di Edoardo Patriarca,
presidente del Centro Nazionale per il Volontariato

LUCCA, mercoledì, 5 dicembre 2012 (ZENIT.org) - Il volontariato non può continuare ad attardarsi sulle ‘cose antiche’, il volontariato deve avere occhi attenti, capacità di intercettare i bisogni, le attese le speranze e ricalibrare la propria opera. Credo che questa sia una delle grandi sfide su cui il CNV deve lavorare, aiutando il volontariato a risentirsi protagonista in un tempo difficile, ma che contiene molte speranze.

Il volontariato non deve farsi percepire come una delle tante corporazioni che ci sono in Italia. L’anima che deve muoverci è lo sguardo verso il futuro e verso le situazioni di fragilità che oggi rimangono sotterranee e sconosciute, e che vanno presidiate.

Il nostro volontariato sta invecchiando, la capacità di intercettare un mondo giovanile, che in Italia è anche minoritario, non è così facile. Spesso ci si appella ai giovani per fare un servizio e non per offrire una proposta di vita. Benissimo fare il servizio del 118, ma dietro a questo dovrebbe esserci un’idea di comunità, una visione.

Prendiamo ad esempio il tema delle dipendenze da gioco d’azzardo che vede come vittime privilegiate i giovanissimi, come pure gli anziani. Immagino l’accompagnamento di una generazione che rischia di non incontrare adulti capaci di appassionarli alla vita della città e l’idea che si vive bene solo se si hanno relazioni di amicizia.

Dove è che oggi i ragazzi incontrano i percorsi di passione per la città e la comunità in cui vivono? Dove è che assumono l’idea che esista un bene comune? Dove comprendono che l’impegno non è solo un fatto moralistico, ma anche un modo per stare bene? Credo che il volontariato “educativo” dovrebbe diventare una costante presente in tutte le espressioni del volontariato.

La scuola e la famiglia hanno molti limiti e le associazioni di volontariato sono luoghi importanti in cui sperimentare virtù civiche come dedizione, disciplina, fedeltà agli impegni presi. Un altro ambito da presidiare è il nostro patrimonio artistico che rischia di essere deturpato o abbandonato. È un volontariato che rende il paese migliore e può essere anche volano di una ripresa economica.

Poi il volontariato vicino alle famiglie in grossa difficoltà, con genitori che vivono l’esperienza del “sandwich”, dovendo crescere i figli e assistere i genitori. O il tema delle povertà, oggi assolutamente da presidiare.

Un’altra frontiera importante è l’integrazione degli immigrati. Chi può farsi strumento di integrazione e cittadinanza attiva di famiglie che giungeranno nei nostri paesi? È chiaro che gli enti locali non ci possono arrivare, mentre il mondo del volontariato può integrare le diversità anche tramite volontariato etnico.

S'intravede un forte rischio che sul volontariato ci sia troppa pressione, soprattutto in questo momento di crisi. Mai come oggi si fanno tanti attestati pubblici di riconoscimento al volontariato. Questo è pericoloso. Il rischio, già in corso, è che il volontariato diventi semplice erogatore di servizi a costo zero, azzerando tutte le sue altre vocazioni riguardanti la costruzione della comunità.

Se un servizio non è più gestibile da un Comune e viene affidato al volontariato per farlo a costi minori, esso va rifiutato. Il volontariato deve recuperare la sua vocazione ed esprimere sui territori delle leadership di qualità. Vuol dire avere grande capacità di visione di un territorio. Ecco perché è bene stare insieme, condividere e non chiudersi solo in nicchie di servizi, in cui s’interagisce in maniera paritetica e ciascuno riscopre la sua vocazione.

Questo prevede anche un ruolo attivo degli enti locali: penso ad un Comune che non fa solo servizi, ma sostiene le reti, le anima, incrementa le responsabilità. Esiste anche un ruolo a livello nazionale che riguarda le associazioni in tutta Italia e le rappresentanze del terzo settore.

Le reti attuali sono deboli e c’è molta frammentazione. Il livello nazionale è importante, ma molte politiche si giocano a livello regionale e territoriale. Esse, invece, hanno la possibilità di dire molto, agendo bene sul territorio e il Cnv, essendo un luogo non di rappresentanza, ma di convergenza, può sostenerle e lavorare insieme ad esse per una maggiore consapevolezza.

Il livello nazionale, avendo in questi anni sostanzialmente percorso la via del “non sono fatti miei” senza ragionare su risorse e obiettivi, corre il rischio che ogni regione si faccia il suo welfare e che le politiche sociali siano considerate marginali e irrilevanti rispetto alla crisi. C’è il rischio del “fai da te”, ognuno fa quello che può e come può, senza che si creino sui territori delle vere e proprie cabine di regia.

Questa visione liberista e non dignitaria del principio di sussidiarietà è profondamente diversa da quella evocata dalla nostra Costituzione. Porta alla deturpazione del principio di sussidiarietà che chiama alla responsabilità ed è fortemente legato al bene comune. Se la solidarietà diventa solo assistenzialismo e non aiuta la partecipazione di coloro che vengono aiutati, non è vera solidarietà.

Vedo un governo completamente lontano dalle questioni tematiche riguardanti il mondo del volontariato. Esso non ha compreso che oggi il Paese potrà uscire dalla crisi anche economica solo se saprà mobilitare questo patrimonio di risorse e generosità rappresentato dall’impegno svolto dal volontariato e dagli altri soggetti del terzo settore.

Bisognerebbe capire che oltre alle imprese profit e pubbliche esiste anche un’imprenditorialità sociale quasi sempre animata e generata dal volontariato che può essere anche un soggetto di buona occupazione. Due aree che hanno grandi potenzialità occupazionali, anche rispetto al dramma della disoccupazione giovanile, è quella dei servizi alla persona e dei servizi turistici.

Nell’ultimo decreto del governo non c’è un segnale di questo tipo per sostenere una stagione che potrebbe vedere i giovani valorizzati, e costruire anche un welfare utile capace di fornire buona occupazione. Non ci si rende ancora conto che aiuterebbe tutto il paese far sì che il terzo settore cominciasse ad essere avvertito come proprietà dei cittadini e non più come appendice o “parastato”. A quel punto si potrebbe veramente dire che il terzo settore è sostenuto dai cittadini, non solo dallo Stato, e finalmente avremo costruito una democrazia più matura.