Pauline Marie Jaricot: testimone della nuova evangelizzazione (Prima parte)

La conferenza di monsignor Fisichella in occasione della chiusura dell’Anno Giubilare per il 150° della morte della Venerabile

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Riportiamo di seguito un estratto della prima parte della conferenza tenuta ieri a Lione da monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, in occasione delle celebrazioni di chiusura dell’Anno Giubilare indetto per il 150° anniversario della morte della Venerabile Pauline Jaricot.

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[…] Conosciamo l’opera di Pauline. Il suo scopo era far conoscere il vangelo a tutti, consapevole che solo in quella Parola di vita poteva trovare riscontro la vera dignità della persona; alla stessa stregua, la fede in Gesù non doveva conoscere nessun confine geografico. D’altronde, quando si è incontrato Gesù Cristo, è impossibile tenere questa esperienza solo per se stessi. La gioia dell’incontro che trasforma la vita è tale che ha bisogno di essere comunicata e partecipata. Il Vangelo, per sua stessa natura, è un annuncio universale che non conosce confini, e quanti vi si dedicano sanno che non è loro concessa alcuna remora né sosta. […]

Gesù nella sua predicazione si è identificato con il messaggero di gioia atteso. Nella sua persona e nei segni che compie, è consentito vedere realizzata la promessa di Dio di dare vita a una nuova era della storia, quella del suo Regno. Dopo di lui, gli apostoli, Paolo e i discepoli sono identificati come i messaggeri che portano un annuncio di salvezza e di gioia. In un famoso testo della lettera ai Romani, l’apostolo riprende alla lettera il brano di Isaia e lo applica a tutti i cristiani che annunciano il Vangelo: “Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene” (Rm 10,15). E’ interessante osservare come in questa citazione del profeta, l’apostolo non menziona i monti. Il significato sotteso è di aiuto per comprendere il compito dei nuovi evangelizzatori: essi hanno la missione che ha come destinatario il mondo intero e nessun monte potrà essere di ostacolo nella loro opera di evangelizzazione.

L’immagine biblica, perché il suo messaggio abbia pieno significato, richiede di essere riportata ai nostri giorni, per verificarne l’attualità e la forza di coinvolgimento. A un primo sguardo si potrebbe osservare che ai nostri giorni non si vedono molte persone nelle nostre città in attesa di un messaggero che porti loro una bella notizia. Il senso di autosufficienza che percorre gran parte della nostra cultura unito a una forte dose di indifferenza, mostrano con evidenza quanto il nostro contemporaneo sia spesso in preda a una sorta di presunzione che lo porta a considerare ogni cosa come ovvia, senza avere più il gusto per la novità. L’attesa di una bella notizia, quindi, sembra scontrarsi con una cultura della irrilevanza che non considera affatto la fede come una priorità. Eppure, se il nostro sguardo fosse capace di andare al di là dell’immediato, per penetrare maggiormente nell’animo delle persone, allora potremmo descrivere una situazione diversa. La nostalgia di Dio non è affatto scomparsa ai nostri giorni; anzi. Per alcuni versi, essa permane come un desiderio di poter ascoltare una parola in grado di raggiungere l’intimo per far emergere quel senso di autenticità che pone in relazione con il desiderio stesso della verità. Forse, dovremmo chiederci se noi siamo ancora capaci di riportare l’uomo all’essenziale e consentirgli di avere un confronto spassionato con se stesso, lontano dalle lusinghe e dalla voce delle mille sirene che oggi gridano a squarciagola pur di sopraffare la nostra voce. Il grande problema con il quale dobbiamo confrontarci ai nostri giorni, purtroppo, è una nuova forma di ateismo che, abbandonata ogni espressione filosofica e di speculazione intellettuale, si è trasformata in un comportamento di indifferenza nei confronti di Dio. Spesso, tra l’altro, non è difficile incontrarsi con espressioni di scherno, di discriminazione e d’insulto nei confronti della fede cristiana, che stridono con la maturità di una società democratica e paladina della libertà. […]

La crisi di fede ha portato con sé la crisi dell’amore e della speranza. L’amore stesso subisce l’umiliazione di non essere più percepito e compreso come un dono totale di se stesso alla persona amata, e che dura per sempre. Proprio questo ci fa concludere che qualcosa di veramente radicale sta succedendo nel nostro piccolo mondo. L’amore, infatti, è la parola sintesi dell’esistenza. E’ l’amore che suscita la fede e insieme danno speranza per guardare al futuro con serenità. E, tuttavia, anche la stessa speranza sembra mortificata da politiche sociali che creano situazioni di precarietà tali per cui è difficile guardare al futuro con la necessaria certezza per costruire una famiglia. Insomma, quando una sola di queste realtà viene meno, non è innocuo per le altre. Non è vero che se una manca allora subentrano le altre e acquistano maggior forza. E’ solo nell’unità profonda e nella circolarità reciproca che esse crescono e danno senso alla vita. Senza l’amore, nasce il sospetto nei confronti dell’altro; il dubbio si accresce e l’individualismo subentra come forma di difesa; il tradimento diventa l’esperienza più comune ai nostri giorni e non fa che attestare il rinchiudersi dell’uomo in se stesso senza più fidarsi e confidare nell’altro. Incapace di vera relazione interpersonale, si perde il senso della responsabilità sociale e la rivendicazione di diritti individuali –spesso presunti e frutto più di ideologia passeggera che di fondamento nel diritto- giunge come forma per fondare una libertà che illude, perché non è tale in quanto priva di relazione con la verità. Così, con l’illusione di essere libero, si cade in una forma di schiavitù peggiore perché si diventa facile preda della moda del momento. […]

[La seconda parte sarà pubblicata domani, venerdì 11 gennaio]

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ZENIT Staff

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