“Di cosa abbiamo bisogno per vivere?”. La domanda va dritta al cuore dell’esperienza umana e acquista un peso ancora più forte se formulata in una stagione come quella che stiamo attraversando, impastata di difficoltà materiali e di una disillusione nei confronti del presente e del futuro che sempre più spesso sfocia nel cinismo, nella disillusione o in un istinto autodistruttivo tanto forte quanto, il più delle volte, sterile. Questa domanda è il titolo della 36° edizione del pellegrinaggio Macerata-Loreto, il più partecipato tra quelli che si svolgono a piedi in Italia.
Quest’anno a camminare nella notte tra sabato 7 e domenica 8 giugno erano più di centomila i partecipanti, arrivati da ogni parte d’Italia e anche dall’estero, con una delegazione perfino dal Paraguay. Nato nel 1978 per iniziativa di un giovane insegnante di religione di Macerata – don Giancarlo Vecerrica, oggi vescovo di Fabriano-Matelica e che ogni anno lo guida con inesausta energia e un entusiasmo contagioso – il pellegrinaggio è una testimonianza impressionante del desiderio di verità che anima tante persone, anche lontane dalla fede ma alla ricerca di risposte pesanti a “quella domanda”.
Lo ha riconosciuto anche il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, che ha presieduto la Messa che come ogni anno precede l’inizio del cammino notturno verso il santuario di Loreto: «Mi colpisce la partecipazione in crescendo di tanta gente, anche di chi non si riconosce nella Chiesa ma che qui trova un avvio di risposta alle sue domande esistenziali. La risposta, infatti, è nella vicinanza, nell’incontro, nel farsi prossimo di tutti: questo, come ci insegna il Papa, permetterà a Gesù di dare una risposta”.
E’ un gesto semplice: si recitano i misteri del Rosario, si cantano brani della tradizione popolare mariana insieme ad altri nati dalle diverse sensibilità musicali e religiose contemporanee, si ascoltano le testimonianze di persone che nelle difficoltà dell’esistenza hanno scorto la presenza di Dio. Storie che raccontano di grazie ricevute, di conversioni personali, di una fede scoperta o ritrovata.
Partecipa gente d’ogni età e condizione sociale, raccogliendo l’invito lanciato come ogni anno da Comunione e liberazione e a cui si uniscono le diocesi delle Marche e decine di associazioni e movimenti, in una significativa esperienza di unità ecclesiale: tantissimi i giovani (il pellegrinaggio nacque come gesto di ringraziamento alla Madonna per l’anno scolastico), ma molte anche le persone anziane, che rivivono un gesto a cui erano state educate in gioventù ma la cui forza si era andata affievolendo sotto l’urto della secolarizzazione o di una fede intiepidita e caduta nella tentazione del formalismo.
Partecipano, in altro modo, anche le migliaia di abitanti che attendono anche a notte fonda il passaggio del lungo corteo di pellegrini nei loro paesi, sostando ai bordi delle strade o affacciati alle finestre e sui balconi, spesso unendosi alla preghiera o facendo il segno della croce. Come a testimoniare che quel gesto appartiene anche a loro. Sono tutti segni di una religiosità popolare, semplice e profonda, che continua a scorrere nelle vene di tanta gente, che certi sociologi hanno troppo superficialmente relegato nelle categorie di un devozionismo marginale e insignificante e che talvolta viene guardato con tiepidezza anche in certi ambienti ecclesiastici, quasi che i suoi protagonisti fossero figli di un Dio minore.
Semplici sono anche le parole che il Papa ha pronunciato nel breve e intenso colloquio telefonico con il vescovo Vecerrica, amplificato davanti ai pellegrini entusiasti riuniti nello stadio di Macerata. Da lui è arrivato l’invito a non farsi rubare i sogni, a non cedere al dubbio e insieme a non averne paura, perché “la fede non è un’eredità che si riceve, non una merce che si compra, ma una scelta d’amore” che si conquista, anche tra i fallimenti. Infine l’appello a “non farvi rinchiudere nel grigiore e nella mediocrità: la vita non è grigia, è fatta per le grandi cose. La negatività è contagiosa ma anche la positività lo è: continuate a irradiare luce e speranza. E questa notte pregate anche per me: ne ho bisogno”.
Il riferimento era all’incontro che si sarebbe svolto poche ore dopo nei Giardini vaticani con il presidente israeliano Peres, quello dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen e il patriarca ortodosso Bartolomeo, per invocare da Dio il dono della pace. E durante il cammino notturno i centomila della Macerata-Loreto hanno più volte pregato per il buon esito dell’iniziativa.
Al mattino, verso le 6, l’arrivo al santuario di Loreto, dove secondo la tradizione viene custodita la casa (smontata e ricostruita dopo essere stata trasportata da Nazareth nel tredicesimo secolo) dove è risuonato il sì” di Maria che ha segnato per sempre la storia dell’umanità. Per molti è stata l’occasione per ridire il proprio “sì” dopo l’incontro con Gesù reso evidente da volti amici che testimoniano la “convenienza” del cristianesimo anche per l’uomo di oggi.
Come ha ricordato don Juliàn Carrón nel messaggio inviato ai partecipanti: “Anche a noi è accaduto di trovare sulla nostra strada qualcuno la cui vita è apparsa subito più umana, più desiderabile, tanto che ci è venuta l’invidia di vivere come lui. E così nel tempo, seguendo, è diventata nostra quella esperienza che ci ha affascinato all’inizio, la stessa esperienza di Giovanni e Andrea sulla riva del Giordano”. Una storia lunga duemila anni, di cui i pellegrini della Macerata-Loreto sono eredi e protagonisti.