Mons. Moraglia interviene sull'inchiesta Mose

In un’intervista sul prossimo numero di “Gente Veneta”, il Patriarca di Venezia spiega le scelte e le priorità che la Chiesa lagunare sta portando avanti in questi difficili tempi di crisi

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Proponiamo in anteprima il testo integrale dell’ampia intervista rilasciata in queste ore dal Patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, al settimanale diocesano Gente Veneta per il prossimo numero del giornale (che arriva nelle case venerdì 13 giugno ed è in edicola sabato 14).

È la prima intervista nella quale, in modo articolato, il Patriarca Moraglia interviene e riflette sulle ultime vicende d’attualità: l’inchiesta Mose e dintorni, l’esame di coscienza che questi fatti sollecitano alla città e alla Chiesa di Venezia, le scelte e le priorità che la Chiesa veneziana sta portando avanti in questi tempi non “facili” e di crisi.

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«È questione di coraggio; bisogna tenere la barra dritta, a dispetto dei venti impetuosi che vorrebbero condurre la nave di qua o di là. Quant’è più facile, infatti, lasciarsi portare dal vento… Ma sarebbe debolezza, o almeno leggerezza. Con il pericolo di non giungere alla meta che, pur nella tempesta di questi giorni, si chiama giustizia. Vivo il momento presente  con trepidazione, preoccupazione e speranza». Il Patriarca Francesco Moraglia usa queste espressioni, all’inizio dell’intervista rilasciata a Gente Veneta, per indicare l’atteggiamento più opportuno da assumere in giornate drammaticamente percorse dalle inchieste giudiziarie su Mose e dintorni nonché dai notevoli contraccolpi personali e sociali che ne sono derivati.

Di fronte ad una vicenda giudiziaria del genere – con potenti in carcere, ipotesi di patti illeciti e uso indebito di forti quantità di denaro pubblico – è abbastanza facile e quasi inevitabile reagire in modo forte e magari scomposto, tra indignazione, clamori e la tentazione di buttare a mare tutto…

Mons. Moraglia: Proprio per questo, prima di ergersi a giudici di una situazione che è ancora in divenire, è bene riflettere con pacatezza. Per questo ho ritenuto opportuno riflettere a lungo prima di intervenire e non lasciarmi andare a dichiarazioni affrettate, per quanto sollecitate… E’ però urgente, e quanto mai utile – in attesa che i fatti siano accertati e i giudizi emessi – avviare da subito un serio esame di coscienza, questo sì va fatto! Un esame di coscienza che, per protagonisti, deve avere la città e la Chiesa che è in Venezia.

In questo caso, allora, la prudenza non va vista come debolezza ma come virtù?

Mons. Moraglia: Ricordo che già vent’anni fa, ai tempi di Tangentopoli, mi sentivo molto in sintonia con chi diceva che “i magistrati parlano con le sentenze”. In un tempo in cui tutti davano interviste, la trovai un’affermazione di metodo saggia, opportuna e volta al vero bene comune. In generale, penso che sia corretto esprimersi su un fatto per ciò che si sa, per conoscenza diretta e completa, nelle sedi appropriate. Il resto tende a sconfinare nella chiacchiera.

Difficile però restare insensibili e non dire o non commentare certe cose…

Mons. Moraglia: Sì, certo. Ma credo nessuno debba e possa godere di questa situazione. Penso che sia un momento difficile e faticoso per tutti, anche se con responsabilità ben distinte. Al tempo stesso, però, è una situazione che può essere letta come momento di grazia e di speranza, se fa scaturire davvero quell’esame di coscienza a cui accennavo prima. E questo deve portare ad una ridefinizione delle priorità nella nostra vita individuale e collettiva, anche nella vita della nostra Chiesa.

La legalità è una priorità?

Mons. Moraglia: Non basta parlare del valore della legalità. Bisogna parlare della giustizia e motivare, soprattutto di fronte ai giovani, le ragioni della giustizia. E spiegare che è essenziale, per ciascuno e per tutti, avere per meta la giustizia che va sempre vista in un triplice orizzonte. C’è una giustizia legale, che riguarda la responsabilità del singolo nei confronti della società, in vista del bene comune. C’è poi una giustizia commutativa, che regola i rapporti personali nei confronti dell’altro. E, infine, una giustizia distributiva, che si sofferma sulle azioni dello Stato nei confronti del cittadino, tra cui soprattutto la ridistribuzione del reddito. E’ l’insieme di queste “giustizie” che, innanzitutto, noi adulti dobbiamo re-imparare e poi testimoniare ed insegnare ai giovani che, non dimentichiamolo, ci guardano.

Ha appena evocato la necessità di educare e formare, in particolare i giovani… La giustizia si costruisce anche attraverso l’impegno culturale che una comunità ecclesiale mette in campo?

Mons. Moraglia: Bisogna puntare decisamente sulle persone innanzitutto e, poi, su spazi finalizzati all’elaborazione culturale e alla formazione integrale degli uomini e delle donne di domani, delle famiglie, senza dimenticare noi adulti; è questo, oggi, il nucleo forte del nostro impegno e della nostra azione pastorale. E’ il senso del comune e condiviso lavoro diocesano che stiamo cercando di portare avanti in questi anni, non senza fatiche. La cultura, poi, è e rimane certamente una delle priorità della Chiesa che è in Venezia. Da portare avanti con diverse modalità e con le molte realtà in campo, aperti il più possibile ad attivare collaborazione e dialogo con tutti.

Altre priorità che vede emergere in modo sempre più nitido?

Mons. Moraglia: Ci sono alcune priorità di fondo che rilevo sempre più urgenti ed essenziali da perseguire e che ho cercato di indicare fin dalla mia venuta a Venezia. Questa della cultura e dell’educazione non va sottovalutata ma, ritornando alla nostra realtà ecclesiale, una priorità è la formazione dei laici e un loro maggiore coinvolgimento. Aprirsi di più alla vera conoscenza della dottrina sociale della Chiesa è poi essenziale per orientarsi nell’interpretazione di quanto accade intorno a noi, nelle questioni del bene comune e della politica. Ma è una priorità vitale tendere una mano, specialmente in questa congiuntura di crisi economica, a chi soffre di più ed ecco il motivo della recente apertura della mensa-dormitorio di Marghera.

Perché ha voluto fortemente quest’opera, indicandola come una realizzazione specifica e concreta al termine dell’Anno della Fede?

Mons. Moraglia: L’ho voluta a compimento dell’Anno della Fede e ho chiesto anche personalmente a papa Francesco se accettava che tale struttura fosse a lui intitolata. E sono stato felice del suo sì immediato e convinto. Le situazioni di povertà devono essere considerate una priorità emergente da una cultura che nasce dal Vangelo e da una fede realmente vissuta. La Chiesa diocesana, in questa direzione, ha deciso di investire in modo rilevante venendo incontro ai più poveri e dotandosi di una struttura del genere (che, tra l’altro, opera già praticamente a pieno regime) in una zona della diocesi che ne era priva e che da tempo ne avvertiva l’esigenza. Ma, aggiungo ancora, è certamente una priorità impegnare energie affinché le parrocchie e soprattutto i patronati siano sempre più luoghi in cui le famiglie, così come i ragazzi e i giovani, trovino occasioni di incontro, di dialogo e di aiuto reciproco. Stabilire delle priorità, certo, porta con sé a volte scelte e decisioni non indolori o immediatamente comprese, anche dalle persone più vicine…

A cosa si riferisce in particolare?

Mons. Moraglia: Non posso nascondere che in questi miei primi due anni a Venezia ho dovuto affrontare e sto affrontando anche taluni passaggi non facili e non indolori, con decisioni ostacolate e non sempre capite ma che si rivelano, soprattutto con il passare del tempo e alla luce dei fatti, opportune ed anzi, in alcuni casi, necessarie. Spero che chi si opponeva o si oppone, più o meno apertamente, oggi capisca che il Patriarca agiva e sta agendo per il bene di tutti e di ciascuno. Sempre nell’ottica di quelle priorità appena ricordate, di quell’equilibrio e
di quella prudenza che non dobbiamo mai dimenticare. Non è stato assolutamente piacevole o senza sofferenza, ad esempio, nell’ambito delle comunicazioni sociali dover chiudere la nostra esperienza prima con Telechiara e ora anche con Bluradio Veneto… Né lo è stata la travagliata vicenda dell’Istituto Giovanni Paolo I di Venezia che è sfociata, comunque, in una soluzione che, alla fine, ha valorizzato e riattivato la collaborazione con un polo scolastico (l’Istituto Cavanis) già esistente da oltre duecento anni proprio in quella stessa area della città che non viene, quindi, privata di un’offerta educativa per i giovani. E poi, come Curia Patriarcale, abbiamo avviato un’importante verifica dell’uso delle strutture e dei beni a disposizione, in nome dell’essenzialità e della loro funzionalità in ordine alle priorità pastorali: in questo senso la dismissione della sede di Calle degli Albanesi, con l’accorpamento degli uffici veneziani di Curia all’interno del complesso del Palazzo Patriarcale, prima sembrava a molti impossibile e, invece, è stata possibilissima e sta già mostrando i suoi effetti benefici in termini di risparmio e allocazione delle risorse. Sono solo alcuni esempi…

Ha parlato poco fa di trepidazione, preoccupazione ma anche di speranza… Ma dove trova la speranza in queste vicende? Da dove si può ripartire con speranza?

Mons. Moraglia: Noi cristiani siamo sempre “portatori” di speranza e anche la difficile vicenda di questi giorni deve poter generare speranza. Ma la speranza, per essere vera, non può essere generica o vacua, inoltre, deve saper portare ed evidenziare le proprie ragioni. Anche in questo senso un nuovo e più mirato impegno culturale e formativo, che scaturisce dalle vere esigenze del Vangelo, è davvero e sempre più una priorità perché serve a costruire gli strumenti, gli “arnesi” da lavoro che rendono solida e concreta la speranza.

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ZENIT Staff

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