La Pace è dono di Dio e opera dell'uomo

Nell’omelia per la Giornata Mondiale per la Pace, mons. Crepaldi richiama il Messaggio di Benedetto XVI e lancia un appello per la liberazione di Asia Bibi

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Mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste, ha presieduto nel pomeriggio di ieri una Celebrazione Eucaristica in occasione della Giornata Mondiale per la Pace, nella Chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo. Riportiamo di seguito il testo dell’omelia.

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Distinte Autorità, carissimi fratelli e sorelle in Cristo,

All’inizio del nuovo anno siamo riuniti qui nella chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo a pregare per la pace. Nell’assemblea liturgica dell’antico Israele il sacerdote benediceva il popolo di Dio e pregava con queste parole: “Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace” (Numeri 6, 26). Oggi, all’inizio del 2013, la nostra preghiera per la pace si deve fare più ardente e insistente: “Signore rivolgi su tutti i popoli del mondo il tuo volto e ad essi concedi pace”.

Per questa occasione – preparata con cura dall’Azione Cattolica Diocesana che ringrazio vivamente nella persona del suo Presidente il prof. Giovanni Grandi – alla fine della Santa Messa sarà consegnato ad alcune personalità il testo del Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI, reso pubblico per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace. Vuole essere non solo un gesto di cortesia verso quanti portano il peso di pubbliche responsabilità, ma intende proporsi, nel suo simbolismo, come il gesto di consegna di un testimone, espressivo del valore incommensurabile della pace quale cifra sintetica e compiuta di ogni agire sociale e politico.

Per quest’anno il Messaggio del Santo Padre si sofferma a riflettere sull’identità dell’operatore di pace, facendo tesoro delle parole di Gesù Cristo: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9). La pace, dono di Dio e opera dell’uomo, “concerne l’integrità della persona umana ed implica il coinvolgimento di tutto l’uomo.

È pace con Dio, nel vivere secondo la sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla giustizia.

La negazione di ciò che costituisce la vera natura dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace. Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo esercizio” (n. 3).

Su questa ampia e profonda prospettiva, il Santo Padre richiama alcune tematiche di viva attualità, stabilendo delle feconde connessioni con la pace: si tratta del rispetto della vita e del rispetto della struttura naturale del matrimonio tra un uomo e una donna. La connessione tra pace, vita e matrimonio è un dato che da sempre caratterizza la fede cattolica, che riconosce un ordine naturale che riguarda le cose e le persone, ordine indisponibile per tutti, Chiesa compresa, perché voluto e creato direttamente da Dio nel suo imperscrutabile disegno d’amore e di saggezza. Il Santo Padre – che di questo disegno divino, santo e liberante, ne è il servitore primo – lo ha opportunamente richiamato, ammonendo tutti sui pericoli che corre l’umanità a non tenerlo in debito conto.

Per il Papa “Veri operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale, comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la vita” (n 4). E dopo aver ribadito il valore della struttura naturale del matrimonio, quale unione tra un uomo e una donna (cf. n. 4), il Papa ribadisce con forza che “i molteplici operatori di pace sono chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione sociale… La famiglia è uno dei soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura della pace…Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore” (n. 6).

Parole coraggiose e chiare quelle di Benedetto XVI che hanno suscitato una qualche forma impropria di contestazione da parte di chi vorrebbe che la Chiesa annunciasse un vangelo mondano e libertario. E’ bene ed opportuno che si sappia che il Vangelo – quello che libera dai peccati e dona la grazia della salvezza, Vangelo che la Chiesa custodisce da duemila anni e annuncia da sempre in tutto il mondo – non è della Chiesa come una proprietà di cui può disporre a proprio piacimento e non è nella disponibilità della Chiesa il potere di cambiarlo.

Essa lo riceve da Gesù Cristo, suo Signore e suo Sposo, e lo riceve per conservarlo e tramandarlo integro e per servirlo con la forza dolce e convincente dell’annuncio. E’ anche bene ricordare che il Signore Gesù, per i fatti e i detti che sono ben documentati nei quattro Vangeli, è finito Martire sulla croce. E dopo di Lui e come Lui e per Lui, ha preso avvio una schiera innumerevole di martiri del Vangelo che, dai Santi Innocenti uccisi dalla soldataglia di Re Erode al tempo in cui Gesù era appena nato, giunge fino ai nostri giorni. Di questa schiera di martiri, la Chiesa tiene costantemente aggiornato il conto, con crescente preoccupazione.

Nel suo Messaggio il Santo Padre affronta anche temi di natura economica sotto la spinta di una crisi che sta mettendo a dura prova molte famiglie e moltissime persone, soprattutto poveri e indifesi. Anche qui risuona forte e chiaro il messaggio del Papa che invoca un nuovo modello di sviluppo ed economico.

Queste le sue parole: “Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia…Per uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi, istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della competitività” (n 5).

A conclusione di questa mia omelia sul Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI e in questo primo giorno del 2013 che tutto il mondo dedica alla pace, desidero unire la mia voce e quella della Chiesa di Trieste affinché venga liberata Asia Noreen Bibi, la donna cristiana detenuta nel carcere pakistano di Sheikhupura da più di tre anni con l’accusa di blasfemia. La sua liberazione sarebbe un atto di civiltà e un luminoso gesto di pace che rischiarerebbe le tenebre che l’odio continua ad alimentare.

Al giudice che l’interrogava rispose con queste mirabili parole che ricalcano i racconti dei primi martiri cristiani: “Se tu mi condanni perché sono cristiana sono contenta”. E in una lettera scritta dalla sua cella senza finestre il mese scorso, Asia Bibi tende una mano verso tutti noi: “Non so se questa lettera ti giungerà mai. Ma se accadrà, ricordati che ci sono persone al mondo che sono perseguitate a causa della loro fede e se puoi prega il Signore per noi e scrivi al Presidente del Pakistan per chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari”.

Asia Bibi, il Vescovo, i sacerdoti, i religiosi e le religiose e tutti i cristiani di Trieste raccolgono il tuo appello a ricordare a pregare e a scrivere: sarà questa strada da te tracciata che intendiamo percorrere per essere operatori di pace e per servire la pace, nel nome santo del Dio della pace.

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ZENIT Staff

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