La "restanza" di Jacques Derrida per spiegare l'Italia del 2012

Nella 46esima relazione del Censis sulla situazione sociale del Paese

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Nel profluvio di cifre che ogni fine anno i lettori leggono sulla carta stampata (e su internet) o ascoltano in radio e in televisione, quelle della relazione annuale del Censis sulla situazione sociale del paese, la quarantaseiesima presentata il 7 dicembre, si contraddistinguono per la capacità di diventare, com’è peraltro consuetudine, tutt’uno con parole, concetti, metafore mutuate dal linguaggio filosofico letterario. 

Quest’anno una delle parole è “restanza” (dal francese restance ottenuta eliminando il “si” da resistance) del filosofo Jacques Derrida (1) che per il Censis, in un 2012 segnato dalla crisi e dalla centralità della sopravvivenza, nell’ambito delle considerazioni generali vuole significare “quanto sia essenziale nei pericoli difendere, riprendere, valorizzare ciò che resta di funzionante dei precedenti processi di sviluppo”. 

Si vogliono qui evidenziare, allora, alcuni degli elementi che hanno determinato lo scheletro ereditario del modello di sviluppo italiano e che costituiscono la base della “restanza”: i) la sobrietà e la pazienza del vivere contadino ii) l’impegno personale nel protagonismo aziendale e familiare iii) la famiglia come supplente rispetto al welfare pubblico iv) la prossimità che permette di vivere relazioni cruciali e funzioni individuali v) l’associazionismo e la solidarietà diffusa vi) la valorizzazione del territorio e la capacità delle realtà locali di promuovere eccellenza. 

Una “restanza” che però si mostra anche come colpa per ciò che non si è fatto e che ancora resta da fare: un’idea di Europa con maggiore peso alla sovranità originaria; una radicale sistemazione del territorio (dai rischi sismici a quelli idrogeologici); una nuova valorizzazione delle periferie per andare oltre il federalismo/regionalismo.

Questo concetto di “restanza”, proprio perché va a interpretare l’essenza del modello di sviluppo italiano, ci sembra trovi un’importante esemplificazione in due paragrafi della poderosa relazione annuale: il primo intitolato “Un destino credibile per i piccoli comuni italiani” ed il secondo dal titolo “Importanza del dialogo interreligioso nel processo d’integrazione”. 

Analizziamoli in dettaglio, anche con l’aiuto di alcune cifre. 

Un destino credibile per i piccoli comuni italiani

Su 8093 comuni italiani, il 70,2% del totale (pari a 5683) ha una popolazione inferiore a 5mila abitanti. In questi risiede il 17.1% della popolazione italiana (pari a 10.3 milioni di abitanti) ed i  rispettivi sindaci hanno una giurisdizione sul 54,1% del territorio italiano. 

Questa dispersione insediativa e questo frazionamento amministrativo, dato il ridimensionamento delle risorse pubbliche, comportano una crescente difficoltà nel mantenere sempre di più i servizi essenziali (scuola dell’obbligo, servizi sanitari, sociali, di assistenza, trasporto pubblico) ed evidenziano come’è in 1000 abitanti il limite al di sotto del quale è difficile garantire tali essenziali servizi. 

Più in dettaglio, andando a sezionare i comuni per numero di abitanti e verificando i servizi presenti in maggioranza sul proprio territorio, da un’indagine del Censis del 2012 si mostra: 

Nei comuni sino a 1000 abitanti è presente sia una Chiesa (nel 100% dei casi) che la fermata dell’autobus (95%). 

Nei comuni tra 1000 e 2500 abitanti è presente sia una Chiesa (99,1%), che la fermata dell’autobus (96,7%), l’Ufficio Postale (97,2%), la Farmacia (96,2%), la Scuola elementare (95,3%). 

Per i comuni tra 2500 e 5000 abitanti è presente una Chiesa (100%), la fermata dell’autobus (97,9%), l’Ufficio Postale (99,5%), la Farmacia (99,5%), il Centro Sportivo (95,2%), la Scuola elementare (99,5%), la Banca (97,3%). 

L’importanza del dialogo interreligioso nel processo d’integrazione

Secondo il Censis “la religione occupa un posto centrale nella vita degli italiani e rimane uno dei pilastri del nostro stare insieme”. Da un’indagine del 2011, sempre del Censis, ecco alcuni dati che afferiscono in particolare alla dimensione pubblica della religiosità: Il 21,5% degli italiani ritiene che la tradizione religiosa sia un elemento di comunanza su cui rafforzare la propria identità nazionale; l’8% degli italiani dichiara di aver fatto parte o di far parte tutt’ora di associazioni religiose; il 70,4% degli italiani riconosce nella parrocchia un’istituzione educativa a cui affidare i propri figli. 

A questi dati, che rappresentano l’identità storica dell’Italia, si possono aggiungere quelli inerenti gli atteggiamenti degli italiani nei confronti delle pratiche religiose dei cittadini stranieri: un 59,3% di Italiani non pensa che le pratiche religiose degli stranieri minaccino il nostro vivere insieme mentre il 41,1% è contrario all’apertura di una moschea vicino la propria abitazione.

Infine, per quanto riguarda la religione dei cittadini stranieri presenti in Italia, il 25,8% è di religione musulmana, il 31,5% cattolica, il 15,2% ortodossa mentre l’8,8% dichiara di non professare alcuna religione.

Piccole comunità e valori identitari che sono alla base di comportamenti differenziati e virtuosi che trovano forme di espressione altra, ad esempio, nell’uso più razionale del territorio e del risparmio energetico oppure di scelta di percorsi di studi che possano combinare percorsi tecnico professionali e studi all’estero o anche l’espansione del commercio via web.

Perché, come si afferma nelle pagine conclusive: “In questi mesi non abbiamo solo salvaguardato il nostro essere ma anche cercato, più o meno consapevolmente, di essere altrimenti”. 

NOTE 

1) Jacques Derrida è un filosofo francese, nato ad Algeri nel luglio del 1930 e scomparso a Parigi nell’ottobre del 2004.

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Antonio D'Angiò

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