Il 19 dicembre di dieci anni fa, nell’ospedale di San Marino, moriva Renata Tebaldi, una delle cantanti liriche più celebri di tutti i tempi. Era nata a Langhirano in provincia di Parma, il 22 gennaio 1922. La sua carriera, iniziata nel 1944, fu tra le più splendide, con trionfi leggendari. Toscanini, che la conobbe nel 1946, in occasione del concerto per la riapertura della Scala ricostruita dopo il bombardamenti della guerra, la definì “voce d’angelo”. Quella frase del grande direttore d’orchestra è rimasta nella storia, quale definizione precisa e scultorea di una voce unica.
Renata Tebaldi, però, di angelico non aveva solo la voce. Fu un’artista somma, ma anche donna buona, generosa, e credente fedele. La sua vita privata fu segnata da molte sofferenze. Da bambina venne colpita dalla poliomielite. Non conobbe mai il papà, che aveva abbandonato la famiglia subito dopo la sua nascita. Sentiva molto la mancanza del padre, chiedeva sempre di lui e, per non farla soffrire, la mamma le disse che era morto. Ma quando, ormai da grande, seppe la verità, fece di tutto per trovarlo. Suo padre però non rispose alle aspettative affettuose della figlia, e anche questo contribuì ad aumentare il suo dolore. Non smise mai di pensare a lui. Un giorno seppe che era ammalato e ricoverato in un ospedale. Corse da lui, gli fu vicina fino alla morte e in seguito si prese cura anche della compagna di suo padre, che era in difficoltà.
“Nessuno sa quanta beneficenza ha fatto Renata Tebaldi nel corso della sua vita”, racconta Ernestina Viganò, storica governante della Tebaldi, conosciuta da tutti come ‘Tina’. “Era sempre pronta ad aiutare tutti. E i suoi aiuti erano generosi, cospicui, offerti con affetto e cordialità”.
Tina, vissuta accanto alla Tebaldi per mezzo secolo, mi ha raccontato diversi particolari interessanti riguardo la fede e la spiritualità di Renata Tebaldi. “La signorina Renata era molto religiosa – dice – aveva una tenera devozione per la Madonna. Non so per quali ragioni, ma era molto legata al Santuario della Madonna di Pompei e molte volte l’ho accompagnata in pellegrinaggio in quel santuario. Quando cantava a Napoli, a Roma o in qualche altro teatro del Sud, si andava con frequenza a Pompei”.
Spesso gli artisti hanno un sentimento religioso che sconfina con la superstizione…
No, no. La religiosità della “signorina” era semplice, ma al contempo profonda e concreta. Era orgogliosa della sua fede cristiana, non la nascondeva a nessuno. Ha cantato nei teatri di tutto il mondo e ovunque, quando le era possibile, andava a Messa nella chiese vicine all’albergo dove alloggiava. La fede l’ha sostenuta a guidata anche nei momenti più dolorosi della sua vita. Nel mondo artistico, è facile incontrare invidie, gelosie, e persone che ti fanno del male. Alla “signorina” è accaduto parecchie volte, ma non l’ho mai sentita lamentarsi, recriminare, esprimere sentimenti di odio o desideri di vendetta.
È famosa, però, la rivalità con Maria Callas. Una rivalità di cui ancora si parla
Era una rivalità nata a cresciuta sui giornali e tra gli ammiratori delle due artiste. Renata Tebaldi aveva una grande ammirazione per la Callas e la Callas per la Tebaldi. Certo, quella rivalità, esasperata da chiacchiere e insinuazioni, a volte pesanti, fece soffrire Renata, che era timida e molto sensibile. Però non l’ho mai sentita lamentarsi o parlare male della sua collega.
Ci fu poi una storica riconciliazione…
Avvenne nel settembre del 1968. E quel fatto dimostra proprio come tra le due artiste c’era in realtà una profonda stima. La riconciliazione si verificò nel momento più brutto della vita della Callas. Era a New York e seppe che Onassis avrebbe sposato la Kennedy. Lo apprese dai giornali. Per quell’uomo, lei aveva sacrificato tutto, anche la carriera. La sua disperazione era immensa e in quel momento pensò che solo il mondo della lirica poteva lenire il suo dolore. Quella sera al Metropolitan c’era la “prima” di Adriana Lecouvreur con protagonista la Tebaldi. La Callas volle assistere allo spettacolo e lo fece in incognito, per non turbare la festa di Renata. Poi volle salutare Renata. L’incontro avvenne nel camerino. Io ero lì. Le due artiste si abbracciarono e tutte e due piangevano commosse. Da allora si sono sentite spesso al telefono. Il 17 settembre 1977, eravamo a Milano. Renata era uscita per una passeggiata. Al rientro le dissi: “Ho sentito alla radio che la Callas è morta”. Renata scoppiò in un pianto dirotto. Era come se avesse perso una sorella. Ricordava spesso Maria. Una volta mi disse: “Ogni giorno la ricordo nelle mie preghiere”.
Renata Tebaldi, quindi, pregava tutti i giorni
Mattino e sera. Recitava le preghiere che aveva imparato da bambina. Questo modo di vivere la sua fede non era conosciuto dalla gente, dagli ammiratori, perché lei era riservata, in un certo senso gelosa della propria vita privata. Ma chi la avvicinava se ne accorgeva subito. Soprattutto se ne accorgevano gli uomini di Chiesa. Sentivano, nel suo parlare, nel suo modo di giudicare la vita, che era guidata da solida fede religiosa.
La signorina conobbe tre Papi. Fu molto amica di mons. Azelio Giuseppe Manzetti, cappellano del sovrano militare Ordine di Malta. Il cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York, aveva per lei una straordinaria ammirazione, sia come cantante, che come donna di fede. Quando la signorina cantava la Metropolitan, ci fermavamo a New York dei mesi e il cardinale la invitava a cena tutte le settimane. La accoglieva con arie pucciniane da lei interpretate.
Nel 1957, mentre eravamo a New York, la mamma della signorina ebbe un ictus e rimase in coma per quindici giorni. Il cardinale veniva in albergo a visitarla mattino e sera. Si fermava per una breve preghiera e una benedizione. Volle poi essere lui a celebrare i funerali nella cattedrale di Saint Patrick. E si interessò personalmente anche per il rimpatrio della salma in Italia. Quella pratica burocratica richiedeva molto tempo, ma grazie all’interessamento del cardinale, la salma poté partire in pochi giorni. Tra i 126 premi che la signorina aveva ricevuto in tutto il mondo, il più caro era quello che le era stato conferito dal cardinale Spellman, che l’aveva nominata “Gran Dama del Santo Sepolcro”.
Un altro porporato americano grande ammiratore della Tebaldi fu il cardinale John O’ Connor. Anche lui era molto appassionato di lirica e di Puccini. Nel 1995, in occasione dei festeggiamenti per i suoi cinquant’anni di sacerdozio, invitò alla celebrazione religiosa anche Renata Tebaldi. All’inizio della cerimonia, il cardinale fece il suo ingresso in processione. Giunto davanti alla Tebaldi, si fermò, e rivolto alla gente disse: “Oggi abbiamo l’onore di avere qui con noi anche la signora Renata Tebaldi, la più grande interprete di Puccini che ci sia mai stato e che mai ci sarà”. Il pubblico, in piedi, tributò alla signorina un grande applauso e lei piangeva di commozione.
La fede religiosa è stata una autentica medicina per la Tebaldi, soprattutto negli ultimi anni di vita, quando i dolori erano diventati molto forti. Aveva problemi a un ginocchio. I medici le avevano consigliato l’operazione, per inserire una protesi, ma nel frattempo a lei era venuto il diabete, e quindi un intervento diventava pericoloso. E con il passare degli anni il ginocchio era inservibile e, per camminare doveva ricorrere al bastone. Ma non si lamentava.
Aveva paura di morire?
Assolutamente no. Quando i medici scoprirono che aveva un tumore alla milza, rimasi sconvolta. Mi dissero che sarebbe vissuta ancora tre mesi al massimo, ma non ebbi il coraggio di dirlo alla signorina. Lei però lo aveva intuito. Un giorno venne a trovarla una sua amica. E conversando le disse: “Io so che sto morendo. Non me lo dicono, ma io lo so
”. E aggiunse sorridendo: “Ma non ho paura, sono molto preparata a questo viaggio”.
Come morì?
Serenamente, com’era vissuta. Le sue ultime parole furono un curioso complimento per me. La signorina era avida di gelato. Io avevo la macchina e glielo preparavo personalmente. Anche in ospedale. Quel giorno, l’ultimo della sua vita, era sfinita. Non aveva mangiato niente. Nel pomeriggio mi chiese del gelato e glielo preparai subito. Lo mangiò adagio, e faticosamente. Vedendola tanto sofferente, cercavo di distrarla con battute scherzose e storielle divertenti. Ma non riuscivo a interessarla come accadeva sempre. Ad un certo momento mi disse: “Ma va là, stupidona, che non sei altro, cosa mi racconti mai!”. Mi sorrise e si girò su un fianco, si assopì e non parlò più. Le misuravo la pressione ogni mezz’ora, e vedevo che calava in continuazione. Verso mezzanotte, preoccupata chiamai il medico che restò lì con me. Alle tre di notte, il cuore di Renata Tebaldi smise di battere.