"Il gatto di Schrödinger", di Philippe Forest

Tradotto da Gabriella Bosco e pubblicato da Del Vecchio Editore, il lbro è stato presentato il 7 dicembre alla Fiera “Più Libri Più Liberi” di Roma

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Una decina di anni addietro, lo scrittore francese Philippe Forest pubblicò il suo Tutti i bambini tranne uno nel quale si narrava dell’amore di un padre e del suo dolore per la morte, causata da un tumore, della figlia di quattro anni e, data una narrazione così potente e coinvolgente, qualche appassionato di libri non riuscì a calarsi nella sua lettura.

A distanza di tempo, riprendere un testo di Forest (1), può consentire di porre parziale rimedio a quell’antica “codardia” letteraria e di avvicinarsi ad un autore, anche grazie al lavoro fatto dalla traduttrice, Gabriella Bosco, che da anni ne cura le edizioni italiane.

Il libro permette sia di incunearsi in quel tema parlando d’altro, sia di misurare quanto la forza del tempo è in grado di influenzare lo scrittore, il personaggio letterario, il lettore.

Il gatto chiuso nella scatola, nell’esperimento mentale del fisico austriaco e premio Nobel Erwin Schrödinger, è morto ed è vivo contemporaneamente, sulla base dell’effetto di una particella di gas radioattivo che può o non può dissolversi.

Il gatto nel libro appare misteriosamente e poi altrettanto misteriosamente, scompare e accompagnerà il protagonista per un arco di tempo, nella sua casa al mare, in una sorta di “Pet Therapy” determinandone e seguendone riflessioni e ricostruzioni, come un modo per scrutare altrove le ragioni prime della vita.

“(…) quando sotto gli occhi di un osservatore una particella prende un certo valore, bisogna pensare che altrove e per un altro osservatore prenda anche il valore opposto”. Così scrive l’autore e questo “altrove” e questo “osservatore” rimandano automaticamente, nella quotidianità, alle compulsive selezioni sui motori di ricerca di internet. Qui, sulla base di chi digita e di quale strumento si utilizza (smartphone, tablet, computer), la risposta fornita dall’algoritmo è diversa, proprio per effetto di quella personalizzazione estrema che oramai codifica ogni azione umana, assimilandola sempre più alle regole interiori del proprio corpo.

“In ogni momento, ovunque, il reale si biforca in tutti i sensi contemporaneamente. Tutto ciò che è possibile viene a essere simultaneamente realizzato. Il virtuale e l’attuale non si distinguono più. Tutto è vero da qualche parte. E falso in ogni altro luogo. In balia delle pure probabilità” scrive ancora Forest.

Le particelle di gas e i potenziali effetti che induce, così simili alle cellule tumorali, sono l’elemento che, potendo determinare il percorso di una vita, portano l’autore a riflettere sui temi scientifici e sulla casualità di alcune scoperte – come in maniera ironica ci riporta raccontando delle modalità con le quali Schrödinger arrivò all’intuizione della funzione d’onda che lo ha reso immortale -.

A conferma che siamo “in balia delle pure probabilità”.

*

NOTE

1) Dalla seconda di copertina. Il paradosso de Il gatto di Schrödinger: una metafora della condizione umana, focalizzata sulla intricata e dolorosa questione della perdita di una persona amata. Il gatto, contemporaneamente vivo e morto, è anche allo stesso tempo qui e altrove, e su questa effettiva condizione di possibilità Forest innesta, come negli altri suoi romanzi, una dimensione autobiografica, che è radice di più ampie elaborazioni sulla realtà dell’immaginabile. La meditazione sul desiderio e sul lutto è riflessione sull’umanità più comune, sulle paure e sulle gioie più basilari. La riflessione sfiora il racconto filosofico per scegliere di farsi creazione, e rapisce il lettore che si trova, al di fuori del tempo e dello spazio, a rilevare nuovi confini di sé e del mondo. Ci riconosciamo così di dare un senso al nulla da cui solo apparentemente ci sentiamo circondati. Intuiamo la compiutezza delle cose, in una specie di favola in cui vediamo le vite che potremmo vivere, le esistenze di cui potremmo esser parte e gli universi in cui potremmo abitare. E che forse abitiamo.

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Antonio D'Angiò

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