Venerdì 18 gennaio inizierà la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, che si concluderà il 25 gennaio. In quest’ultima data, papa Benedetto XVI, come ogni anno, presiederà i Vespri nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, assieme ai leader delle più importanti chiese cristiane. L’obiettivo comune è chiaro: avanzare nell’unità.
Questa attività può ben svilupparsi anche nelle diocesi, nelle parrocchie, nei movimenti, nei collegi e nei seminari o laddove esista una chiesa cristiana con ala quale dialogare e riunirsi per pregare. Questo sforzo – che ha origine nel secolo XIX per iniziativa della Chiesa Anglicana – ha conosciuto un forte impulso da parte della Santa Sede, che lavora palmo a palmo con il Consiglio Mondiale delle Chiese per scegliere un tema annuale e offrire materiali di riflessione e preghiera.
L’ente incaricato a promuovere questa felice iniziativa in tutta la Chiesa Cattolica è il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. ZENIT, per l’occasione, ha incontrato il presidente di tale dicastero, il cardinale svizzero Kurt Koch, che è anche incaricato dell’importante dialogo con l’Ebraismo.
Eminenza, come nacque la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani?
Cardinale Koch: La Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani ebbe origine già nel XIX secolo. Era un’iniziativa ecumenica degli anglicani, accettata dalla Chiesa cattolica già con papa Leone XIII. In seguito, questa Settimana in favore dell’ecumenismo divenne una pratica nella Chiesa cattolica. Oggi è l’evento più importante dell’anno per l’ecumenismo, perché la preghiera per l’unità è il fondamento di tutto l’ecumenismo. Il decreto sull’ecumenismo del Vaticano II parla di “ecumenismo spirituale” che è il cuore di tutto.
Quante chiese cristiane rispondono a quest’appello?
Cardinale Koch: La preparazione che noi portiamo avanti, si fa insieme con il Consiglio Mondiale per le Chiese e penso che molte chiese e comunità ecclesiali fanno questa preghiera, ma non sono sicuro che siano tutti.
Proprio sul dialogo ecumenico, il tema di quest’anno é “camminare insieme”. Qual è il risultato più importante degli sforzi negli ultimi anni?
Cardinale Koch: Dopo cinquanta anni, cioè dopo l’apertura del Concilio, abbiamo potuto cogliere molti frutti. Abbiamo adesso sedici dialoghi con altrettante chiese e altre comunità ecclesiali nel mondo. Abbiamo potuto intrecciare una rete di amicizia con diverse chiese e comunità ecclesiali, che non sono più nemiche e si riconoscono come fratelli e sorelle; questo soprattutto nel battesimo, che é il vero fondamento di tutto.
Ma ciò non è ancora sufficiente, vero?
Cardinale Koch: La mutua accettazione del battesimo è la base di tutto l’ecumenismo. È chiaro che dopo cinquanta anni non si è potuto aggiungere l’obiettivo dell’ecumenismo, che è l’unità visibile di tutti cristiani, di tutte le chiese.
Ci sono punti comune pure nel culto?
Cardinale Koch: Penso che ci sia una differenza nell’ecumenismo con le chiese ortodosse anche orientali, da una parte, e con le chiese che sono nate della Riforma, dall’altra; perché con tutte le chiese orientali abbiamo un grande fondamento comune nella fede, ma abbiamo un’altra cultura. Con le chiese che sono nate della Riforma, non abbiamo la stessa comunanza nella fede ma abbiamo la stessa cultura. E questa grande differenza ha molta importanza per i contenuti del dialogo.
Così accade anche nella liturgia…
Cardinale Koch: Per noi cattolici è possibile pregare con tutti i cristiani sul fondamento del battesimo, anche con molti ortodossi. Io sono andato a Costantinopoli per la festa di sant’Andrea e partecipo sempre alla liturgia, con grande accoglienza da parte dei patriarchi. Per contro, ci sono alcuni ortodossi che danno l’impressione di non voler pregare insieme con i cattolici…
Sul tema della libertà religiosa, di cui oggi tanti cristiani soffrono la mancanza, quale dovrebbe essere l’atteggiamento giusto?
Cardinale Koch: Penso che sia molto importante la dichiarazione del Vaticano II sulla libertà religiosa per la persona umana. Questo è un grande impegno per le nostre chiese, per approfondire e sostenere la libertà religiosa per tutti i cristiani in tutti paesi. La sfida è molto grande perché di tutti credenti nel mondo che sono perseguitati per via della loro fede, l’80% sono cristiani.
E alcuni di loro vengono uccisi o patiscono il carcere per tutta la vita…
Cardinale Koch: In questo senso, il beato Giovanni Paolo II ha parlato di un “ecumenismo dei martiri”. Per me questa è un’idea molto profonda, perché tutte le comunità ecclesiali hanno i loro martiri. Il martirio ha già -come ha detto Giovanni Paolo II – “la comunione piena”, e noi sulla terra non l’abbiamo ancora… Allora, la preghiera con i martiri nel cielo può aiutare ad approfondire l’unità e l’ecumenismo sulla terra.
[La seconda parte dell’intervista al cardinale Koch sarà pubblicata domani, mercoledì 16 gennaio]