I figli dei divorziati sono meno propensi alla pratica religiosa

Un nuovo dossier americano rivela l’impatto sulla fede nelle famiglie divise

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Le conseguenze sociali negative del divorzio sono ben note ma una nuova ricerca dimostra che esso porta anche ad un declino della pratica religiosa.

Mercoledì scorso l’Institute for American Values ha pubblicato i risultati dell’indagine di un gruppo di suoi allievi in un dossier intitolato Does the Shape of Families Shape Faith?: Challenging the Churches to Confront the Impact of Family Change (La forma della famiglia dà forma alla fede? Una sfida alle chiese per confrontarsi con l’impatto dei cambiamenti della famiglia).

Ogni anno circa un milione di bambini sperimentano il divorzio dei loro genitori, sottolinea il rapporto, e, soprattutto, un quarto dei giovani adulti vengono da famiglie divorziate.

Gli autori della ricerca affermano che i figli dei divorziati diventano meno religiosi quando raggiungono l’età adulta, rispetto a coloro che crescono in famiglie unite.

Uno studio rivela che, mentre due terzi delle persone cresciute in famiglie unite affermano di essere decisamente religiosi, solo metà di coloro che hanno i genitori divorziati, dichiara la stessa cosa.

In termini di pratica religiosa più di un terzo dei giovani adulti provenienti da famiglie unite è osservante, contro un quarto di coloro che vengono da famiglie divise.

Secondo il dossier dell’Institute of American Values, l’influenza più significativa sui giovani in termini di fede, è la pratica religiosa da parte dei loro genitori.

“I genitori giocano un ruolo vitale nell’influenza delle vite religiose dei loro figli dopo il divorzio, specie in un cultura in cui l’impegno associativo e altre forme di coinvolgimento civico non sono più un riferimento normativo come in passato”, si legge nel dossier.

Mancanza di sostegno

Una delle ragioni per cui un significativo numero di figli di divorziati è meno praticante, è perché, secondo lo studio, al momento della separazione dei genitori, due terzi degli intervistati ha affermato che nessuno nella loro comunità religiosa ha offerto loro sostegno.

Un altro motivo è rappresentato dal fatto che il divorzio provoca un calo della frequenza in chiesa dei bambini. Degli adulti cresciuti in famiglie divise vanno in chiesa regolarmente solo la metà rispetto ai figli delle famiglie unite.

Chi sperimenta un divorzio afferma anche di aver trovato meno riferimenti religiosi e spirituali nella propria famiglia. Uno studio dimostra che solo un terzo dei padri divorziati li ha incoraggiati a praticare la propria fede contro i due terzi delle famiglie unite.

I figli possono anche percepire che il divorzio ha un impatto diretto sulla loro fede. Uno studio realizzato da studenti universitari, ha dimostrato che taluni interpretano il divorzio dei genitori come un danno ai loro valori spirituali essenziali. Costoro sono anche più propensi ad autodefinirsi “spirituali” piuttosto che “religiosi”.

Un altro studio conclude che chi viene da famiglie divise non è meno interessato alla ricerca di significato, di verità o ad un rapporto con Dio, ma è meno propenso a pensare che le istituzioni religiose possano aiutarli a farlo.

Un altro aspetto analizzato dai ricercatori è se un cosiddetto “buon divorzio”, ovvero una separazione poco conflittuale o amichevole, influisca o meno sulla vita religiosa dei figli.

Lo studio rivela che i giovani cresciuti in famiglie felici e unite sono propensi alla pratica religiosa in misura più che doppia rispetto a chi ha sperimentato un “buon divorzio”.

Pertanto, sottolinea il dossier, “sebbene un buon divorzio sia migliore di un cattivo divorzio, esso non è comunque un bene”.

Persone amabili

Infatti, i figli di un divorzio a basso livello conflittuale o di una separazione amichevole possono soffrire anche più di chi cresce in famiglie con alti livelli conflittuali, supponendo che se persone amabili non riescono a realizzare un matrimonio felice, allora forse la colpa è dell’istituzione stessa del matrimonio e non del comportamento distruttivo dei loro genitori.

Le chiese hanno bisogno di farsi coinvolgere di più dai genitori divorziati e dai loro figli, sollecita il rapporto. In un capitolo, un pastore protestante offre alcuni suggerimenti su come farlo.

I pastori e i leader giovanili dovrebbero lavorare con più impegno per determinare modelli di fede – afferma il pastore – dal momento in cui il divorzio complica il ruolo al quale i genitori normalmente adempiono. È anche importante ascoltare chi ha subito un divorzio e favorire un ambiente in cui essi possano porsi domande e cercare di capire come fare i conti con quanto è successo.

La chiesa stessa, o uno spazio riservato alla gioventù, può ugualmente rappresentare un importante santuario e uno spazio ospitale per bambini e giovani che sono divisi tra “casa di mamma” e “casa di papà”.

“Per un figlio di divorziati, la chiesa può essere un luogo stabile per l’accoglienza e un santuario per l’adorazione, i sacramenti, la musica, lo studio, la convivialità e il divertimento”, aggiunge il pastore.

Non è solo una questione di divorzio, aggiunge uno degli autori del dossier. Sappiamo poco delle conseguenze per la fede per i figli di coppie conviventi, per i nati da fecondazione artificiale o per i cresciuti da coppie dello stesso sesso.

Il dossier ribadisce anche quanto sia importante per la società, la famiglia basata su un matrimonio stabile tra un uomo e una donna.

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Fr. John Flynn

Australia Bachelor of Arts from the University of New South Wales. Licence in Philosophy from the Pontifical Gregorian University. Bachelor of Arts in Theology from the Queen of the Apostles.

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