Disegno di Carmelo Raco

Santo Stefano: il martirio e la grazia di vedere i cieli aperti

Il protomartire cristiano aiuta ad evitare ogni forma di condanna e ad accogliere e reintegrare chi si è allontanato da Dio

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Il giorno successivo al Natale, la Chiesa celebra la memoria di Santo Stefano, il protomartire della primitiva comunità cristiana di Gerusalemme. Alla nascita sulla terra di Gesù segue la nascita al cielo di Stefano. I pastori vedono un bambino avvolto in fasce e deposto in una umile mangiatoia (Lc 2,16) e Stefano afferma davanti ai suoi accusatori: “Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio” (At 7, 56).
La vicenda di Stefano è il compimento del mistero del Natale, perché testimonia davanti al popolo di Israele e alla Chiesa nascente tutta la storia della salvezza, a partire da Abramo, passando per Isacco, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne, Davide, Salomone sino ad arrivare a Gesù Cristo, il vero tempio di Dio. Stefano ci ricorda l’importanza della memoria per comprendere pienamente l’agire di Dio nelle vicende dell’umanità. I libri del Vecchio Testamento riportano la storia del popolo eletto, ma anche la vicenda di ogni uomo che vuole progredire nell’incontro verso Dio, il quale si avvicina a noi per piccoli passi e si rivela lentamente, per lasciare ad ognuno lo spazio e il tempo necessario per comprenderlo ed accoglierlo.
Quanta fretta c’è, a volte, nel desiderare la conversione dell’altro senza attendere i tempi di Dio! Noi pensiamo che gli altri debbano maturare e crescere velocemente, dimenticandoci come Dio ha agito lentamente nella nostra vita, rispettando la nostra libertà e soprattutto attendendo con pazienza il nostro avvicinamento a Lui. Stefano sembra chiedere ancora oggi a tutti noi di non essere giustizialisti verso il prossimo, perché Dio fa una storia con tutti gli uomini intervenendo con rispetto e con sorprese, manifestandogli la sua tenerezza paterna.
Stefano ci invita a cambiare il nostro atteggiamento per seguire l’esempio della sua condotta, e allo stesso tempo, ci sospinge a contribuire al progetto di salvezza conservando un animo mite e un cuore umile, come quello di Cristo. Stefano ammonisce tutti a rinunziare alla fretta del giudizio sommario e accusatore, ad evitare ogni forma di condanna definitiva e a tenere sempre aperta la porta del cuore, per accogliere e reintegrare chi si è allontanato da Dio e da noi.
Prima di essere trascinato fuori dalla città ed essere lapidato, Stefano pronunzia parole cariche di speranza cristiana. Colui che annunzia la passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, compie una duplice azione: aprire la sua bocca per testimoniare la propria fede in Dio, e, allo stesso tempo, riceve la grazia di aprire gli occhi del cuore per contemplare i cieli aperti.
Colui che annunzia, riceve il dono di vedere il Figlio dell’Uomo alla destra di Dio. Il Natale è il tempo dell’Anno liturgico per riflettere sui meravigliosi frutti della predicazione. Dare testimonianza offre benefici prima di tutto a chi annunzia, oltre a rinnovare la vita di coloro che ascoltano. Stefano ha visto i cieli aperti, ha avuto la visione di Gesù seduto alla destra del Padre, ha pregato di non tenere conto dei gesti di violenza verso di lui, ha perdonato i suoi assassini, e solo successivamente è avvenuta la conversione del mandante della sua lapidazione, Saulo di Tarso, l’apostolo Paolo, l’apostolo delle genti.
Questo episodio apre il cuore alla speranza, ricordandoci che le nostre preghiere sono sempre ascoltate da Dio e verranno esaudite anche dopo la morte. Il Natale aiuta a non scoraggiarsi se quello che domandiamo a Dio ritarda a realizzarsi e insegna che non sempre la testimonianza trova accoglienza, comprensione ed accettazione. A volte è necessario pronunziare parole di consolazione, in altre circostanze sono richiesti gesti concreti di carità, in altre ancora la credibilità del messaggio raggiunge le persone solo dopo l’incomprensione, il rifiuto, il disprezzo e persino l’offerta della propria vita.
La conversione dell’Apostolo Paolo è il frutto più prezioso del martirio di Stefano: Paolo riceve l’illuminazione sulla via di Damasco, diventa cieco, viene battezzato e viene elevato alla missione di grande evangelizzatore delle genti. Stefano ci ricorda la potenza della speranza cristiana, un tesoro che traspare dalle parole delle nostre preghiere, dalle opere di misericordia, ma che a volte appare evidente quando il vaso di creta del nostro corpo viene crepato sotto i colpi dei nostri nemici.
Stefano è stato uno dei primi setti diaconi della Chiesa di Gerusalemme. La diaconia è stata da sempre una vocazione nella Chiesa per compiere con fedeltà e generosità la carità. Stefano dimostra che il servizio alle mense, la distribuzione dei beni, la visita ai malati ed i carcerati e l’accoglienza dei migranti, sono opere di misericordia che rendono credibili il ministero della carità. L’offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa è la forma più alta di servizio, perché testimonia il cuore del messaggio cristiano, che consiste nel donarsi all’altro rinunziando a tutto, persino alla propria vita.
Tutte le vocazioni della vita cristiana sono una chiamata al martirio, che richiama l’urgenza di offrire una testimonianza. La fedeltà dei genitori che educano i loro figli malgrado le disobbedienze e le ribellioni, la pazienza di un fratello che sopporta amorevolmente gli egoismi e le offese di un altro fratello, la comprensione del collega che scusa l’alterigia dell’altro, l’umiliazione di un lavoratore cristiano che si vede accantonato per la propria fede, sono forme di martirio spirituale di cui molti cristiani soffrono per amore a Cristo e alla Chiesa.
La nascita al cielo di Stefano è una luce che illumina il tempo di Natale, perché ci ricorda il destino carico di speranza di ogni uomo. Dio è venuto nel mondo nella forma di un bambino, affinché ogni uomo possa raggiungere la statura adulta della fede. Il Natale conduce pertanto ad abbassarsi per adorare il Bambino Gesù nella mangiatoia ma incoraggia anche ad alzare gli occhi verso il cielo per ricordare qual è la nostra origine, la nostra meta finale e soprattutto per dare senso al pellegrinaggio della nostra vita terrena.
La celebrazione del protodiacono Stefano diventa allora quell’occasione favorevole per entrare nel vero clima natalizio, fatto di condivisione, testimonianza, sacrificio e fedeltà alla Parola di Dio, anche se questo potrà recare dispiacere, sofferenza ed emarginazione. Vedere i cieli aperti e il Figlio di Dio alla destra della Padre è la caparra di una promessa che riempirà di vera pace la vita dei testimoni fedeli a Cristo.

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Osvaldo Rinaldi

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