Tra i primi ad incontrare il Papa anche il presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, il quale ha consegnato al Pontefice una lettera di invito alla Sinagoga. Il presidente della comunità ebraica romana ha riferito che il Papa pregherà per i tre giovani israeliani rapiti in Cisgiordania.
Nel corso del saluto d’inizio, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato che qui nel 1968 “diversi giovani hanno incontrato il Vangelo” e “l’incontro dei poveri è ancora il loro sogno”.
“Il sogno è rimasto quello di partire dalle periferie per cambiare Roma e il mondo”.
“Ma – ha precisato Riccardi – per cambiare il mondo bisogna prima cambiare se stessi”.
“Siamo gente comune e non siamo condannati alla rassegnazione – ha aggiunto Riccardi -. Non abbiamo rinunciato di cambiare il mondo. Il sogno non è si è pietrificato nell’ideologia. Vogliamo un mondo diverso”.
Qui dove gli umili e i poveri si confondono tra chi serve e chi è servito, secondo Riccardi “i poveri ci hanno insegnato a vivere”.
Con la Comunità di Sant’Egidio, Trastevere è diventata casa di accoglienza, mensa di chi ha fame, vicino all’altare dove sta l’Eucaristia.
Per Riccardi, “Gesù vive in ogni periferia, così le periferie diventano centro e i piccoli possono fare la storia”.
Il fondatore della Comunità ha ricordato di aver incontrato povertà enormi specie tra le vittime delle guerre e delle emigrazioni.
Ha parlato poi del miracolo della pace che ha bisogno di tanta fede, dialogo e preghiere.
Riccardi ha concluso affermando che “è difficile essere cristiani ma siamo contenti di esserlo”.
L’arcivescovo siro-ortodosso Jean Kawak, di Damasco, ha confessato al Papa di portare con se “negli occhi e nel cuore, la sofferenza di un popolo ostaggio della guerra, prigioniero di una situazione bloccata”.
Come riportato da Il Sismografo, l’arcivescovo ha affermato che “Il popolo siriano è prigioniero del male. Come prigionieri sono il nostro metropolita Mar Gregorios Yohanna Ibrahim e il vescovo greco ortodosso Bulos Yaziji, amici di questa Comunità”.
Sono stati ricordati anche i tanti sacerdoti prigionieri come padre Paolo Dall’Oglio, i padri Maher Mahfuz e Michel Kayyal, e altri laici.
“Ringraziamo tutti coloro che continuano a pregare per loro con fede ed insistenza, come si fa in questa Basilica ogni sera da più di un anno, attendiamo la buona notizia della loro liberazione”, ha detto Kawak.
“Tutti i siriani soffrono, tra loro tanti cristiani. Tutto il popolo è spaventato, non ha da mangiare, non ha più un tetto, non ha lavoro. Milioni di uomini, donne, bambini, sono dovuti fuggire dalle loro case. L’assedio che la città di Aleppo ha subito, la fame e la sete che i suoi abitanti hanno sofferto, la minaccia alla propria vita che essi hanno sperimentato per mesi, sono il simbolo della notte in cui è piombato tutto il paese. ‘Quanto resta della notte?’, ci chiediamo con Isaia …. Noi credenti non ci rassegniamo al buio del male.”
“Non siamo gente della rassegnazione o della disperazione. I cristiani sono il popolo della fede e della speranza. La speranza non delude”, ha affermato il presule ortodosso.
“Lo abbiamo visto a settembre, quando quello che sembrava un destino, di altra guerra e di altra morte, è stato cambiato dall’iniziativa che Lei, Santità, ha promosso. La preghiera unanime di tanti ha mutato il corso della storia. Ma lo sentiamo anche oggi. Ogni volta che ascolto il richiamo alla preghiera del muezzin e poco dopo le campane delle nostre chiese, allora sono sicuro che la Siria della pace e della convivenza tornerà ad esistere.”
“Anche di fronte a uno scenario tragico e bloccato – ha concluso l’arcivescovo siriano – la preghiera disegna un orizzonte diverso, di speranza e di salvezza. Ma si deve fare di più per la pace! (…) Il popolo soffre troppo. Chiedo ancora a Lei e a tutti voi di ricordare la Siria e il suo popolo nelle vostre preghiere”.