quel Mediterraneo che letteralmente – ha sottolineato Vegliò – significa “centro del mondo” e che da sempre è crocevia di popoli e culture. Nel suo intervento, il presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti ha dato voce all’angoscia delle tante vittime dei viaggi in mare attraverso la testimonianza scritta da Jamila, una bambina siriana di 10 anni. “La spiaggia è affollata — scrive la piccola in una lettera letta dal porporato — non vedo che schiene e gambe di adulti. I grandi sono accalcati e impauriti. Mamma mi stringe forte a sé assieme a mia sorella. Ho paura. Saliamo a bordo e la barca parte”.

Come tanti altri suoi connazionali, anche Jamila è salita su una di quelle “barche che invece di essere una via di speranza sono una via di morte”, ha detto il porporato, citando le parole di Papa Francesco nella sua visita dell’8 luglio a Lampedusa. In questi ultimi anni, ha proseguito, i viaggi dal Mediterraneo verso l’Europa sono diventati “una drammatica rotta”, in una mappa “segnata negli abissi da croci invisibili di innocenti”.

Ovvero tutte quelle persone che avevano il “diritto di trovare un futuro migliore”, ma che invece sono stati “condannati dall’indifferenza umana a perdere la propria vita in mare”. E proprio per questa indifferenza di tanti fratelli e sorelle, Vegliò, sull’esempio di Francesco, ha chiesto perdono: per chi si è “chiuso nel proprio benessere”, per coloro che con le loro “decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi”, per tutto ciò che rende le persone “insensibili alle grida degli altri”. 

Sono drammi, questi, che “potevano essere evitati”, ha affermato il cardinale, “tragedie annunciate da ormai troppo tempo e difficili da affrontare nella loro complessità”. Non si può rubare a questa gente la speranza di “una vita decorosa e di un futuro di libertà per sé e per la propria famiglia”, ha aggiunto.

Ma anzi, questa speranza va alimentata attraverso “soluzioni che impegnino l’Europa a difendere i diritti umani e la dignità dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo”. Bisogna andare incontro, cioè, a tutti quei “somali, eritrei, sudanesi, afghani, siriani di tutte le età”, i quali, “con un bagaglio enorme di sofferenza”, fuggono “da situazioni di guerre, di persecuzioni, di torture e di estrema povertà” e si imbarcano in mare. Anche a costo di porre la propria vita “alla mercé di scafisti senza scrupoli”, ha detto il cardinale.

Con la commozione negli occhi e nel cuore, il Capo Dicastero ha quindi ricordato le dolorose immagini di “barconi in avaria sovraffollati di uomini e donne, con tanti bambini”. Stanchi, affaticati, dopo aver camminato per settimane, attraversato il deserto, queste persone “affrontano tanti pericoli di morte, per raggiungere imbarcazioni di fortuna sulle coste africane”.

Un pensiero speciale va soprattutto ai bambini, di pochi anni o a volte anche di pochi mesi. “Piccole testoline – ha detto Vegliò – una accanto all’altra, impaurite, stremate, che sempre più numerose fuggono dalla guerra in Siria. Arrivano disidratati, stanchi e con i vestiti bagnati”. </p>

Per loro è una vera “odissea” che non finirà “una volta portati in salvo nei nostri porti dalla Marina militare”. Perché anche per loro “il futuro rimane incerto”. Anzi, capita spesso che molti di questi bambini o adolescenti, non accompagnati, durante la tappa in Italia – ha concluso amaramente il cardinale – “rischiano di cadere vittime nelle reti della criminalità organizzata mentre si fanno strada verso i Paesi del nord per ricongiungersi con parenti o conoscenti”. 

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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