«Fino a quando, Catilina, abuserai della nostra pazienza?»

La celeberrima invettiva di Cicerone, pronunciata nel Senato romano contro Catilina corrotto e corruttore, è quanto mai attuale, poiché di Catilina la nostra società abbonda.

Che la corruzione sia una delle piaghe che flagellano l’Italia dei tempi presenti lo ricordano gli innumerevoli episodi che quotidianamente finiscono in cronaca. Superfluo rifare l'elenco. Ce n’è per tutti i gusti: dalle mazzette milionarie del Mose a quelle dell’Expo, tanta di quella roba che qualcosa alla fine sfugge. Così nessuno s’è meravigliato quando, sul finire del 2013, è arrivata l'ennesima classifica firmata dall’organismo internazionale Transparency, che misura non la corruzione effettiva, ma la percezione di essa presso manager, investitori, imprenditori. Nella graduatoria della vergogna il Belpaese è al sessantanovesimo posto su 175 nazioni. Certo, agli occhi di manager e investitori è più pulito di Somalia, Afghanistan e Corea del Nord, ma viste le terrificanti condizioni di quei Paesi c’è poco da gongolare, specie se si ricorda chela Corte dei conti ha più volte rilanciato l'allarme, quantificando in almeno 60 miliardi il giro d'affari dell'industria dei corrotti.La Commissione Ue ha rincarato la dose, evidenziando che la legge anticorruzione adottata nel 2012 non ha prodotto i risultati sperati: il suo valore in Italia è di circa 60 miliardi all'anno, pari a circa il 4% del Pil. Per questo Bruxelles ha suggerito di perfezionare la legge, anche perché frammenta le disposizioni normative, «rischiando di dare adito ad ambiguità nella pratica e limitare ulteriormente la discrezionalità dell'azione penale». Sono state definite inoltre «insufficienti le nuove disposizioni sulla corruzione nel settore privato e sulla tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti», mentre la prescrizione che falcidia i procedimenti penali è stata ritenuta «un problema particolarmente serio nell’attività di contrasto del fenomeno».

Insomma, in una società che sempre più s’ispira solo alle ragioni del mercato, quando il mercato perde ogni regola e pudore il denaro diventa esclusivo punto di riferimento e radice di quella drammatica globalizzazione dell’indifferenza più volte denunciata da papa Francesco nelle sue esternazioni.

Di fronte alla complessità di tali scenari, non resta che rilanciare la sfida educativa, per un’educazione basata sull’integrità morale, sulla trasparenza e sulla responsabilità sociale, capace di premiare i comportamenti virtuosi. «L’atmosfera, lo stile di vita – ci ricorda il Santo Padre - piace tanto al demonio. Ed è questa la mondanità: vivere secondo i valori del mondo. Ma è un po’ quell’atteggiamento della strada più breve, più comoda per guadagnarsi la vita. E l’abitudine della tangente è un’abitudine mondana e fortemente peccatrice. È un’abitudine che non viene da Dio: Dio ci ha comandato di portare il pane a casa col nostro lavoro onesto».