La morale laica, in Francia, ha preso di mira la Sacra Famiglia. Nei giorni scorsi, infatti, il Tribunale amministrativo di Nantes ha vietato la presenza dei presepi negli uffici pubblici in quanto “emblemi religiosi” incompatibili con il “principio di neutralità del servizio pubblico”.
Proprio in Vandea, dove un tempo contadini e baroni impugnavano le armi per difendere la loro identità cristiana dalla tracotanza giacobina, le toghe hanno così sentenziato sulla base dell’art. 28 della legge del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa, il quale vieta espressamente l’esposizione di simboli religiosi su monumenti o spazi pubblici, a eccezione di luoghi di culto, cimiteri e musei.
La capziosa tempestività con cui si è sentenziato contro uno dei simboli più amati del Natale, non ha però lasciato indifferenti quanti, in Francia, continuano a riconoscersi nella religiosità popolare cristiana. Le reazioni negative alla decisione dei giudici hanno attraversato, scuotendoli, il mondo politico e culturale nonché la società civile.
“Il rispetto della laicità non è l’abbandono di tutte le nostre tradizioni e l’abbattimento delle nostre radici culturali”, ha commentato Bruno Retailleau, presidente del gruppo di centrodestra Ump al Senato. Lo stesso Retailleau ha inoltre posto una domanda di buon senso: “Bisogna forse vietare le stelle nelle ghirlande di Natale che decorano le nostre strade, con il pretesto che si tratta di simboli religiosi indegni di uno spazio pubblico?”.
Collega di partito di Retailleau che conosce bene il territorio vandeano è Philippe de Villiers, per ventidue anni presidente del consiglio generale della Vandea, che quando era in carica lanciò l’iniziativa di adornare la sede del parlamento regionale con un presepe durante il periodo natalizio. “Questa decisione manifesta un laicismo portatore di morte, che viola le nostre tradizioni ed i nostri costumi”, giudica amaro la sentenza de Villiers. Il quale, dicendosi “oltraggiato” e “scandalizzato”, si chiede: “In nome di questo laicismo dogmatico vieteranno anche il suono delle campane?”.
Prima che questo scenario grottesco agitato da de Villiers diventi realtà, i fautori di tale “laicismo portatore di morte” dovranno però passare sui corpi di giovani come quelli che hanno dato vita al collettivo studentesco “Touche pas à ma crèche” (non toccatemi il presepe).
Partendo simbolicamente proprio da un paese della Vandea, La Roche-sur-Yon, questi studenti hanno organizzato sullo stile dei flash mob dei presepi viventi in diversi luoghi pubblici. Curioso che oltre all’angelo e ai pastori, a contornare la Sacra Famiglia abbiano deciso di inserire anche la goliardica quanto evocativa presenza di un massone munito di un pezzo di scotch per sigillare la bocca a Maria, all’angelo, ai pastori. Un gesto di denuncia, quello degli studenti, nei confronti di coloro che sono visti come gli artefici di questi tentativi di demolizione dell’identità cristiana dalla Francia.
Contro tali tentativi sono giunte intanto reazioni anche dalla Rete. Raccoglie consensi l’iniziativa del blog Le Salon Beige che, sulla scia della Manif pour Tous, ha lanciato “Des crèches partout!” (presepi dappertutto!). L’invito è quello di realizzare presepi nei luoghi di lavoro, di ritrovo o nelle strade pubbliche.
Le foto scattate sono già tante e spesso suggestive: si va dal presepe collocato in una panetteria a quello all’interno di una farmacia, passando per la recente foto del presepe sulla Grand Place di Bruxelles, protetto da grate di metallo dopo la vigliacca incursione teppista di due attiviste Femen travestite da poliziotte.
La provocazione avvenuta nel vicino Belgio non ha tuttavia dissuaso i francesi dal credere nell’importanza delle proprie tradizioni. Un sondaggio diffuso domenica scorsa dall’Ifop (Institut français d’opinion publique) ha dimostrato che il 71% dei cittadini d’oltralpe è favorevole ai presepi nei luoghi pubblici. Risultato che trova un degno commento nelle parole spese sulla vicenda di Nantes da Claire Bouglé Le Roux, storica del diritto all’Università di Versailles: “La Francia – ha scritto in un editoriale pubblicato su Le Figaro – è sì un vecchio Paese, ma non si lascerà di certo rubare l’unica cosa che le è rimasta, l’eredità”.