Racconta un cronista che al termine della lettura del decreto, fatta in san Pietro da Pio IX che definiva il dogma dell’Immacolata, un raggio di sole entrò dal finestrone che è sopra l’altare di Santa Maria della Colonna e investì di luce il papa, quasi segno della compiacenza divina. Era il primo dogma che la Chiesa cattolica proclamava dopo la divisione, voluta dalla Chiesa Ortodossa, a Costantinopoli, il 16 luglio 1054. Una semplice coincidenza il fatto che quest’atto sia avvenuto esattamente otto secoli dopo (1054-1854) e riguardasse la Vergine Maria?
Alle ore 8, dalla Cappella Sistina la processione si snodò verso la basilica di san Pietro con a capo il papa che, raggiunto l’altare, diede inizio alla santa Messa. Dopo la lettura del vangelo, il cardinale decano, Vincenzo Macchi, gli si accostò per leggere la richiesta di definizione del dogma mariano. Egli l’accolse favorevolmente e subito invocò lo Spirito Santo. Dopodiché lesse la parte conclusiva della bolla Ineffabilis Deus, il decreto dove si trovano i tre verbi, che vengono usati per ogni definizione dogmatica: «dichiariamo, pronunziamo e definiamo».
La dottrina di questo dogma mariano «sostiene che la beatissima Vergine Maria fin dal primo istante della sua concezione, per singolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in vista dei meriti di Gesù Cristo, salvatore del genere umano, è stata preservata immune da ogni macchia di peccato originale, è stata rivelata da Dio e perciò si deve credere fermamente e inviolabilmente da tutti i fedeli». Nella difesa di tale privilegio mariano, si distinse la Scuola Francescana, rappresentata dallo scozzese Giovanni Duns Scoto (†1308), beatificato nel 1993.
Terminata la celebrazione, ad attendere il corteo papale all’altezza della Cappella della Pietà vi erano i ministri generali dei quattro ordini francescani. Per ringraziare il papa, il minore conventuale Giacinto Gualerni da Chieravalle gli offrì un mazzo di rose d’oro; il minore osservante Venanzio Metildi da Celano gli offrì un giglio d’argento; il minore cappuccino Lorenzo da Brisighella e il terziario francescano Giovanni Catalano gli offrirono due “stampe”, raffiguranti l’Immacolata tra santi francescani: fra questi il doctor subtilis Giovanni Scoto.
La storia del dogma dell’Immacolata, presenza di Maria nel cammino del popolo di Dio, è lunga oltre mille anni (VIII-XIX sec.). Ricordiamo qualche frammento di quella fortunata Scuola, che ebbe come capostipite Roberto Grossatesta (†1253) e come luogo lo studio francescano di Oxford, fondato nel 1224. Non francescano, ma “appartenente” ai francescani, il Grossatesta sosteneva tre cose: Cristo si sarebbe incarnato anche se Adamo non avesse peccato; il fine della creazione è l’incarnazione del Verbo; il Verbo incarnato è principio causale dell’intero universo.
Guglielmo di Ware (†1300), Doctor fundatus e maestro di Scoto, è considerato, dopo il Grossatesta, l’iniziatore del movimento immacolatista all’Università di Oxford. Egli fece proprio il ragionamento dello Pseudo-Agostino (†875), di Anselmo d’Aosta (†1109) e di Eadmero da Canterbury (†1300), trasformandolo nella celebre formula della teologia scotista: «potuit, decuit, ergo fecit»: Dio poteva preservare Maria dalla colpa originale, era conveniente che lo facesse, quindi lo fece. Tale formula diventerà la “regola” della Scuola Francescana sull’Immacolata.
Duns Scoto raccolse e sistematizzò ogni elemento emerso fino a quel momento, ed ebbe il coraggio di proporre alle dispute accademiche la dottrina che aveva elaborato: l’incarnazione non poteva dipendere da nessun’altra volontà se non da quella di Dio Padre. La sua dottrina mariana poggiava, sicura, su due pilatri: la predestinazione dell’incarnazione di Cristo e l’Immacolata Concezione. È da ricordare che, quanto affermava il Sottile, rientrava in una visione ottimistica della creazione, al cui centro vi è il Cristo, per il quale tutto è stato creato.
È in questa cornice “risolutiva”, che porterà la Chiesa cattolica alla proclamazione del dogma dell’Immacolata, che si devono porre sia la “piccola” ma significativa persona di Tommaso da Olera come pure il santuario di Volders dedicato all’Immacolata. Era convinto che sono due le strade maestre della Chiesa di Gesù: la “via della verità” e la “via della bellezza”; poi, che Maria è la chiave per comprendere in modo corretto il mistero di Cristo e della sua Chiesa, essendo stata, sin dagli inizi della Chiesa nascente, la vigile custode dell’autentica fede.
Ippolito Guarinoni, medico di Hall, era legato da una calda amicizia a quel mistico cappuccino, che risiedeva nel convento di Innsbruck. Era diventato il suo braccio destro nel salvare le anime, mentre lui, Guarinoni, salvava anche i corpi. Lo definiva «il silenzioso amante di Dio», poiché questo speciale cercatore di pane e vino per i frati e i poverelli che bussavano alla porta del suo convento, parlava poco e, quando parlava, le sue parole si trasformavano in fatti, profezie e segreti (anche se, una volta, l’amico Ippolito pensava che Tommaso scherzasse…).
Un giorno, Guarinoni confidò al suo prezioso amico che aveva in progetto di costruire, a Ponte di Volders nei pressi di Hall, una cappella in onore dell’Immacolata e a difesa dell’”invasione protestantica”. Aveva già deciso il posto: sulla cima del monte e sopra un terreno di sua proprietà. L’ardente amante di Dio lo ascoltò con attenzione, ma alla fine volle dire la sua: amico Ippolito, tu che sei anche architetto, non limitarti a costruire una cappelletta all’Immacolata, ma progetta un santuario, e costruiscilo non in cima a un monte ma vicino al fiume Inn.
È quella chiesa che ancor oggi si può ammirare in località Ponte di Volders, subito dopo Hall (nel Tirolo), e visitare, uscendo dall’autostrada che da Innsbruck va verso Vienna. Comunemente detta Karlskirche, la chiesa di san Carlo Borromeo, è dedicata tecnicamente all’Immacolata Concezione e alla Natività di Maria, due feste mariane intimamente interconnesse (a questo proposito, cf. Appendice II, a cura del sottoscritto, in Ippolito Guarinoni, Detti e fatti, profezie e segreti del frate cappuccino Tommaso da Bergamo, Morcelliana, Brescia 2007, pp. 193-219).
La prima pietra fu posta il 2 aprile 1620 dall’arciduca Leopoldo V, a nome del fratello imperatore Ferdinando II. Erano presenti alte personalità. Però, ben presto sorsero a causa di essa diverse perplessità: mormorii della popolazione, luogo infestato da ladri, difficoltà nel reperire il danaro necessario, tempi inquieti, guerra dei trent’anni da poco incominciata (1618)… Ma ogni volta, intervenivano le parole incoraggianti e rassicuratrici di Tommaso, “vero pazzo di amore”: «Superate ogni fatica e ogni contrario, perché le opere di Dio devono passare per ignem».
Le cose andavano per le lunghe. Sì, la chiesa avanzava ma con un ritmo snervante, tale da togliere ogni speranza di vederla ultimata. Molto spesso ci si fermava in attesa di altri denari e ogni volta il Guarinoni si spazientiva. Sembrava che Tommaso scherzasse quando lo rassicurò dicendogli: «Mo’, tenitela pur alla longa, perché non morirete voi, sino che non avete compiuto la chiesa». Invece quello strano modo di parlare si dimostrò una profezia: il Guarinoni terminò la costruzione della chiesa nel 1654 e in quell’anno, il 31 maggio, terminò anche la sua vita.
La chiesa di Volders, che nel 1766-67 si arricchì di affreschi e della pala d’altare del noto pittore barocco Martin Knoller; che venne restaurata negli anni 1977-88 e catalogata come monumento nazionale; il cui progetto è uscito dal grande cuore infiammato di Tommaso, suo costruttore morale (cf. il volume sopracitato, alle pp. 142-3/4 e 159-60/5), può vantare un duplice primato: essere la prima chiesa dedicata all’Immacolata nei territori
tedeschi; essere stata ultimata duecento anni esatti prima della definizione del dogma dell’Immacolata (1654-1854).
Termino queste brevi note con un “frammento” di Tommaso, l’innamorato e il difensore della Vergine Immacolata: «Iddio la preservò con la potente sua mano. […] E però bisogna dire che la sollevò e non la lassiò imbrattarsi nelle immondizie del peccato originale: imperoché il diavolo se averia potuto gloriare appresso Dio dicendo che sua Madre fusse stata sua schiava e serva, si bene per un sol momento […]. E però canta Santa Chiesa: conceptio Sanctae Mariae Virginis gloriosae» (cf. Tommaso da Olera, Selva di contemplazione, Morcelliana, Brescia 2005, p. 127).
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