Cittadini europei scrivono a Juncker: "Fermi la direttiva che mina le libertà individuali"

Oltre 100 associazioni si rivolgono al neo-presidente della Commissione per chiedere di abrogare la Equal Treatment Directive, una proposta che impone il “pensiero dominante” sui temi sensibili

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Proteggere le persone con disabilità dalle discriminazioni. Un intento lodevole, che rischia però di declinare verso applicazioni pratiche opposte. È il timore che aleggia intorno alla Equal Treatment Directive, una proposta per una direttiva originariamente finalizzata ad “attuare il principio di pari trattamento tra le persone” che si sta discutendo presso il Parlamento europeo.

In occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, lo scorso 3 dicembre, oltre cento organizzazioni non governative che rappresentano milioni di cittadini in tutta Europa, hanno chiesto al presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, di riporre nel cassetto questa proposta.

La Equal Treatment Directive è un argomento di dibattito non nuovo nell’assise europea. Sono infatti sei anni che la direttiva viene sistematicamente proposta senza tuttavia ottenere l’unanimità richiesta per l’approvazione. Significativo che la sua relatrice in Parlamento sia la deputata dei Verdi Ulrike Lunacek, già nota per aver promosso una risoluzione (che porta il suo nome) oggetto di roventi polemiche nei mesi scorsi.

Polemiche dovute all’idea che dietro l’obiettivo della risoluzione di contrastare le discriminazioni si celi il reale interesse a promuovere i desiderata di alcune lobby, ad imporre agli Stati un’agenda politica ben precisa sui temi cosiddetti sensibili e a minare la libertà d’espressione dei singoli cittadini. Un po’ le stesse accuse che vengono oggi rivolte alla Equal Treatment Directive.

I firmatari della lettera aperta rilevano che la proposta, nei suoi contenuti, si discosta dal proposito di arginare culture discriminatorie verso i disabili per diventare invece uno strumento di imposizione ideologica. Nel 2008 – “cedendo alle pressioni politiche”, secondo la European Dignity Watch – la Commissione europea ha infarcito la bozza, originariamente dedicata ai soli disabili, di riferimenti alla religione, alle convinzioni personali, all’età e all’orientamento sessuale. Il risultato è stato quello di creare un documento dai principi astratti, “che potrebbe in seguito prestarsi a imprevedibili e forse indesiderate interpretazioni”.

Dello stesso avviso i promotori della piattaforma online CitizenGo, che hanno lanciato una petizione per chiedere alla Commissione europea di abrogare la proposta. Come si legge sulla pagina della campagna di raccolta firme, “questo tipo di normativa provoca già molti problemi nei Paesi in cui è in atto”. Vengono elencati a tal proposito due casi di citazioni in giudizio (in non precisati Paesi dell’Ue), quello di un fiorista “reo” di essersi rifiutato di realizzare composizioni floreali per un matrimonio omosessuale e quello dei responsabili di un campo estivo cristiano che non hanno voluto affittare la propria sede a un’associazione gay.

Sulla scorta di queste esperienze, CitizenGo è dell’opinione che se il Parlamento europeo approvasse la proposta, alcuni grotteschi scenari potrebbero trasformarsi in realtà: “un proprietario di una casa privata potrebbe essere citato in giudizio e condannato a pagare una multa per aver rifiutato di affittare a una setta satanica”. Si tratterebbe, in tal caso, non solo di una limitazione grave della libertà civile dei cittadini, ma anche di un controllo burocratico eccedente dell’attività economica dei privati.

Per questo, i firmatari della lettera dello scorso 3 dicembre ritengono che i potenziali effetti negativi di una tale direttiva sono molto più probabili degli eventuali risultati positivi. Esistono già, del resto, “strumenti non lesivi delle libertà individuali adatti ad affrontare le ingiustizie e le diseguaglianze nella società”. Quale giovamento se ne trarrebbe, dunque, dall’approvazione di questa controversa norma? Per altro, Juncker ha promesso entro i primi tre mesi del suo mandato come presidente della Commissione (iniziato il 1° novembre) di setacciare tutte le proposte legislative pendenti al fine di eliminare quelle che non fanno altro che rallentare la macchina burocratica europea. Un motivo in più, sostengono i firmatari della lettera, per stralciare la Equal Treatment Directive dall’agenda politica dell’Unione.

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Federico Cenci

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