Ciascuno di noi possiede un proprio grado di emozionalità ma credo di non scostarmi troppo dalla realtà quando affermo che la sensazione che si prova varcata una delle soglie d’ingresso della Basilica Lateranense rappresenti per molti dinanzi a cotanta bellezza un momento di profondo misticismo teologico.
Come già precedentemente sottolineato, la Basilica è internamente divisa da una navata centrale e da quattro navate laterali che scandiscono spazi armoniosi ed in origine delimitata da trenta colonne, poi sostituite da pilastri in muratura dopo l’incendio del 15 giugno del 1307 (se ne salvarono soltanto sette).
Un altro incendio avvenuto il 21 agosto del 1361 fece danni più devastanti del precedente, distruggendo un ciborio e quattro colonne di diaspro, nonostante le sette colonne superstiti furono in grado di sostenere la trabeazione, impedendo un crollo certo. Fu Martino V a rinnovare il pavimento della navata centrale in stile ‘cosmastesco’ con grandi ‘clipei’ di porfido ornati con il suo stemma e liberandolo dagli amboni, dal coro dei canonici e dall’altare di S. Maria Maddalena.
Il restauro del pavimento, eseguito tra il 1934-1938, permise di rintracciare le fondazioni della costruzione costantiniana, accertando che la Basilica sorse sulle rovine dei Castra nova Severiana degli Equites singulares, costruiti sotto l’imperatore Settimio Severo e della schola curatorum, scandita da un transetto diviso da più partizioni. Il ritrovamento di una grande quantità di marmo giallo-numidico giustifica la definizione che diede papa Gregorio Magno della costruzione definendola ‘basilica aurea’, probabilmente legata allo splendore e ai riflessi della colorazione dei marmi. Le colonne della navata centrale provenivano anch’esse dalla Numidia, spartite quindici per ogni lato, con una larghezza dell’intercolunnio di oltre quattro metri.
Nei pressi della parete di fondo (area attigua all’abside), venne accertata la presenza di un deambulatorio probabilmente costruito ai tempi di papa Nicolò IV (1288-1292), anche se non è da escludere che una sua prima fase sia da attribuire a papa Leone Magno e realizzata nella metà del V secolo.
L’incarico per il rinnovamento della Basilica venne affidato al Borromini ed i lavori, che si limitarono agli spazi compresi all’interno delle cinque navate, vennero effettuati tra maggio del 1646 e ottobre 1649. Questi vennero successivamente ripresi il 20 febbraio 1652 con la messa in opera di una nuova pavimentazione delle navate laterali, mentre la pavimentazione della navata centrale fu restaurata da Pier Santi Ghetti su incarico di papa Innocenzo X.
Fortunatamente il Borromini seguì alla lettera le direttive del pontefice, che gli impose di conservare l’aspetto dell’edificio ‘per quanto sarà possibile nella sua primitiva forma et abbellirla’, evitando il pericoloso scenario rivoluzionario della nascente ‘cultura barocca’. Nonostante i dettami dovessero essere conformi alla tradizione, il Borromini apportò alcune innovazioni ‘non invasive’, aprendo cinque grandi arcate con pilastri estesi fino al soffitto, in corrispondenza delle cinque cappelle presenti ed inserendo nelle pareti della navata centrale grandi nicchie in pavonazzetto destinate ad accogliere le statue degli apostoli che però vi furono collocate solo nel XVIII secolo.
Nonostante la struttura architettonica non venne in alcun modo alterata (come da disposizione pontificia), dell’antica basilica rimase visibile ben poco e vennero tra l’altro distrutti gli affreschi di Gentile da Fabriano e del Pisanello. Sopra le grandi nicchie sono stati alternativamente illustrati sei episodi dell’Antico Testamento e altrettanti del Nuovo, testimonianza iconografica della prepotente arte barocca che qui appare meno celata che in altre parti dell’edificio. I precedenti artisti infatti raffiguravano come in un’istantanea il ‘clou’ di quanto narrato, ponendo in evidenza soltanto quegli elementi necessari alla rappresentazione. In quest’epoca invece si tende ad inserire elementi aggiuntivi e di contorno che alla fine tendono a distrarre lo spettatore dal motivo principale della narrazione.
La presenza di dodici ovali a festoni di palme che racchiudono pitture con immagini dei dodici profeti, arricchiscono ancor di più le pareti della navata, a loro volta sormontati da un fregio composto da monogrammi costantiniani ma anche colombe con ramoscello d’olivo, palme incrociate e ‘candelabre’ con festoni di lauro dell’epoca di Innocenzo X, il tutto, seppur moderno, è chiaramente ispirato dall’epoca tardo-antica.
Splendido è il soffitto cinquecentesco attribuito a Michelangelo, Daniele Ricciarelli da Volterra e Pirro Ligorio, ma realizzato dall’ebanista francese Flaminio Boulanger, in un’epoca in cui venne completato anche il riquadro centrale che fornì un tocco di perfezione ad una copertura che ancora oggi sa emozionare.
Alla fine degli interventi, la navata centrale apparve in definitiva con una copertura a capriata, un transetto e un’abside semicircolare simile a quello della basilica costantiniana di Gerusalemme, con una lunghezza massima di m. 130 e un’altezza di m. 30.
* Paolo Lorizzo è laureato in Studi Orientali e specializzato in Egittologia presso l’Università degli Studi di Roma de ‘La Sapienza’. Esercita la professione di archeologo.
(La quarta parte è stata pubblicata sabato 12 gennaio. La sesta ed ultima puntata uscirà sabato 2 febbraio)