Si chiama Ready, acronimo di “Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere” ed è un network di pubbliche amministrazioni nato nel 2006 per “promuovere politiche a favore delle persone LGBT” (acronimo utilizzato per riferirsi a persone Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). In otto anni sono circa 60 gli enti pubblici, comuni, province, regioni, istituzioni e organismi di parità che hanno aderito a Ready.
Domani, 30 giugno, il Comune di Brescia voterà per decidere se entrare a fare parte della rete Ready.
Esiste veramente, tuttavia, una discriminazione sessuale contro gli omosessuali?
Nel 2013 alcune indagini promosse da agenzie demoscopiche su campioni sia internazionali che nazionali hanno riscontrato che l’Italia è uno dei paesi più gay friendly del mondo (subito dopo la Gran Bretagna) con il 74% di persone che si dichiara non ostile agli omosessuali. In Italia, secondo le statistiche ufficiali c’è un caso di omofobia ogni due milioni di abitanti, per un totale di 80 casi presunti negli ultimi 3 anni.
Un’indagine dell’ISTAT, presentata alla Camera dei Deputati il 17 maggio 2012 in occasione della Giornata contro l’omofobia (http://www.istat.it/it/archivio/62168), riportava che il 60% degli Italiani ritiene accettabili le relazioni tra persone dello stesso sesso. Nello stesso rapporto si afferma che ammontano a zero i “casi accertati di discriminazione contro omosessuali registrati da un pubblico ufficiale o un giudice”.
L’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) afferma che non esistono al momento casi accertati di discriminazione per l’accesso all’alloggio, nel lavoro pubblico e privato e anche in ambito sanitario.
Eppure nel report del Dipartimento delle Pari Opportunità (Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, www.pariopportunita.gov.it/images/strategianazionale_definitiva_29aprile.pdf) si legge che il Contact Center dell’UNAR segnala 144 casi di discriminazione attinenti l’orientamento sessuale.
In questo contesto è stata sollevata l’obiezione secondo cui gli episodi di mobbing o di violenza denunciati riguardano quasi esclusivamente persone eterosessuali, oppure si tratta di atti di delinquenza comune che nulla hanno a che fare con l’orientamento sessuale delle vittime.
Un Rapporto 2007-2013 dell’Avvocatura per i diritti LGBT dichiara: “Al di là del dato sulla percezione della discriminazione, che per quanto sostanzialmente coerente è comunque basata su opinioni e punti di vista soggettivi, esistono pochissimi dati quantitativi sulla diffusione e il radicamento della discriminazione ai danni delle persone LGBT […]”.
Ci sono certamente degli episodi di aggressione verbale o fisica a danno degli omosessuali, ma se accadono tra giovani e adolescenti sono da rubricare tra gli atti di bullismo, sicuramente esecrabili, ma riconducibili all’aggressività del branco che di volta in volta prende di mira i soggetti più deboli indipendentemente dal loro orientamento sessuale: i preferiti in genere sono gli obesi, gli introversi, quelli che portano gli occhiali, i diversamente abili, i secchioni, gli stranieri, ecc.
Non bisogna negare né sottovalutare l’eventualità che alcuni omosessuali possano essere sottoposti a forme di violenza, ma parlare di emergenza è voler creare un allarme e dare forma e sostanza ad un mostro sociale che oggi non sembra esserci.
Ma che cosa comporta diventare parte della Rete Ready?
Nella carta di intenti (http://www.comune.torino.it/politichedigenere/bm~doc/cartaintentiready.pdf) si trovano elencate le finalità della rete, suddivise in sette punti.
Tra i “compiti della rete” vi sono “campagne di comunicazione”, “adesione e promozione di campagne europee”, promozione di “una giornata tematica con eventi diffusi” almeno una volta all’anno, cioè Gay Pride, la “ricerca fondi per le attività della Rete”, “creare una pagina informativa”, “partecipare agli incontri coni partner della rete”, “Raccolta delle buone prassi” che ha portato nel 2009 alla pubblicazione del Libro Bianco Europeo Combattere l’omofobia, “organizzazione di conferenze e incontri nazionali”, per citarne solo alcuni. Tutti impegni che si assume chi aderisce alla rete e che sono a carico degli aderenti, cioè Comuni, Province, Regioni, enti pubblici. C’è poi la Segreteria che è assunta da uno dei partner. Torino si è dotato di un “Servizio LGBT”. Altre finalità sono “azioni informative e formative” per il personale dipendente degli Enti partecipanti, il che significa corsi di formazione; poi sono previste “azioni informative e formative” per il personale impegnato in campo educativo, scolastico, sanitario, per il mondo produttivo.
È legittimo chiedersi chi paga tutte queste attività. La risposta, che si trova nella presentazione di Ready, è che a pagare sono i partner, cioè chi sottoscrive gli intenti ed è parte della rete Ready.
È lecito rispondere quindi che pagano i contribuenti e in ogni caso l’adesione non è priva di conseguenze sulle casse del comune.
Ci si chiede se in un periodo di crisi come l’attuale non sia più opportuno utilizzare i fondi verso politiche sociali e di welfare, piuttosto che sostenere una ideologia che divide.
Alcuni partner, dopo avere sottoscritto la carta di intenti, hanno deciso di uscire dalla Rete Ready.
Massimiliano Salini, ad esempio, presidente uscente della Provincia di Cremona, ha annunciato, e messo in atto, l’uscita da Ready.
La fuoriuscita è stata definita da Arcigay come un “atto sorprendente, di una gravità inaudita” e “atto selvaggio di propaganda bieca”, “biglietto da visita deplorevole”.
Ci si chiede anche: che cosa concretamente ha fatto e fa Ready?
Il primo campo di azione è quello strettamente legato alle attività amministrative: la diffusione dei registri delle coppie di fatto i cui risultati sono molto deludenti.
Nel Comune in cui si registra il massimo numero di iscritti, le coppie registrate sono una cinquantina. Il 90% di questi registri sono vuoti. A Bologna (Comune che ha aderito a Ready) da quando nel 1999 è stato istituito il registro, gli iscritti sono zero. Nel 1999, il Comune ha aperto alle coppie di fatto la possibilità di partecipare alle graduatorie per l’assegnazione di alloggi Acer, con lo stesso punteggio di una coppia sposata. Dal 2006, poi, Bologna ha concesso i cosiddetti “prestiti sull’onore”, approvati dalla Regione Emilia Romagna con la legge n.2 del 12/03/2003, anche “alle coppie gay e lesbiche che convivano o che decidano di dare inizio a una convivenza”. Sempre la Regione, con l’art. 42 della finanziaria approvata nel 2010, ha sottolineato l’esistenza di unioni e convivenze non matrimoniali, riconoscendo ai conviventi, etero o omosessuali, gli stessi dirittidi accesso a servizi come casa, scuola, sanità e ogni altro “servizio pubblico o privato sul territorio emiliano romagnolo”.
Anche in molte altre città italiane (sempre partner della Rete Ready), il registro delle coppie di fatto è stato un grande flop: Bolzano, Trento Torino, Firenze, Padova… “A Gubbio, in Umbria – secondo Avvenire -addirittura è stato di abolito per evidente inutilità, dopo che per 10 anni soltanto una coppia risultava essersi iscritta”.
Il timore di alcuni è che si voglia raggiungere per via amministrativa il matrimonio tra le persone dello stesso se
sso, in modo tale che ci sia in Italia una situazione di fatto tale per cui una legge nazionale non sia altro che la presa d’atto di quanto già è presente nel paese.