L’avvento del Cristianesimo segnò anche una grande rivoluzione sociale: gli aderenti alla nuova fede, mossi dalla convinzione che ogni essere umano è persona, praticavano la parità tra liberi e schiavi, ed era dunque inevitabile che con la sua completa affermazione la schiavitù dovesse risultare abolita.
Non dimentichiamo che, nella Roma imperiale, capitale di uno Stato che comprendeva ormai l’intero bacino del Mediterraneo, convivevano genti provenienti da ogni parte di questo dominio; né dimentichiamo che la grande diffusione dei culti orientali, tra cui il Cristianesimo, che si sarebbe infine affermato per la sua irriducibilità con le superstizioni pagane, fu essenzialmente determinata non soltanto dalla migrazione dei liberi, ma anche dall’importazione degli schiavi.
L’epoca attuale presenta molte analogie con quei tempi: anche oggi si manifesta una forte pressione demografica dal Meridione verso il Settentrione, ed in particolare dalla sponda africana ed asiatica del Mediterraneo verso quella europea.
In questo contesto sociale, tende a riprodursi lo schiavismo: non già nelle forme proprie che questa istituzione ebbe nel mondo antico, con gli uomini ridotti a res, che potevano essere come tali ceduti come gli animali, bensì come una condizione per così dire accettata da chi la subisce come prezzo da pagare per realizzare la propria emigrazione.
Questo è il caso dei disperati che si affidano ai mercanti di carne umana prima nell’attraversamento del deserto, poi nella permanenza nei Paesi rivieraschi, in cui subiscono ogni sorta di maltrattamenti, ed infine nel passaggio dall’una all’altra sponda del mare.</p>
Si tratta di una condizione che si può protrarre nel tempo a discrezione dei “padroni” dei nuovi schiavi: che si differenziano dai loro pari grado dell’antichità in quanto ricevono dagli schiavi un pagamento, offerto nella speranza che sacrificando la libertà si riesce - purtroppo non sempre - a salvare la vita dalle guerre e dalle carestie.
La stessa situazione si sta vivendo sul confine tra il Messico e gli Stati Uniti, ed anche qui sono le organizzazioni della malavita organizzata a sfruttare i migranti.
Ci sono poi le prestazioni d’opera che avvengono completamente al di fuori non soltanto di ogni controllo sindacale ma addirittura al di fuori di ogni tutela giuridica.
Questa situazione non si vive soltanto in America Latina o in Arabia Saudita: basta recarsi nelle campagne meridionali in occasione dei raccolti stagionali – soprattutto dei pomodori – per rendersi conto che i prodotti destinati al nostro consumo passano per le mani degli immigrati illegali, cui viene sequestrato il passaporto nel momento stesso in cui sono arruolati e che vivono in condizioni igieniche inimmaginabili, ammucchiati nelle masserie senza nemmeno la possibilità di lavarsi.
Lo stesso fenomeno avviene con la mano d’opera cinese nelle manifatture tessili: con la differenza che qui i padroni dei nuovi schiavi sono loro connazionali.
Questo sistema ingrassa le mafie, dato che permette alle cosche di commerciare il prodotto agricolo ad un prezzo insostenibile per chi lavora con mano d’opera regolare.
Di qui al controllo dei mercati generali ortofrutticoli e dei ristoranti, posti alla fine della filiera alimentare, il passo è breve, e risulta anche facile.
Che cosa possono fare le religioni per mettere fine a questa situazione?
Il Vaticano assomiglia sempre più al Palazzo di Vetro nel quale si riconosce la levatura dell’autorevolezza morale del Papa anche da parte delle altre religioni.
È chiaro a tutti quanti hanno firmato il 2 dicembre 2014, in rappresentanza delle loro rispettive fedi, la Dichiarazione di Roma contro la “moderna schiavitù” che le possibilità di azione delle religioni in questo campo sono molto limitate: non è infatti realisticamente praticabile la via di una revisione delle norme migratorie viventi nei Paesi ricchi, né i conflitti e le carestie che affliggono tanti Paesi poveri, provocando la perdita della libertà personale, possano sparire come per incanto in seguito ad una generica condanna morale.
Ed allora quello celebrato nella Casina di Pio V, cioè la sede dell’Accademia Pontificia delle Scienze, è stato soltanto uno spettacolo a beneficio dei mezzi di comunicazione?
Si è trattato in sostanza di un impegno rivoluzionario, che non può produrre risultati immediati ma è destinato a determinarli nel lungo periodo: le religioni si schierano, prendendo spunto da una delle degenerazioni più estreme dell’attuale situazione, contro l’ingiustizia globale dei rapporti economici che contraddistinguono il mondo attuale.
I rappresentanti delle diverse fedi hanno ben presente che, assecondando l’esasperazione particolaristica ed identitaria, non soltanto i rispettivi seguaci finirebbero per combattersi gli uni contro gli altri, ma soprattutto si perderebbe la stessa influenza dei leader spirituali.
L’unica speranza, non soltanto per la salvezza dei corpi ma anche per la salvezza delle anime, consiste dunque in una rivoluzione mondiale culturale, politica, economica…
Questo sogno fu accarezzato in passato da certe forze politiche - sia di sinistra che liberali - di cui animò il cosiddetto “internazionalismo”.
Il gesto di oggi ripropone il ruolo fondamentale della religione in un mondo che fino a venti anni fa sembrava “uscire da Dio” .
Oggi l’uscita dalla crisi globale può essere vinta solo dalla cultura dell’incontro e di comunione tra i popoli a partire dallo sguardo rispettoso sull’uomo che ogni religione gli rivolge. Di questo progetto si è posta ieri a Roma la prima pietra.