Quattro giorni al Natale, nell’attesa di rimanere stupiti di fronte a Maria e Giuseppe, di fronte alla stella, alla capanna, alle pecorelle e al passaparola degli umili spettatori di quell’evento, così ordinario ma così lontano da ogni banale apparenza.
Primi destinatari dell’annuncio di quella notte santa saranno i pastori, gli stanchi, gli oppressi, quelli che si legano alla storia attraverso pochi affetti semplici e che sopravvivono di stenti, quelli di cui la storia sembrerebbe poter fare a meno e il cui ricordo non rimarrà scritto da nessuna parte. La precarietà della loro condizione è proprio quella in cui sceglierà di venire al mondo il Re di tutta la storia, nato quasi sperso nel nulla: il bambino che, disteso in una mangiatoia, annuncerà più tardi “venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò!”
A questa semplicità del Natale, non ha resistito la penna di tanti poeti di ieri e di oggi, che ne hanno lasciato impressioni conservate nella memoria. Giuseppe Ungaretti guarda a questo giorno speciale con un atteggiamento di abbandono di sé stesso, nell’unico momento in cui intorno non si sente altro che “il caldo buono”. L’umiltà e la grandezza del mistero di Dio sceso in terra si intreccia con l’umanità del poeta, che offre di sé un’immagine reificata, “come di una cosa posata e dimenticata in un angolo” lontano dagli occhi di tutti: è il 26 dicembre del 1916, l’Italia è entrata in guerra da più di un anno e Ungaretti, a Napoli in temporanea licenza dal fronte, ha freschi nel corpo e nella mente gli orrori della guerra. Il desiderio del poeta è quello di ‘non sentire’; l’accostamento che rimane è quello drammatico tra la sua solitudine e quella di Cristo che giace nella mangiatoia, dove non vengono meno gli affetti necessari alla sopravvivenza, il nido pervaso dal caldo fumo del focolare.
NATALE
di Giuseppe Ungaretti
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
I sintomi della stanchezza dei versi precedenti vengono ora sciolti da una “forza indomita d’amore”: la fresca ebbrezza, che accompagna la penna del poeta che scrive, culmina nel raggiungimento di una “serenità quasi perfetta”, capace di soggiogare qualsiasi ansia dell’anima. Umberto Saba ne rimane talmente stupito da chiedere risposta alla notte ‘in persona’, dando via ad un delicato colloquio misteriosamente possibile: è la notte fredda e stellata di Natale, e dietro la gioia segreta vi è forse il sogno che culla il bambino Gesù.
NELLA NOTTE DI NATALE
di Umberto Saba
Io scrivo nella mia dolce stanzetta,
d’una candela al tenue chiarore,
ed una forza indomita d’amore
muove la stanca mano che si affretta.
Come debole e dolce il suon dell’ore!
Forse il bene invocato oggi m’aspetta.
Una serenità quasi perfetta
calma i battiti ardenti del mio cuore.
Notte fredda e stellata di Natale,
sai tu dirmi la fonte onde zampilla
Improvvisa la mia speranza buona?
È forse il sogno di Gesù che brilla
nell’anima dolente ed immortale
del giovane che ama, che perdona?
La straordinarietà del giorno della venuta del Salvatore non solo è spesso circondata da un respiro familiare e descritta in tono colloquiale, ma non è neppure circoscrivibile ad un evento racchiuso in un arco di tempo con un inizio e una fine, tutt’altro: l’episodio dell’Incarnazione è talmente dirompente che si trascina con sé tutti i gesti della storia umana, a partire da quelli più semplici, e in essi è capace di moltiplicarsi all’infinito.
È così che la beata Madre Teresa di Calcutta poté sperimentare il Natale nel succedersi di ogni nuovo giorno, cadenzati da semplici aperture del cuore che si slanciano verso ogni fratello: “è Natale ogni volta che’… è l’anafora che scandisce costantemente questi versi e che sempre riconduce il lettore dentro quella notte di più di duemila anni fa.
È NATALE !
di Madre Teresa di Calcutta
È Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
È Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
È Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
È Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.
Lo spirito del Natale impregnato di tenerezza si tinge di toni giocosi nei versi di Gianni Rodari, il quale afferrato dall’immaginazione di un bambino trasfigura il mondo in una favola, il “Pianeta degli alberi di Natale”.
PLATANI DI NATALE
di Gianni Rodari
Dove sono i bambini
che non hanno l’albero di Natale
con la neve d’argento, i lumini e i frutti di cioccolata?
Presto, adunata, si va sul Pianeta degli alberi di Natale,
io so dove sta.
Qui gli alberi della foresta,
illuminati a festa,
sono carichi di doni.
Crescono sulle siepi i panettoni,
i platani del viale
sono platani di Natale.
Dal sogno fiabesco del bambino passiamo alle parole della preghiera di uno dei santi più cari alla nostra generazione, Giovanni Paolo II: nei suoi versi l’invocazione accorata al Bambino Gesù si fa poesia umile e dialogo schietto e naturale con Dio. Richiesta concreta e pressante di pace, quasi a scuotere il cielo, forte della fede in colui che è “l’unico e vero Salvatore”, “Dio della pace dono di pace”.
BAMBINO GESÙ, ASCIUGA OGNI LACRIMA
di San Giovanni Paolo II
Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli!
Accarezza il malato e l’anziano!
Spingi gli uomini
a deporre le armi
e a stringersi in un universale abbraccio di pace!
Invita i popoli,
misericordioso Gesù,
ad abbattere i muri
creati dalla miseria</p>
e dalla disoccupazione,
dall’ignoranza
e dall’indifferenza,
dalla discriminazione e dall’intolleranza.
Sei tu,
Divino Bambino di Betlemme,
che ci salvi,
liberandoci dal peccato.
Sei tu il vero e unico Salvatore,
che l’umanità spesso cerca a tentoni.
Dio della pace,
dono di pace
per l’intera umanità, vieni a vivere
nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia.
Sii tu la nostra pace
e la nostra gioia!
Infine, dall’invocazione approdiamo alla contemplazione, culmine e chiusura di questa riflessione sul Natale, espressa dal desiderio e dalla ricerca, dagli interrogativi e dalle risposte di tanti poeti.
L’ultima poesia vuole risuonare come un augurio che scaturisce dall’annuncio di un avvenimento toccato con mano. David Maria Turoldo spalanca con la parola poetica la porta del mistero. Ciò che si manifesta dinnanzi è l’ineffabile che può solo lasciar spazio allo stupore, l’infinito che squarcia il velo del tempo.
ERI TU
di David Maria Turoldo
…eri tu il mistero,
la radiosa notte che racchiudeva il giorno,
che avrebbe rivestito di carne la luce
e dato un nome al silenzi
o.