Il Messaggio di Papa Francesco per la 48° Giornata Mondiale della Pace, sul tema Non più schiavi ma fratelli, che si celebrerà l’1 gennaio 2015, “riguarda non solo il fondamento della pace ma la sua realizzazione concreta nei rapporti interpersonali”. Lo ha detto il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intervenendo oggi in Sala Stampa Vaticana.
Secondo il porporato, il Messaggio “vuol essere un invito a trasformare le relazioni sociali da un rapporto di dipendenza-schiavitù, e di negazione dell’umanità dell’altro, a un rapporto di fraternità vissuta tra fratelli e sorelle perché figli dello stesso Padre”.
Sottolineando il risvolto di “lesa umanità” e di “rottura della fraternità e del rifiuto della comunione”, con cui il Papa definisce la schiavitù, il cardinale Turkson ha aggiunto che la famiglia, “in quanto prima scuola della vita e luogo primario della fraternità”, non può diventare un “luogo in cui la vita è tradita, disprezzata, negata, manipolata e venduta come se si potesse disporre di questo dono secondo i propri interessi”.
Contro la piaga della schiavitù, occorre un “impegno comune” che coinvolga “sia il livello locale – famiglie, scuole, parrocchie… – sia quello globale di istituzioni statali e della società civile”.
In conclusione del suo intervento, Turkson ha ricordato l’esempio di Santa Giuseppina Bakhita, che, da schiava, divenne “libera figlia di Dio”, affinché sproni l’umanità a “lavorare insieme e non stancarci mai finché ci sarà una persona ridotta in schiavitù in questo mondo”.
Come ha osservato il segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, monsignor Mario Toso, la Chiesa è impegnata contro la schiavitù, fin dalle sue origini, “tuttavia, questo tristissimo fenomeno non è mai stato definitivamente debellato”.
Nonostante i numerosi accordi firmati dalla comunità internazionale, sono ancora milioni le persone che “nei modi più diversi vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili alla schiavitù”, ha sottolineato il presule, richiamandosi al Messaggio del Papa.
Il fenomeno ha mille sfaccettature e declinazioni che, in estrema sintesi, possono categorizzarsi in:
a) Sfruttamento di “lavoratori e lavoratrici, anche minori”, i cui diritti non sono conformi “alle norme e agli standard minimi internazionali”.
b) Condizioni disumane in cui sono costretti “molti migranti” durante i loro “drammatici viaggi, intrapresi nella speranza di un futuro migliore”, in cui spesso, “soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni, abusati fisicamente e sessualmente”.
c) Sfruttamento della prostituzione, affine al fenomeno delle “bambine date forzatamente in sposa”.
d) Coinvolgimento di “minori e adulti” in pratiche come l’“accattonaggio”, l’“espianto di organi”, l’“arruolamento nei vari eserciti”, lo “smercio di stupefacenti”, nonché varie “forme mascherate di adozione internazionale”.
e) Rapimento da parte di “gruppi terroristici in vista del riscatto” o, nel caso delle donne, della riduzione a “schiave sessuali”.
Nonostante gli sforzi della Santa Sede, di molti governi e di buona parte della Comunità internazionale, “tutti hanno l’imperativo morale di impegnarsi a fondo, affinché la nostra generazione sia finalmente l’ultima a dover combattere il turpe commercio di vite umane”, ha quindi concluso monsignor Toso.
Una digressione di carattere filosofico è stata effettuata da Vittorio V. Alberti, Officiale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Se da un lato la libertà esiste “in virtù della possibilità di fare il male, è la stessa che occorre costruire per sradicare il suo opposto, cioè la schiavitù”.
Se vuole essere costruita, dunque, la libertà deve “necessariamente fare i conti con il male”. È dovere morale dell’umanità, poi, “liberare sia lo schiavo che lo schiavista”, ha aggiunto Alberti.
Ha chiuso la conferenza stampa, suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana, membro della Rete Internazionale della Vita Consacrata contro la Tratta di Persone e responsabile del progetto Talitha Kum.
Quello delle persone ridotte in schiavitù è un “grido” che “rimane soffocato, muto” e le religiose del gruppo di suor Gabriella hanno scelto di “accogliere queste voci scomode, perché ci dicono che questo sistema socio economico è un enorme fracasso umano. La sofferenza accolta delle vittime delegittima alla radice il potere costruito sul lucro”.
Talitha Kum, ha spiegato la religiosa, nasce ufficialmente nel 2009 come una rete di reti: ne conta attualmente 23 ed è presente in 81 paesi in tutti i continenti, con più di mille religiose di diverse congregazioni impegnate.
“Le attività svolte – ha proseguito la missionaria comboniana – sono diverse secondo i contesti in cui operiamo: accompagnamento ai sopravviventi della tratta; progetti preventivi di formazione e sensibilizzazione; impegno per politiche sociali più efficaci contro la tratta”.
In conclusione suor Gabriella Bottani ha riportato la testimonianza di una giovane donna sopravvissuta alla tratta con finalità di adozione illegale e vittima di abuso da parte della famiglia adottiva che, profondamente commossa di fronte all’impegno contro la tratta di alcune religiose in Brasile ha esclamato: “in voi la Chiesa mi sta venendo incontro, questo sta curando le mie ferite profonde, e mi ha aperto un nuovo cammino di libertà”.