Riportiamo di seguito una sintesi dell’omelia del cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, durante la celebrazione eucaristica tenutasi oggi pomeriggio nella parrocchia romana di Santa Lucia, in occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
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[…] Quest’anno, la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato coincide con la festa del battesimo di Gesù. In questo modo, la nostra celebrazione della Giornata Mondiale si arricchisce con le letture che abbiamo appena ascoltato: una liturgia della Parola molto incisiva, profonda, e piena di sentimenti di fede e di speranza.
La prima lettura, presa dal libro del Profeta Isaia, assume un significato particolare. Il brano è un appello del profeta alla consolazione e al conforto di Israele che, al tempo in cui viene scritto il brano, si trova in esilio in Babilonia. Da lungo tempo, il Popolo di Dio attendeva con ansia la liberazione e il ritorno in patria. Il brano che abbiamo appena sentito è, quindi, l’annuncio della fine della schiavitù d’Israele e la promessa del ritorno a Gerusalemme. Questo annuncio è una notizia di grande gioia, quasi un grido di allegria, che porta con sé un messaggio di grande speranza. Il tempo del castigo di Dio per i peccati del suo popolo è finito ed è iniziato il tempo della consolazione. Israele è chiamato a uscire da Babilonia e a iniziare un “camino di fede e di speranza”: un cammino che è la fine delle sofferenze e il ritorno alla terra promessa.
La celebrazione della Giornata Mondiale ci spinge a pensare alla moltitudine di persone che nel mondo odierno si trovano in una situazione tra la “disperazione di un futuro impossibile da costruire” e il “desiderio di una vita migliore” – come nota il Papa nel suo Messaggio per questa Giornata. I migranti sono spinti a cominciare il loro viaggio, anzi, il loro pellegrinaggio di fede e di speranza, così spesso alimentato dalla “profonda fiducia che Dio non abbandona le sue creature”, proprio come il popolo di Israele a Babilonia, che il profeta esortava ad avere fiducia e speranza nel Signore. “Fede e speranza, dunque” scrive il Santo Padre, “riempiono spesso il bagaglio di coloro che emigrano”.
Questa metafora, oltre ad offrirci una bella immagine su cui riflettere, esprime anche un aspetto fondamentale del cammino dell’uomo in viaggio. Nel loro pellegrinaggio esistenziale verso un futuro migliore, i migranti portano con sé sentimenti di fede e di speranza. Dire che tentano soltanto di trovare un miglioramento alla loro situazione semplifica troppo la realtà. In verità, nell’intimo del cuore, essi “nutrono la fiducia di trovare accoglienza, di ottenere un aiuto solidale e di trovarsi a contatto con persone che, comprendendo il disagio e la tragedia dei propri simili, e anche riconoscendo i valori e le risorse di cui sono portatori, siano disposte a condividere umanità e risorse materiali con chi è bisognoso e svantaggiato”, dice il Papa nel suo Messaggio.
Il miglioramento della qualità della vita è legato a coloro che i migranti incontrano nelle nuove realtà in cui vengono accolti. Nei momenti della sofferenza e della solitudine, quanto è importante incontrare persone che aprono il cuore alla speranza e alla vita! Il futuro di Israele, annunciato da Isaia, è un futuro di pace e di serenità – un futuro in cui la figura del Signore si presenta con il volto della bontà, della tenerezza, del servizio disinteressato. Nel contesto delle migrazioni odierne, anche se non tutti i migranti considerano il loro viaggio come un andare verso Dio, in un certo modo, è proprio nelle persone che ancora non conoscono che essi possono scoprire Dio stesso che tende loro la mano. Ciò si vede particolarmente nei Paesi di tradizione cristiana, dove i migranti possono sperimentare la genuina bontà di molte realtà ecclesiali, che li accolgono e li aiutano. […]
Noi siamo chiamati a essere attenti a tutti senza distinzione, anche nel vasto ambito delle migrazioni. Da una parte, questo si concretizza – come nota il Papa nel suo Messaggio – negli “interventi di soccorso per risolvere le numerose emergenze, con generosa dedizione di singoli e di gruppi (...) in collaborazione con tutte le persone di buona volontà”. Quest’attenzione è quella più immediata, quella che rappresenta un’emergenza ed esige una pronta risposta. Ma esiste anche un’altra direttrice, quella più impegnativa e, spesso, meno “mediatica”, proprio perché chiede un cambiamento di mentalità. Scrive il Papa: “La Chiesa non trascura di evidenziare gli aspetti positivi, le buone potenzialità e le risorse di cui le migrazioni sono portatrici”. In questa espressione della sollecitudine della Chiesa prende corpo tutta la sua attività nel favorire e accompagnare l’integrazione dei migranti nel loro nuovo contesto socio-culturale. Non significa solo accettare la presenza straniera da parte nostra e della società di accoglienza, ma soprattutto implica un processo (spesso lungo e delicato), che richiede anche mutua comprensione e accettazione.
Non è a questo che ci spinge l’esempio di Gesù che è diventato “uno tra noi”, sperimentando tutto ciò che noi proviamo ogni giorno, fuorché il peccato, fino a essere anche lui migrante ed esule? Non è forse questa una ragione per diventare per i migranti un segno “di speranza e di fede”, in cui essi possono trovare anche la presenza di Dio? La solidarietà vissuta da Gesù nel suo battesimo deve essere anche la sorgente della carità solidale di noi, battezzati, verso coloro che incontriamo e che bussano alle nostre porte.
Celebrando questa Giornata Mondiale oggi, desidero esprimere, in conclusione, sentimenti di stima, apprezzamento e sincera gratitudine verso tutti coloro che si impegnano nella pastorale dei migranti. Grazie a loro la Chiesa guarda, ascolta, rispetta e condivide con ogni migrante tutti i passaggi fondamentali della vita. Siete diventati “luci vicine” che offrono “orientamento per la traversata” (Messaggio 2013) di coloro che si trovano nel pellegrinaggio della migrazione. Che Dio vi benedica per la vostra genuina bontà e fatica!